Facce da TGM – L’Opinione è lo spazio dedicato alle “columns” di The Games Machine: articoli e visioni su argomenti caldi o fortemente dibattuti che animano le discussioni, anche molto dure, all’interno della redazione di TGM, talvolta con posizioni – davvero o solo in apparenza – antitetiche. L’obiettivo è dar voce ai nostri redattori come specchio del quadro complesso e articolato, talvolta persino controverso, che circonda il mondo dei videogiochi, all’interno di confini dettati da etica e buon gusto ma senza depotenziare il messaggio e, così, la ricerca di confronto su temi sensibili e delicati. Buona lettura!
Matteo (nome di fantasia) è appena tornato a casa dopo una lunga giornata di lavoro. Dopo aver mangiato qualcosa al volo accende il PC per fare una partita al suo sparatutto preferito: vuole solo passare del tempo in tranquillità, staccare dalla routine della vita quotidiana per ricaricare le batterie prima di tornare a essere ancora una volta un piccolo ingranaggio della società moderna. Dopo aver chiuso il gioco nota qualcosa sulla home page di Steam: finalmente un gioco che fa per lui! Un gioco per chi si è rotto le scatole della politica nei videogiochi! Un gioco per chi vuole giocare e basta!Quella che state leggendo è la storia di una persona comune. Matteo è un impiegato che lavora otto ore al giorno. Ha un lavoro stabile, una ragazza con cui un giorno vorrebbe metter su famiglia, delle persone che gli vogliono bene, un buon giro di amici con cui gioca a calcetto più o meno ogni settimana. A Matteo piacciono i videogiochi, ma ultimamente si sta disaffezionando dal suo hobby. “Troppe opere politiche”, dice.
I BEI TEMPI ANDATI
Un tempo non c’era così tanta propaganda progressista nei videogiochi. I bei tempi in cui le software house non avevano secondi fini e le uniche protagoniste femminili erano Lara Croft e Kate Walker, o al massimo le belle donzelle scosciate di Dead or Alive. Quando i videogiochi non dovevano avere per forza la quota LGBTQ+ o il personaggio di colore. Quando non trovavi messaggi ecologisti in un videogioco sì e uno no. “Oggi Duke Nukem non potrebbe mai uscire,” scrive Matteo in un gruppo di persone che la pensano proprio come lui. Lo stesso gruppo di spiriti affini in cui ha linkato la pagina di quel gioco comparso in home su Steam. “Ne compro tre copie,” gli hanno risposto.
Si intitola The Great Rebellion ed è realizzato da un gruppo di sviluppatori “basati”, un team deciso a sfidare le logiche progressiste del mercato e della società moderna. Un videogioco dallo spirito anti-globalista, politicamente anti-conformista, ambientato in un futuro distopico in cui l’umanità è costretta ad allinearsi ai dettami dei potenti che vogliono l’omologazione al pensiero unico. Un videogioco in cui ci sono sì trans e drag queen, ma sono nemici da riempire di pallettoni. Boss di fine livello da sconfiggere per certificare l’elevato tasso di testosterone del giocatore.
Perché Matteo non vuole la politica fuori dai videogiochi. Matteo vuole solo certa politica fuori dai videogiochi. A Matteo non dà fastidio se il suo sparatutto preferito è usato come mezzo di propaganda da una frangia del Partito Repubblicano statunitense. Non gli importa se The Great Rebellion è sviluppato da un team che non nasconde simpatie neo-naziste o delle idee aberranti sul ruolo delle donne, uno studio esplicitamente omofobo e transfobico (gli sviluppatori hanno anche un canale Telegram farcito di deliri complottisti e propaganda suprematista). Non gli interessa tutta la polemica che ha circondato, per esempio, Hogwarts Legacy e il ruolo della Rowling.
Nel frattempo i videogiochi sono diventati mainstream e si stanno pian piano rivolgendo a nuove tipologie di pubblico
POLITICA E VIDEOGIOCHI: IL CASO LGBTQ+
Secondo il rapporto, più del 60% dei videogiocatori eterosessuali dichiara che la presenza di personaggi LGBTQ+ nei videogiochi non ha alcun impatto nella decisione di acquistare o meno un determinato prodotto, dimostrando che le persone come Matteo sono di fatto una minoranza. Molto rumorosa, ma pur sempre una minoranza. Tuttavia quello dei videogiochi è il settore dell’intrattenimento più indietro in quanto a rappresentazione e inclusione di personaggi LGBTQ. Basti pensare che meno del 2% dei videogiochi in vendita sulle principali console affronta tali tematiche. Va relativamente meglio su Steam, dove i titoli con l’etichetta LGBTQ+ rappresentano il 2,5% dell’intero catalogo; tuttavia la percentuale scende all’1,7% se si escludono i videogiochi per adulti con contenuti sessuali espliciti.
A fronte di un pubblico sempre più disposto ad accettare queste tematiche, dunque, gli sviluppatori e i publisher sembrano reticenti a seguire l’evoluzione della società. Di contro, la percezione falsata di quella minoranza rumorosissima cui facevo cenno poc’anzi sembra avere la meglio. Ricordate le polemiche che hanno preceduto l’uscita di The Last of Us: Parte II?
Vi svelo un segreto: tutti i videogiochi, come qualsiasi opera d’ingegno, sono intrinsecamente politici. Anzi, qualsiasi nostra azione è politica. La politica non è solo quella che si fa in parlamento. Politica è anche decidere se comprare le uova da allevamento intensivo o quelle biologiche di galline allevate a terra. È politica girarsi dall’altra parte mentre si consuma un genocidio. È una scelta politica andare a lavoro con l’automobile, con la bicicletta o con i mezzi pubblici. È politica guardare la finale di Supercoppa in Arabia Saudita.
Voglio quindi lasciarvi con una domanda: per quale motivo Call of Duty che riscrive la storia va bene, mentre per un bacio omosessuale tra due ragazze ci si straccia le vesti?