Dopo giorni e giorni passati su Nioh ho ancora i samurai indiavolati che mi affettano il cervello, e non è così semplice allontanarmi dalle sue sponde. Paradossalmente, però, mi ha fatto venire in mente il dilagare degli open world: il gioco di Team Ninja non lo è, al punto da diventare al giorno d’oggi una mosca bianca tra le produzioni action ad alto o anche medio budget. Gli autori di Ninja Gaiden non hanno la dimensione di Bethesda e Rockstar, e probabilmente hanno fatto bene a rimanere in un territorio più controllabile, stretti intorno a una classica (o vecchia, per alcuni) struttura a missioni. A mio modesto parere, Nioh avrebbe guadagnato punti da una migliore prestazione tecnico-visiva, o anche dall’inserimento del PvP al day one, ma per quel che mi riguarda non necessariamente da una raffazzonata identità open world. Qualche volta va bene anche così.
Una questione che mi ha sempre fatto impazzire è l’esatta definizione di open world in un videogioco, miscuglio di tecnologia e pura creazione. Se considerato dal punto di vista tecnico, è chiaro che un open world deve essere spazialmente continuo come pochi giochi riescono realmente a essere, magari con i trascurabili caricamenti che, ad esempio, troviamo in titoli pur diversissimi come GTA V, The Witcher 3: Wild Hunt o Tom Clancy’s The Division, esempi di rappresentazione grafica (quasi) senza interruzioni. Ovviamente non è possibile tirar fuori dal mazzo i titoli della già citata Bethesda, nonostante le piccole attese (o grandi, su un PC vecchio o una console) prima di entrare nelle location chiuse, e già nel loro caso è necessario accettare tante piccole eccezioni alla regola.
Team Ninja è rimasta ben stretta intorno a una più controllabile struttura a missioni
Da un certo punto di vista, in modo simile, non ho mai nemmeno capito perché alcuni ritengano che solo Dark Souls 2 e 3 siano esempi di open world, come se la struttura del primo fosse chiusa in se stessa. Al contrario, il level design a spirale di Dark Souls dovrebbe essere un esempio per tutti, e non sono certo le poche mappe separate – o la loro dimensione – a dirmi se si tratta per davvero di un mondo aperto. Lo è e basta, ed è pure uno dei più geniali che abbia mai ammirato.
Considero S.T.A.L.K.E.R. il padre di tanti action/sparatutto in prima persona ambientati in mondi aperti
Nioh mi è piaciuto tantissimo, e se avesse sfruttato le ambientazioni più ridotte per una prestazione grafica più convincente sarebbe stato anche meglio. Ancora più cristallino l’esempio del nuovo Hitman, di cui abbiamo pubblicato la recensione alla versione completa proprio in questi giorni: il gioco finale è una figata, a prescindere dall’idea un po’ rischiosa degli episodi pubblicati lungo l’anno, e così non sarebbe stato se si fosse trattato davvero di un open world – come sbandierato dagli sviluppatori nelle prime presentazioni, per spirito modaiolo più che per reali motivi. Hitman prende spunto da questo o quel capitolo per risultare il miglior simulatore di pelatone della sua storia, ma per il resto – come è giusto che sia – rimane ben ancorato a scenari e missioni separate, sbloccate in sequenza fino all’epilogo finale.
CD Projekt RED è riuscita a costruire un’ambientazione collegata senza interruzione persino con l’interno delle architetture
Solo i ragazzi di CD Projekt RED sono riusciti a costruire un’ambientazione magnifica, gigantesca e collegata senza interruzione persino con l’interno delle architetture. Non è nemmeno il caso di continuare a lodarli, ché l’abbiamo già fatto un gozzillione di volte, ma sono senz’altro loro il metro di paragone degli open world moderni sotto il profilo tecnico e stilistico, a cui gli altri non riescano nemmeno ad avvicinarsi. Di fronte ai creatori di The Witcher 3: Wild Hunt anche i giochi moderni di BioWare diventano tecnicamente tradizionali, per quanto questo non debba costituire un problema: m’interessa poco che la dimensione open world annunciata per Mass Effect Andromeda sia o meno simile a quella di Dragon Age: Inquisition, con scenari cosmici e planetari grandi ma di fatto slegati tra loro. M’interessa che gli sviluppatori lo infarciscano di personaggi e ambientazioni così ben scritti da sembrare vivi, in un gigantesco affresco che, d’altronde, è perfettamente nelle corde dello sviluppatore. Dàje.