Videogiocatori di Serie B

videogiocatori di serie b editoriale (2)

Fa caldo e incredibilmente piove a dirotto. Dovrei fare miliardi di cose, preparare documenti e fare telefonate, eppure me ne sto accovacciato sul balcone di casa a osservare la pioggia, mentre le solite domande esistenziali fanno capolino nella mia mente: se avessi i capelli me li farei lisci o ricci? Arriverà un giorno in cui sarò costretto a tagliarmi la barba? E soprattutto, quando i videogiochi sono diventati “una cosa commerciale per la folla”?

Mi spiego meglio: io adoro con tutta l’anima il medium videoludico (altrimenti non sarei nemmeno qui a battere le dita sulla tastiera), e mi piace cercare di diffonderlo in tutte le sue forme, consapevole che ogni persona è diversa dall’altra e può o meno apprezzare generi diversi di videogiochi. Adoro sentire parlare chi ha scoperto da poco le meraviglie di una console, magari compiendo i primi passi su un’oscura Lothric, oppure ascoltare il pensiero di chi ha difeso Britain dal Guardian con l’aiuto di Yolo, Shamino e Duprè ed è rimasto particolarmente legato ai videogiochi dell’epoca. Non solo: amo anche dialogare con chi è un pochetto più vecchio di me e, con timore e curiosità, ha installato qualche applicazione sul proprio smartphone e cerca di spiegarmi perché è rimasto affascinato da un titolo semplice ma, a quanto pare, accattivante. È meraviglioso sentire spendere belle parole sul nostro hobby preferito. Quello che invece non riesco a capire, ed è un discorso che mi sta particolarmente a cuore, è quando accade il contrario.

Il fatto sconvolgente è che tali parole di odio e accusa non provengono da qualche bigotto che vede in GTA la fonte di tutti i mali, ma dai nostri stessi compagni di gioco. Basta passare cinque minuti su Facebook, magari dentro qualche gruppo dedicato ai videogiochi, per essersi sommersi da un mare di critiche incredibili, in cui puntualmente il titolo appena uscito a annunciato è “merda commerciale dedicata alla massa”. Non riesco a capire perché un titolo accessibile e facile da comprendere debba per forza essere insultato senza ritegno, mentre il termine “capolavoro”, fin troppo sfruttato anche dal sottoscritto – e di questo mi cospargo il capo di cenere – viene automaticamente affibbiato a qualche oscuro titolo dal gameplay incerto e decisamente di nicchia. Sarebbe bello ci si fermasse qui, ma la pubblica gogna continua anche nei confronti di chi, invece, apprezza pubblicamente l’ultimo videogioco tripla A: tali individui infatti scoprono, con somma sorpresa, di non capire nulla della vita, di essere commerciale (ma poi cosa si intende con ‘sto dannato “commerciale”?), di avere la madre di facili costumi e di spendere i propri denari in maniera ignobile. A volte penso sinceramente che tale atteggiamento sia il sintomo di una malattia contagiosa: in pochi giorni, difatti, sempre più utenti si convincono di tali discorsi, arrivando a ripetere per filo e per segno la solita tiritera, come per dimostrare di essersi finalmente evoluti verso una conoscenza più elevata.

videogiocatori di serie b editoriale (2)

Siamo tutti videogiocatori, da chi passa dieci ore di fila su League of Legends a chi si gode con estrema calma The Witcher 3

Non ho mai nascosto il mio amore per Dwarf Fortress, probabilmente il videogioco meno accessibile della storia, grazie soprattutto a una “grafica” composta da punteggiatura e colori malsani, un elenco di comandi spaventoso e la completa assenza di un vero e proprio tutorial ad accompagnare i videogiocatori verso una delle curve di difficoltà più ripide di sempre. Eppure ho giocato e amato l’ultimo Dark Souls, che in pochi anni si è trasformato dal mostro nero “difficile e punitivo, per pochi intenditori” allo “schifo commerciale per fare soldi, facilissimo che anche un bambino più finire”, e non vedo come saltare da un genere all’altro possa in qualche modo intaccare la mia “fama”, se di questo stiamo parlando, di videogiocatore accanito.

Quello che chiedo è semplicemente evitare di fare a gara a chi ha il “pad più grosso” (capitemi, dai): già abbiamo scelto uno degli hobby più complicati da affrontare con passione, ancora etichettato come “perdita di tempo” da fin troppe persone nonostante più di sessant’anni di storia, se poi cominciamo anche a farci la guerra tra di noi, solo perché Davide adora Assassin’s Creed Otto mentre io vado pazzo per i simulatori di mercato azionario ambientati tra il 1966 e il 1969 che richiedono una laurea in economia per poter essere affrontati, con quale faccia cerchiamo di sdoganare il medium che tanto amiamo? Come possiamo scrollarci da dosso il termine “nerd”, misteriosamente diventato un complimento negli ultimi anni, se siamo i primi a insultare chi apprezza generi diversi dai nostri? Siamo tutti videogiocatori, da chi passa dieci ore di fila su League of Legends a chi si gode con estrema calma The Witcher 3. E sì, anche chi ti chiede vite in più per Candy Crash è un videogiocatore, come me e te. Invece di insultarlo, spiegagli l’esistenza di Bejeweled. Ti ringrazierà, e tu salverai una povera anima.

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