Ho guardato in un loop e ho trovato me – Editoriale

QUELLO DEL LOOP È LO STESSO CONCETTO CHE HA FATTO AMARE FROM SOFTWARE IN QUESTI ANNI, ARRIVI, VIENI SCONFITTO, LEZIONE IMPARATA. E COSÌ VIA DI MORTE IN MORTE!

Ci sono poi titoli ad orologeria, disegnati come meccanismi di precisione capaci di spaccare il secondo e in cui è impossibile perdere la cognizione del tempo, sinonimo stesso di ciclo. Dai racing arcade a checkpoint, gare in perenne countdown, intransigenti, adrenaliniche, un occhio alla prossima curva e l’altro sul cronometro come chi vive in perenne ritardo fino a giochi che si potrebbero tenere aperti sul comodino e usarli come sveglia; tipo Minit.

Minit è una minuscola simulazione di vita, il tempo scandito inesorabilmente, che non basta mai nonostante la necessità di compiere una quantità di azioni programmate, cercando sempre una scorciatoia che ci faccia risparmiare anche solo un secondo per rifiatare!

Il particolarissimo titolo black & white Devolver racconta di come ogni secondo abbia un peso specifico enorme, concedendone 60 a run per trovare un indizio, risolvere un enigma, scoprire una scorciatoia che permetta di tradurre un level design geniale, trovando la soluzione un secondo prima di timbrare il cartellino, svenire e risvegliarsi tra le mura di casa propria per l’ennesima volta, consapevoli di poter arrivare più lontano del minuto precedente, o forse inquietati dalla possibilità di rimanerne imprigionati. Una progressione lineare intrappolata in un loop temporale, diventando circolare. Un concetto molto esistenzialista e intimo come il bilocale condiviso dai protagonisti di Twelve Minutes, la cui tranquilla serata viene violata, interrotta e sconvolta dall’irruzione di uno sconosciuto. Non c’è niente di più agghiacciante di un’abitazione che smette di proteggere i suoi abitanti, se non rivivere quel momento ogni 12 minuti, scoprendo una realtà ancora più terribile di quell’atto così brutale.

NEL REITERARSI DELL’INCUBO SI DIVENTA MAN MANO INSENSIBILI: DOBBIAMO SCOPRIRE ALTRI TASSELLI DI QUESTO MISTERO, A QUALUNQUE COSTO, DIVENTANDO così più cinici ma anche più informati

Nel reiterarsi dell’incubo si diventa però man mano insensibili, ci si arrende alla violenza, la si accetta fino a decidere di nascondersi e non intervenire nemmeno, osservando l’assalitore seviziare nostra moglie fino alla morte per ottenere ciò che vuole. Una morbosità indotta dal gameplay, dalla necessità di scoprire, vedere fin dove può spingersi la situazione, raccogliendo poi la pistola ancora calda, puntarsela alla tempia e ricominciare il loop, più informati, cinici, ragionando in maniera meno umana, opportunista. Un’emozione veramente interessante da indagare, un conflitto morale paragonabile alla perdita di sensibilità davanti allo sfoggio di notizie sempre più macabre e dettagliate da parte dei media, condite da video che “potrebbero urtare la sensibilità” presentati come il classico bottone rosso da non premere. Un risultato possibile solo attraverso la ripetizione continua di un’azione orrenda, cosa che l’opera di Luis Antonio ci chiede continuamente.

loop editoriale

Ogni prima volta, ogni scena unica di Twelve Minutes è scioccante, fino all’anestetica necessità di ripeterla ancora, abituandosi a immagini macabre che di normale non hanno nulla, ma che diventano innocue davanti all’impossibilità di morire, di una conseguenza tangibile e irrimediabile.

Nel cerchio della vita videoludica noi siamo in mezzo. Ci illudiamo di poter decidere, dominare un’opera che sa benissimo dal primo avvio dove portarci, come colpirci, denudandoci e lasciando uscire la parte più vera di noi stessi, la faccia illuminata dal monitor, le mani tese attorno al pad. Solo nella sua comprensione possiamo poi essere liberi, fare nostra l’esperienza, assorbirla e scoprirci magari migliori o peggiori davanti allo scorrere dei titoli di coda, mai fine, sempre nuovo inizio.

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