Parlare di videogiochi è tenere un bollettino di guerra – L'Opinione

Oggi non avrei voluto parlare di industria dei videogiochi. Avrei voluto parlare di altro, di cose belle: inizialmente l’argomento di questo editoriale erano cinque giochi (circa) indie che ho giocato di recente; se siete curiosi, potete trovare quello che inizialmente avevo buttato giù qui. Avrei voluto evitarlo, dicevo, perché è un argomento di cui ho già parlato, sia qui su The Games Machine che altrove, e quando si scrive troppo spesso della stessa cosa, i demoni della monotonia e della ripetitività sono sempre in agguato. Ma dopo le notizie delle ultime due settimane, come si fa ad astenersi dal farlo?

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Chiaramente questa domanda non ha una risposta univoca. Non c’è niente di male nel parlare di altro. Ma di questi giorni faccio fatica a mettermi a scrivere di bei videogiochi, per forza di cose attività più riflessiva delle semplici chiacchierate con gli amici, tenendo la mente sgombra: mi è successo mentre stendevo la traccia che originariamente avrei voluto dare all’editoriale, sentivo che parlare di quei cinque giochi, tutti belli e facili da consigliare, era una comoda via di fuga, una distrazione. Un autoassolvimento. Forse è perché ho una formazione di tipo storico, e lo storico è quella persona che, per vocazione o senso di responsabilità, sente il dovere di raccontare le cose che sono successe, di non lasciare che vadano dimenticate, e forse questo si traduce nel modo in cui mi approccio alla questione. Non lo so.

NUVOLE CUPE

Quello che so è che le (lo so: tanto vane quanto ingenue) speranze che la fine del 2023 potesse essere una sorta di cesura, che potessimo lasciarci alle spalle quelli che sono stati dodici orribili mesi per chi nell’industria ci lavora, sono state rapidamente disattese. Il primo botto è venuto dalle parti di Riot Games: i creatori di League of Legends hanno infatti licenziato circa 530 persone, ovvero l’11% della loro forza lavoro. L’annuncio è stato accompagnato dalle solite frasi di rito che ormai siamo abituati a sentire: siamo cresciuti troppo, abbiamo investito male, ora tocca tagliare. Per carità: è pur vero che Riot è stata molto generosa con chi si è trovato senza un posto, andando ben oltre i (per la verità miseri) dettami dell’ordinamento statunitense: ma resta che fra chi ha perso il posto c’è gente che si era trasferita, magari anche emigrando apposta negli Stati Uniti, per poter lavorare a uno dei giochi più famosi al mondo, un’opportunità irripetibile e che non si presenta certo a tutti. Ed è un grande peccato anche la sospensione dell’etichetta Riot Forge, che seppur non coronata da grande successo commerciale ci ha regalato interessanti esperienze in quello che è un universo narrativo dal potenziale davvero affascinante.

dentro Blizzard, c’era chi guardava con fiducia e speranza all’acquisizione. E poi sono arrivati i licenziamenti

L’altra bomba è stato l’annuncio del licenziamento di circa 1900 persone dal settore gaming di Microsoft, in particolar modo dai dipartimenti di Activision-Blizzard-King, recentemente acquisiti. Anche qui, per carità: qualcuno potrà dire che purtroppo “ristrutturazioni” o “refocusing” del genere sono quasi la norma nel caso di fusioni, specie se così importanti. Ma millenovecento persone sono comunque tantissime, ed è doppiamente straziante se, come sottolinea dal suo profilo Twitter il giornalista Jason Schreier, per molti all’interno di ABK l’acquisizione era foriera di speranza in un nuovo corso, una specie di rinascita soprattutto per Blizzard, ultimamente piagata da molte controversie. E se da un lato leggere che, come segnalato da The Verge, negli ultimi tre mesi i profitti del settore gaming di Microsoft sono cresciuti del 49% non deve ingannare, dato che quest’ultima cifra è stata gonfiata dall’ingresso di ABK, dall’altro non si può fare a meno di pensare che quando Bobby Kotick se n’è andato dalla posizione di CEO, si è portato a casa 390 milioni di dollari; giusto per fare un paragone, il budget totale di Marvel’s Spider-Man 2 si è attestato intorno ai 315 milioni di dollari.

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Leggere notizie sui videogiochi, di questi tempi, è diventato un vero e proprio bollettino di guerra. Perché Riot e Microsoft sono state le due bombe, ma in mezzo c’è un sacco di altra roba. C’è Embracer che cancella un Deus Ex in lavorazione da due anni e licenzia gente da Eidos Montreal. C’è Square Enix che ha mandato a casa tutto lo staff di Tokyo RPG Factory. Nemmeno chi si trova sotto l’ala di Devolver Digital, publisher beniamino dei gamer appassionati di indie e che ha sempre fatto della sarcastica critica all’industria uno dei cavalli di battaglia della sua immagine, è al sicuro: circa metà dello studio dietro Showgunner ha infatti dovuto dire addio alla sua scrivania.

perché rischiare investendo nei videogiochi, quando in banca quei soldi ti fruttano il 5%?

C’è Tencent che si lamenta di “non aver raggiunto nessun risultato” nel campo dei videogiochi, nonostante decine di acquisizioni e investimenti importanti nell’industria. E secondo alcuni le prospettive per il futuro non sono particolarmente rassicuranti. Un recente articolo di Gamesindustry, che cita fonti interne all’industria e importanti investitori, dice che se il 2023 è stato l’anno dei licenziamenti, quello del 2024 sarà quello delle chiusure di studi. “Perché rischiare investendo in una compagnia di videogiochi quando puoi mettere quei soldi in banca e guadagnare il 5%?”, si è chiesto uno degli intervistati. Chiaramente, l’articolo di Gamesindustry è una speculazione su ciò che succederà nei prossimi anni; e per quanto autorevole, qualunque speculazione può venire disattesa dai fatti. Ma non sono certo discorsi che riempiono il cuore di gioia.

E spiace, perché non è tutto brutto nel mondo dei videogiochi. Parlo per me, ma non riesco a non guardare con entusiasmo all’8 febbraio, quando finalmente uscirà Helldivers 2. O a qualche settimana più in là, quando sarà il turno di Homeworld 3. O ancora a giochi come Hades 2, o al DLC di Elden Ring (sperando che si veda presto qualcosa di concreto). Sopratutto il mercato indipendente non manca di riservare belle sorprese, di questi tempi; di alcune ho scritto in quell’editoriale mancato a cui ho accennato in apertura. Ma ignorare quella nuvola nera che sta sopra tutto questo diventa ogni giorno più difficile.

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