Burning Crusade Classic Editoriale

World of Warcraft Classic

PC

Burning Crusade Classic: ode al reietto – Editoriale

Burning Crusade Classic è l’emblema di un’epoca spigolosa, scorbutica, più scomoda dal punto di vista della qualità della vita; ma è anche un grande tuffo nella nostalgia

Mentre stabilisco l’itinerario per il leveling mi getto con Thorkan nel fiume di LF, ci aggreghiamo ad altri quattro sconosciuti (che a breve non saranno più tali, forse qualcuno finirà perfino nella friend list) e diamo il via a un’indigestione di dungeon: Blood Furnace, Slave Pens, Mana Tombs e molti altri, la lista si allunga ogni volta che il level cap si avvicina. È così che io e Thorkan, compagni, avversari, Alleanza, Orda e tantissimi altri appassionati ci dirigiamo a testa bassa (anzi bassissima, nel caso del mio nano) verso un livello 70 che non ha la benché minima intenzione di agevolare l’impresa a nessuno. La barra dell’esperienza si riempie lentamente, la si contempla con un misto di frustrazione, odio e supplica, ma tutto ciò che si ottiene in cambio è la sensazione che lei ti guardi pensando “l’hai voluta la mount-bicicletta? Pedala, ammesso che il nano arrivi ai pedali”. Ha ragione anche lei, già.

LE BUONE IDEE SONO IMMORTALI

Burning Crusade era tutto questo e molto, moltissimo altro, dunque allo stesso modo lo è anche la versione Classic che attualmente tanti spettatori fa su Twitch. La prima espansione di World of Warcraft era ed è quella delle indimenticabili boss fight e dei raid più spettacolari a Karazhan, Grull’s Lair, The Eye a Tempest Keep, Serpentshrine Cavern e Black Temple, era ed è il cambiamento epocale al numero di partecipanti necessari per gli scontri endgame (anziché 40 cristiani come nel Vanilla si passò a 10 o 25). Era ed è indiscutibilmente PvE d’autore e combattimenti entusiasmanti da preparare nel dettaglio, ma anche l’atmosfera perfetta, le meccaniche tarate al punto giusto e la bellezza di superare, tentativo dopo tentativo, un ostacolo immenso tutti assieme.

Oltre ciò bisogna contare il PvP selvaggio a Eye of the Storm, il nuovo campo di battaglia, gli eventi PvP mondiali e soprattutto l’aggiunta dei combattimenti in team nelle Arene, l’alba di un gioco nel gioco che per un’infinità di gladiatori ancora oggi è la cosa più importante che ci sia. E ancora i talent tree d’altri tempi, i reagenti per poter usare determinate spell, l’arrivo dei Draenei e dei Blood Elf che nel 2007 permise ad Alleanza e Orda di utilizzare rispettivamente lo Sciamano e il Paladino (prima le due fazioni non avevano razze con cui giocare queste classi). È anche quattordici anni di evoluzione cancellati di botto dal mondo di gioco, è l’emblema di un’epoca spigolosa, quasi scorbutica nei confronti del giocatore se confrontata con ciò che spesso si vede oggidì, più scomoda dal punto di vista della qualità della vita. È infine una bara che è stata profanata al solo scopo di ammirarne rispettosamente il contenuto, e cioè un’espansione mai dimenticata su cui non è stato effettuato alcun intervento di restauro per preservarne tutto lo charme e la magia di una volta.

Burning Crusade Classic Editoriale

NEANCHE IL TEMPO È IN GRADO DI INTACCARE LA POTENZA DEI RICORDI

A proposito, spulciando il web ho appreso che diversi appassionati avrebbero gradito una decisa levigata alle protuberanze più fastidiose del gameplay di Burning Crusade Classic. Un simile punto di vista è comprensibile, proprio come ci sta la decisione degli sviluppatori di lasciare praticamente tutto così com’era per assecondare i desideri della comunità più nostalgica e, soprattutto, non rovinare il ricordo di un periodo in cui i giovani virgulti aka noob eravamo noi veterani. Non mi interessa granché stabilire chi ha torto e chi ha ragione, ma dopo essere tornato dove tutto ebbe inizio mi sono reso conto che, nonostante i segni del suo scorrere siano inevitabili, talvolta perfino quell’inesorabile galantuomo del tempo non è in grado di intaccare l’anacronistico fascino di una buona idea e la potenza dei bei ricordi.

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