Gioie e dolori del gioco online – Editoriale

GIOCARE ONLINE METTE UN SACCO DI PRESSIONE, NON È COME QUANDO SEI CONTRO UN’IA, DELLA QUALE PUOI IMPARARE LE ABITUDINI E LE DEBOLEZZE

Sì, perché giocare online non è mica facile. Non solo per il bagaglio di conoscenze che possono essere necessarie: in un MOBA come Dota 2 o League of Legends, per esempio, dovremo imparare a conoscere più di cento eroi, ciascuno con almeno quattro abilità, il modo in cui gli oggetti possono cambiare significativamente la minaccia che pongono, oltre ovviamente a memorizzare tutta una serie di meccaniche legate alla mappa in sé e ai suoi obiettivi e a sviluppare, poco per volta, una buona consapevolezza sia tattica che strategia (e poi c’è chi dice che la gente non gioca agli RTS perché i MOBA sono facili). Ma, al di là di questo, giocare online mette un sacco di pressione. Quando sei contro un’IA, mediamente, non ti corre dietro nessuno. Puoi mettere in pausa, puoi salvare, puoi riprovare, puoi abbassare la difficoltà, puoi sfruttare tutti i piccoli cavilli che ogni gioco presenta per fregarla. Contro altre persone è più difficile, non sai mai cosa aspettarti, ma sai che a differenza dell’IA questi avversari non sono stati pensati per lasciarti la possibilità di vincere: no, esattamente come te quelli vogliono portare a casa la giornata. Ed è chiaramente questo il bello dei giochi online competitivi, non fraintendetemi; ma può anche essere un sacco stressante.

ESPORTIVO? NO, PIÙ UN ESPETTATORE

Più di recente, tanto per dirne una, mi sono buttato su SoulCalibur VI. “Eh vabbè, pure te, vai sui picchiaduro, te le vai a cercare!”, direte voi. E forse avete ragione, ma non so che dirvi: a me l’ultima fatica di Project Soul è piaciuta proprio un sacco e ci ho dedicato trecentoquaranta ore, e ce ne avrei passate sopra ancora tante altre se non fosse proprio per quella fregatura: la mentalità, quella rabbia che sorge quanto perdi e sai che non è la cosa giusta e che non porterà a granché di produttivo ma non puoi farci nulla, salta fuori lo stesso. Ricordo di aver partecipato a un torneo organizzato dal Discord italiano, una community deliziosa, una roba fra amici che volevano mettersi alla prova, praticamente. E ricordo l’ultimo scontro, contro un giocatore alla mia altezza, che avevo già battuto in passato. Questa volta, però, le presi sonoramente e mano a mano che il conteggio dei round saliva impietosamente a suo favore sentivo la rabbia bollire.

multiplayer

Due round a due, spalle verso l’abisso contro Nightmare, metà barra della vita già andata. Cuore che batte a mille.

La colpa non era del mio sfidante, ovviamente: non aveva giocato slealmente, non era stato scortese, non era nemmeno qualcuno che mi stava antipatico. Semplicemente giocava per vincere, com’è sacrosanto che sia in un torneo, e quel giorno la tenzone all’arma bianca arrise a lui. Io invece decisi che forse SoulCalibur VI, per quanto mi piacesse e mi piaccia ancora oggi, non era (più) il gioco adatto a me, come tanti altri prima di lui.

MENO MALE CHE ESISTONO TWITCH E YOUTUBE

Ma va bene così: un po’ come per gli sport tradizionali, al giorno d’oggi non serve partecipare in prima persona per essere appassionati di un videogioco. Dota 2, SoulCalibur VI, Company of Heroes 2, Age of Empires II Definitive Edition: tutti giochi che reputo decisamente troppo stressanti per l’integrità del mio fegato e delle mie coronarie, ma dei quali mi ritrovo regolarmente a fare da entusiasta spettatore. Per fortuna esistono Twitch e YouTube.

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