La scorsa settimana, nella prima puntata di questo approfondimento, ho trattato l’idea di “Casa” nel mondo dei videogiochi intesa come “Luogo-altro” nel quale è ambientata tutta l’esperienza e che si trova ad essere quasi sempre totalmente differente rispetto alla realtà di tutti giorni. Luoghi separati e lontani dalla quotidianità, pieni di mistero ed eventi straordinari, talmente densi e iconici da diventare familiari e poter essere chiamati dal giocatore, a pieno diritto, case.
Dopo aver approfondito alcuni dei più famosi “Luoghi-altri”, come Villa Spencer di Resident Evil e Rapture di BioShock, è il momento di trattare il modo specifico con cui questi luoghi vengono caratterizzati, attraverso due momenti fondamentali di questo tipo di esperienze: Ingresso e Uscita.
INGRESSI
Fra gli elementi che si distinguono nettamente e si ripetono per tutti i titoli presentati c’è l’idea di un certo modo di entrare in questi luoghi-altri. Nello scorso articolo ho citato il Velo di Maya non a caso. C’è sempre una certa idea di scostare, rimuovere qualcosa che si frappone fra noi e la realtà vera, quella in cui si sta entrando, quella misteriosa che non potevamo conoscere e che ci arricchirà una volta usciti all’esterno. C’è sempre l’idea di guardare, di scrutare dallo spioncino della porta, la realtà che si cela dall’altra parte e che ci cambierà per sempre. C’è sempre l’idea di sgattaiolare, entrare dal basso, non visti, soli e isolati dal resto della società, compiere un breve tragitto, un breve corridoio, un sentiero che collega due piani materiali, quella che potremmo definire una “soglia” (e dopo vedremo perché) fra il nostro mondo e un altro, diverso e affascinante. Se ci pensiamo, oltre alle opere d’arte esterne al videogioco già citate è lo stesso che vale anche per la Città Incantata dello Studio Ghibli, c’è sempre una soglia, qualcosa da attraversare. Villa Spencer si offre a noi spalancando le pesanti porte principali, dandoci il benvenuto nel nuovo mondo dei Survival Horror, senza che si possa più tornare indietro, “fuori è troppo pericoloso”, la soglia è stata attraversata e bisogna portare a compimento l’avventura. Resident Evil 2 ci fa sgattaiolare all’interno della Stazione di Polizia passando dal retro, non dall’ingresso principale, si attraversa un piccolo corridoio sotterraneo per poi risalire e una volta risaliti siamo ormai di fronte alla Stazione, luogo di tutta l’avventura. Uscire non si può, la città è infestata, forse vicino alla polizia è più sicuro…
IL NOSTRO INGRESSO IN QUESTI LUOGHI-ALTRI È SOLITAMENTE ASSOCIATO A UNA DISCESA, CHE SIA ESSA FISICA O METAFORICA
USCITE
A fare da contraltare agli ingressi che abbiamo visto essere quasi sempre dal basso o verso il basso, attraverso fessure e pertugi, soglie che delimitano questo mondo dall’altro, ci sono le uscite. L’uscita rappresenta il completamento della missione, il termine dell’avventura, il tornare nel nostro mondo dopo averne visitato uno straordinario. A livello materiale le uscite si caratterizzano allo stesso modo delle entrate, lo spostamento è verso l’alto oppure verso l’esterno, e lo possiamo osservare in tutti gli esempi citati in precedenza. Molto spesso si può attuare anche la distruzione del luogo-altro nel quale siamo passati, proprio a testimoniare l’eccezionalità e l’irripetibilità di quei momenti. In Resident Evil, per esempio, la scena finale si svolge sull’eliporto della villa, dove un elicottero verrà a recuperarci. In questo senso abbiamo uno spostamento verso l’alto e un allontanamento aereo e repentino dal luogo dove avvengono tutti gli eventi del gioco.
In Resident Evil 2 non c’è un vero e proprio movimento verso l’alto ma è presente l’uscita da una galleria, quella del treno che ci porta fuori da Raccoon City. Il varco della galleria rappresenta la soglia oltre la quale si torna al mondo “reale” fuori dal luogo-altro che ci ha visti protagonisti. Stesso discorso si può fare per Metal Gear Solid: anche qui la fase finale si svolge all’interno di una galleria con l’ultima scena proprio fuori da questo tunnel. Nel titolo di Hideo Kojima non solo abbiamo questa coincidenza specifica fra tutto quello che abbiamo visto fra entrata e uscita, ma anche i temi del gioco raccontano di un cambiamento, un prima e dopo per il protagonista che non può più essere lo stesso (o può finalmente essere sé stesso) dopo ciò che avviene a Shadow Moses. Con BioShock invece torna il movimento verso l’alto ma è contemporaneamente presente anche l’uscita, il varcare la soglia, in questo caso del mare, che ci riporta al mondo noto e conosciuto. Come si può vedere da quanto mostrato, la dialettica entrata-uscita è un elemento corrispondente a tutti gli esempi selezionati e delimita i confini entro i quali si svolge l’avventura straordinaria che come giocatori ci troviamo a vivere.
IL CASO MODERNO: CONTROL E L’OPEN WORLD
Tutta la riflessione posta finora in realtà poggiava sul rendermi conto di quanto Control di Remedy (2019) fosse un unicum nel panorama moderno dei videogiochi, spesso ormai riferiti al concetto di Open World senza il quale sembra non essere possibile creare un’avventura lunga, stimolante e dall’ampio respiro. I talentuosissimi ragazzi capitanati da Mikael Kasurinen e Sam Lake hanno riproposto brillantemente molti dei concetti qui espressi e che sembravano ormai appartenere a molte generazioni passate. Control ci mette nei panni di Jesse Faden, una ragazza che spinta da una certa ossessione nella sua testa si ritrova ad entrare all’interno della Oldest House, una strana casa (e questa è davvero una casa!) nella quale si trova il quartier generale del Federal Bureau of Control, un dipartimento degli Stati Uniti che si occupa di investigare il paranormale e le stranezze del nostro mondo. È opportuno trattare Control in quest’ultima sezione dell’articolo proprio perché recupera e riassume brillantemente quanto ho espresso finora e lo fa andando a compensare la necessità ineluttabile di sviluppare avventure longeve e “aperte” della modernità.
la particolarità di Control va inserita in quello che è il panorama odierno dei videogiochi
Il gioco si apre con la riflessione della protagonista sul fatto che siamo abituati a vivere all’interno di una stanza stretta di cui fissiamo il poster sulla parete pensando che ciò che abbiamo intorno sia la vera realtà, ma c’è un intero mondo, il vero mondo dietro a quel poster che aspetta solo di essere scoperto da chi ha il coraggio di scostare il “poster di Maya” (avevo detto che sarebbe tornato) e scoprire ciò che c’è dietro. Il fatto che questa assunzione sia posta all’inizio del gioco è indice del fatto che gli sviluppatori fossero pienamente consapevoli delle dinamiche che abbiamo scritto fin qui. Scostare il poster, o se preferiamo entrare nella Oldest House (e soprattutto assumersi l’incarico di Direttore), sono le soglie da superare per accedere a una realtà totalmente diversa, più densa e pregna di stranezza ma forse anche più carica di significato e verità.
LA SOGLIA CHE SUPERIAMO PER ENTRARE NELLA OLDEST HOUSE CI PERMETTE DI SCOSTARE IL POSTER, ACCEDENDO A UNA REALTÀ TOTALMENTE DIVERSA
“Everything here is crazy, weird, but it feels…right. Like how the world should be. I’m in an infinite building leading to different dimensions, and I never wanna leave. Even with all the horror, I’m happy. It feels sane. Or just the right kind of insane.”
Questo articolo è stato scritto per The Games Machine da Frequenza Critica, il blog italiano di approfondimento videoludico.