È il tramonto del videogioco occidentale? – L'Opinione

Sempre più aziende a trazione occidentale del videogioco vengono acquisite, in toto o in parte, da società che operano in quelli che una volta chiamavamo “mercati emergenti” e che adesso sembrano sempre di più essere “il mercato” e basta.

C’è stata un’epoca dove scrivevi videogiochi e, quasi automaticamente, leggevi Giappone. Non che gli studi occidentali si girassero i pollici, chiaro – sarebbe banale citare Doom, ma in realtà già dagli anni ’80 la scena del game dev britannica si era imposta sul panorama videoludico – ma bisogna ammettere che la maggior parte dei giocatori giocavano su hardware giapponesi a titoli che molto spesso allo startup mostravano i loghi delle Capcom, delle Konami e delle Squaresoft. Poi negli anni il fronte si è progressivamente ribaltato.

L’Arabia Saudita sta investendo forte nei videogiochi

Per rendersene conto basta seguire i soldi: l’ultimo Final Fantasy si stima essere costato una cifra attorno ai 60 milioni di dollari, mentre il Tripla-A occidentale medio ormai tocca tranquillamente i 200 milioni. Questo però è anche uno dei principali fattori che ha portato il medium al periodo buio che sta vivendo in questo post-pandemia. Notizie di chiusure e licenziamenti su base praticamente giornaliera, hardware che aumentano di prezzo laddove fino alla scorsa generazione con gli anni si deprezzavano e, soprattutto, un sacco di acquisizioni – o operazioni simili – dove continuando a seguire i soldi si torna in Oriente.

Ma non è lo stesso Oriente di prima, perché si legge “Cina” e si legge “Arabia Saudita”

Questa settimana si è aperta con l’acquisizione di Electronic Arts da parte, tra gli altri, del PIF, il fondo di investimenti pubblici saudita. Manovra che peraltro è una scommessa sull’Intelligenza Artificiale, perché l’operazione lascerà un debito di 20 miliardi che l’azienda spera di colmare, tra le altre cose, tagliando i costi grazie all’IA. Ma non è il primo investimento arabo nei videogiochi: qualche mese fa Scopely ha acquisito la divisione gaming di Niantic, sviluppatori soprattutto di Monopoly Go e Pokemon Go. Che c’entra? Beh, Scopely è di proprietà del Savvy Games Group, finanziato sempre dal PIF. Il PIF poi negli ultimi anni ha acquisito quote di diverse società che sono parte dell’immaginario del videogioco (tra le altre, anche TakeTwo e Nintendo) e voci non confermate – riportate dal giornalista Stephen Totilo – vogliono che il nuovo DLC gratuito di Assassin’s Creed Mirage sia stato reso possibile anche grazie al PIF.

Ubisoft è in crisi, ma non è l’unica casa occidentale che se la passa male

A proposito di Ubisoft, lo scorso marzo l’azienda ha fondato assieme a Tencent – su cui bisogna tornare tra un attimo – una nuova società, che abbiamo scoperto sempre questa settimana chiamarsi Vantage Studios. Tencent detiene il 25% di Vantage, che è la struttura dove sono confluiti i principali studi di Ubisoft (Montréal, Quebec, Sherbrooke, Saguenay, Barcelona e Sofia – oltre 2000 dipendenti in totale) ma soprattutto le sue principali IP: Assassin’s Creed, Far Cry e Rainbow Six. Che la situazione attorno ad Ubisoft non sia delle più felici, a prescindere da Tencent, non è un mistero, considerando che escluso l’ultimo Assassin’s Creed il resto dei videogiochi pubblicati negli ultimi anni non è andato benissimo, non riuscendo a trovare la quadra né sul fronte Tripla-A né tentando strade sulla carta meno economicamente esose, come visto con lo sfortunato Prince of Persia: The Lost Crown.

Tencent, che in questo discorso rappresenta l’altro “Nuovo Oriente”, quello cinese, però non è estranea all’investire in aziende occidentali. Oltre a possedere il 100% di RIot Games controlla anche il 40% di Epic Games. Che vuol dire il 40% di Fortnite, forse il videogioco più giocato al mondo in questo momento, e primo vero candidato all’essere un metaverso di massa e a dar vita a qualcosa di molto simile all’Oasis raccontato in Ready Player One di Ernest Cline (o di Spielberg, per chi preferisce il cinema alla letteratura). Ma vuol dire anche il 40% di Unreal Engine, il motore grafico che è diventato sostanzialmente monopolista nello sviluppo di videogiochi Doppia e Tripla-A.

Assassin's Creed Mirage permadeath

Ma videoludicamente parlando la Cina è riuscita a fare qualcosa che, al momento, l’Arabia Saudita non è ancora in grado di fare. Ovvero: vendere un sacco di copie dei videogiochi prodotti da aziende locali. In ottica futura è questo, forse, ad essere più preoccupante, che il numero di aziende che all’ombra della Muraglia riescono a mettere le mani su studi e IP occidentali – non c’è solo Tencent, ByteDance (proprietaria di TikTok) possiede anche Nuverse, lo sviluppatore di Marvel Snap. Il successo di Black Myth: Wukong è stato tale da raggiungere le 10 milioni di copie nei primi tre giorni di release (ad agosto 2024) e superare le 25 milioni all’inizio di quest’anno. Contando solo Steam, che è piattaforma dove i gamer cinesi hanno comprato il gioco in massa (nonostante la sua uscita abbia causato un sold out di PS5 in patria), Wukong ha generato ricavi per un miliardo di dollari nel primo mese di commercializzazione. Il mercato cinese è strategico al punto che non solo PlayStation lo ha utilizzato come banco di prova del suo Hero Project con cui supporta studi di sviluppo nei territori emergenti – posto che direi che ormai la Cina è decisamente emersa –, ma lo scorso settembre proprio contando su questo mercato ha dato luce verde ad un progetto che in occidente sarebbe impossibile vedere come Lost Soul Aside.

La Cina non è più un “mercato emergente”, ma è un mercato vero. E bello grosso

Con “impossibile da vedere” non faccio riferimento a qualità tecniche eccezionali o a chissà quale memorabilità del gameplay: un gioco come Lost Soul Aside sarebbe impossibile da vedere dalle nostre parti perché molto semplicemente nessun publisher occidentale spenderebbe così tanto effort su un gioco evidentemente fuori tempo massimo. Non solo la creatura di Ultizero Games utilizza Unreal Engine 4 (in luogo del 5, ormai sul mercato da più di mezza generazione videoludica), ma è a tutti gli effetti quello che noi definiremo un Doppia-A, eppure è stato venduto sulla stessa fascia di prezzo di un Tripla-A. Lost Soul Aside pad alla mano per tanti versi è un gioco della scorsa generazione. PlayStation ne era consapevole, eppure ha deciso di fungere comunque da publisher e di iniettare denaro in Ultizero nel corso degli ultimi 10 anni, proprio scommettendo su una sorta di “effetto Wukong”, ovvero sperando che grazie alla spinta del mercato cinese il gioco avrebbe registrato numeri interessanti.

Non so se tutto questo si possa descrivere come il tramonto del videogioco occidentale. Quello che è certo è che il modello a cui siamo abituati è sempre più in crisi, e non sono gli occasionali colpi a la Clair Obscur o in stile Baldur’s Gate 3 – a proposito, Larian è per il 30% in mano a? Indovinato, Tencent – a poter rappresentare una soluzione, per quanto ci piaccia raccontarli in questo modo. È lecito chiedersi quanto tempo ci metteranno Cina, Arabia Saudita o magari anche l’India a comprare quei pezzi del nostro immaginario di cui ancora non hanno quote. O quanto ci metteremmo noi a iniziare a sviluppare videogiochi tenendo conto dei loro gusti e della loro cultura, nella speranza di trovare una soluzione ad un game dev sempre più costoso e di conseguenza più rischioso per le aziende.

Chissà se su qualche rivista di videogiochi giapponese, qualche anno fa quando il tramonto riguardava loro, qualcuno si è posto le stesse domande.

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