Ben ritrovati, siete tutti pronti a seguirmi nella seconda tappa di questo incredibile viaggio nel mondo dei level editor? Volete che vi guidi nella fabbrica dei livelli, come un Willy Wonka digitale? Ma soprattutto, vi siete sbizzarriti nel level design dei giochi illustrati nella prima puntata? Sono sicuro che siano tutti divertentissimi e bilanciatissimi, altro che le banalità concepite da quei quattro cialtroni di level designer, che all’epoca erano i programmatori stessi. E se finora avevamo esplorato gli anni 80 sorvolando a bassa quota macchine dall’indiscussa potenza ma dalla diffusione non così capillare, questa volta ci concentriamo su hardware entrato decisamente nella leggenda.
Partiamo dal NES, o meglio dal Famicom giapponese e il favoloso Excitebike, racing game a scorrimento orizzontale di Nintendo che simula una gara di motocross. Prevede due modalità di gioco: Selection A, che come suggerisce il nome è una corsa in solo, e Selection B, anche questa chiamata in modo abbastanza eloquente e che come avrete immaginato è una gara contro altre moto controllate dal computer in una disperata lotta per il podio. Scelta della corsia ove correre, ponderato uso del turbo e perfetti atterraggi in seguito ai numerosi salti determinano l’esito della competizione. Il Design Mode ci permette di creare le nostre piste con ben 19 tipi di ostacoli e salvare i nostri lavori grazie al Famicom Data Recorder. Tutto magnifico, a parte il trascurabile dettaglio che suddetta periferica fosse introvabile al di fuori del Giappone, ma ora che Excitebike è disponibile anche per le Virtual Console di Wii e Wii U, nonché per Switch grazie a Nintendo Switch Online, non ci sono scuse per non provarlo. Due piccole curiosità sul gioco: è uno dei rari casi in cui il cabinato arcade è il porting della versione domestica e non vice versa, e narra la leggenda che l’engine che gestiva lo scrolling fu usato per creare Super Mario Bros. con i suoi bruschi cambi di velocità.
La stessa Nintendo, che come molti di voi sanno era attiva ben prima dell’epoca videoludica – dal 1889 per l’esattezza – nel 1972 lancia sugli scaffali Mach Rider, un giocattolo grazie al quale si può lanciare un dragster a velocità folle in giro per casa, mettendo a repentaglio l’urna cineraria di nonna Berenice. Riposti gli amabili resti sotto il tappeto, nel 1986 approda sugli schermi Famicom un videogame con lo stesso nome e lo stesso spirito di corse ad alta velocità. Non è chiaro se si tratti di un tie-in, ma nel futuro distopico del Mach Rider che ci interessa il mondo è dominato dai Quadrunners, malvagie milizie motorizzate che dobbiamo spazzare via con la nostra superbike. Un racing game con annessi combattimenti più complesso dell’offerta media dell’epoca, con la classica telecamera in stile “Out Run” – che uscì nello stesso anno – e diverse modalità tra cui Fighting, Endurance, Solo, più il nostro preferito, Design, per progettare i tracciati che possono poi essere giocati o salvati grazie al Famicom Data Recorder. Tutto magnifico, anche l’effetto déjà vu nell’apprendere che era hardware sviluppato esclusivamente per il mercato giapponese. C’è comunque anche lui nelle Virtual Console di Wii, Wii U e 3Ds.
MOLTI DI QUESTI GIOCHI POSSONO ESSERE RECUPERATI ANCHE SENZA BISOGNO DI HARDWARE DELL’EPOCA, spesso mai uscito ufficialmente dal Giappone
A ricordarci una volta ancora quanto siamo fortunati noi occidentali a non possedere un Famicom Data Recorder, nel 1984 quindi due anni prima del lancio di Metroid, Yoshio Sakamoto sviluppa Wrecking Crew per il Nintendo VS. System, praticamente un Famicom con intorno un cabinato per il mercato delle sale giochi. Si controlla Mario, o Luigi in caso di modalità a due giocatori, e bisogna distruggere con un enorme martello una serie di oggetti prestabiliti lungo 100 livelli, editabili a patto di avere la macchina infernale. Esordisce nel gioco Foreman Spike, malvagio caposquadra che tenta di rovinare i piani dei due fratelli. I giocatori non possono saltare, quindi il gameplay si allontana dal platformer tutto riflessi e precisione a cui ci hanno abituato gli idraulici, strizzando l’occhio al puzzler data la necessità di pianificare ogni mossa con largo anticipo per non trovarsi in situazioni senza uscita. Anche qui fortunatamente le virtual console permettono il salvataggio.
GLI EDITOR DI CASA SEGA
Mentre Nintendo macinava editor su editor prevalentemente per il Famicom e l’infame periferica, Sega non stava a guardare e nel 1987 metteva il destino di innocenti pinguini nelle nostre mani con Penguin Land, action puzzler nel quale dobbiamo far giungere sano e salvo a destinazione un uovo di pinguino evitando nemici e sfruttando elementi dello scenario a nostro vantaggio. Lo definirei un interessante mix tra Pengo – non solo per la presenza dell’uccello acquatico, ma per la possibilità di schiacciare i nemici tra pesanti rocce semovibili e solide pareti – e Boulder Dash.
Con la crescente penetrazione dei videogiochi nel mercato dell’intrattenimento, gli editor di livelli si prestarono anche a scopi poco leciti, forti dell’allora vuoto legislativo che non tutelava la proprietà intellettuale del software in Italia. Tutti noi “anta” ricordiamo la miriade di cassette vendute nelle edicole con decine e decine di videogame, bellamente craccati, spogliati di ogni riferimento al titolo originale o agli autori e arricchiti da uno splash screen aberrante. L’opportunità fornita dai giochi con level editor era ghiottissima: se includi un editor di livelli, devi includere una routine in grado di leggere i livelli creati. Anche quelli originali.
L’INCLUSIONE DI EDITOR DEI LIVELLI EBBE ANCHE RISVOLTI NON PROPRIO LEGALITARI
Polar Pierre, classe 1984 distribuito da Datamost, è un simpatico platformer single player che offre una divertente modalità competitiva per due giocatori, che controllando Pierre o il cugino Jacques devono raggiungere il più velocemente possibile l’uscita, non prima di aver alzato tutte le bandierine sapientemente piazzate in luoghi infami. Sulla scatola campeggiava la scritta “Play Our Game… or Create Your Own!” e come per incanto entrò nelle nostre case col nome di Abelardo, Cocon, Colubrina, Flagger – questo quasi quasi avrebbe senso, evviva! – Gargoil, e così via. Ron Rosen, l’autore di Polar Pierre, appartentemente ha solo un altro titolo nel suo portfolio, il divertente platformer Mr. Robot and his Robot Factory, anch’esso rilasciato nel 1984 con il suo bravo editor. Una meteora videoludica che oggi torna a brillare. Certo, è facile riderci sopra oggi a bocce ferme, ma all’epoca non vi nascondo che non vedevo l’ora che dei fantomatici programmatori realizzassero il sequel di Dolwan, o Magics, o quello che volete, già che non sapevo che il gioco che mi aveva rapito si chiamava semplicemente Wizard, pubblicato da Ariolasoft nel 1984, classico platformer a schermata fissa in cui avventurarsi nei panni di un maghetto lungo i 40 livelli, oltre naturalmente a poter creare i propri. Ma per chi cercasse un gioco che ricordi i platformer Taito e i loro personaggi petalosi, Nuts & Milk di Hudson Soft è la scelta adeguata. Creato nel 1983 per FM-7, MSX, NEC PC-8801 e 6001, trovò la sua massima espressione artistica sul Famicom.
Evidentemente Nintendo credeva molto in quel videogame, che infatti fu il primo lavoro di terze parti pubblicato su una loro console. Nonostante ci fossero 50 livelli da completare, l’editor permetteva di personalizzare solo il primo, superato il quale si sarebbe proseguito secondo il level design originale. Una soluzione poco interessante, figlia delle limitazioni hardware.E se ci sono giochi che ti permettono di editare solo un livello, ne esisteranno mai altri con tutti i livelli editabili, tranne uno? Incredibilmente sì, ed ecco a voi Demon Stalkers: The Raid on Doomfane, realizzato da Micro Fortè nel 1987 per Commodore 64. Si tratta di un dungeon crawler in stile Gauntlet con ben 99 livelli da affrontare in solo o in doppio affettando maghi, ratti, fantasmi, e varia carne da macello RPG. Il centesimo livello, l’unico non editabile, prevede lo scontro finale con il boss.
In quel tempo però nuovi scenari stavano per prendere forma: con molti giochi ancora sviluppati da one-man studio come Jeff Minter, Andrew Braybrook o gli Oliver Twins che sono sì due, però concepiti senza aspettare il cooldown, i programmatori erano visti come degli inarrivabili eroi e lo spirito di emulazione era molto forte in noi appassionati. Mentre le software house studiavano pacchetti per il game design che non richiedessero conoscenze di programmazione, gli utenti PC Floppymuniti, forti di una maggiore editabilità e distribuibilità dei file delle proprie macchine iniziarono a creare tool per modificare radicalmente dei giochi originali, non per scopi pirateschi ma per migliorarli, magari riproducendo più fedelmente la fisica o rendendo più realistico il modello di guida. Stava per nascere l’era dei “create with no code” per principianti, e cresceva la cultura del modding. Disegnare livelli non era ormai altro che un contentino, i gamer volevano di più e l’offerta come sempre avrebbe soddisfatto ogni tipo di domanda. Ma di questo, ne parleremo al prossimo appuntamento dello speciale “Questo l’ho fatto io!”.