L'inventario nei videogiochi: un dilemma insolvibile

I videogiochi danzano spesso tra volontà di verosimiglianza e necessità di creare meccaniche ludiche. Una eterna domanda in proposito è come organizzare l’inventario.

inventario survival horror

Quando nel 1998 siamo entrati per la prima volta a villa Spencer abbiamo ben presto dovuto fare i conti con situazioni nuove e una domanda frustrante: ma perché una chiave occupa lo stesso spazio di un fucile? Resident Evil ha esordito in quegli anni coniando il termine Survival Horror e introducendolo nella cultura pop per sempre. E ha anche posto un nuovo dilemma a qualsiasi sviluppatore volesse creare un gioco in terza persona, che fosse TPS, Stealth, Survival o ibridi vari: come facciamo l’inventario?

SPAZIO LIMITATO, SCELTE IMPORTANTI

Abbiamo visto un po’ di tempo fa la versatilità dei termini survival horror e di come possano collegarsi a varie esperienze videoludiche e proprio queste, negli anni, hanno meglio esplorato una situazione. Ok, è vero che è un videogioco. Ok, è vero che in quanto tale, va chiesta all’utente un po’ di sospensione dell’incredulità. Però è vero anche che, più la grafica si fa fotorealistica, più fa strano trovare personaggi in grado di portarsi appresso 30 chili di equipaggiamento. Fa doppiamente strano che suddetti oggetti compaiano dal nulla in mano al protagonista come se fossero stati riposti in qualche piega spaziotemporale.

inventario survival horror

Non c’è niente di male nel non porsi affatto la questione: Silent Hill è stato per molto tempo un egregio rappresentante del genere e la sua reputazione di saga horror non è mai stata minacciata dalle illimitate tasche del protagonista. A fare la differenza ci pensa Silent Hill 4: the Room, che per la prima volta nella serie poneun nuovo problema, ossia il limite agli oggetti trasportabili.
Fortunatamente tutto poteva essere radunato nella cassapanca dell’appartamento del protagonista, centrale nella narrazione e luogo di frequenti avanti e indietro. Ma nel momento in cui si andava in esplorazione lo spazio aveva degli inesorabili limiti. Anche nell’improbabile caso di avere raccolto diversi caricatori di scorta per la pistola, il buon Henry se ne faceva poco se doveva salvare spazio anche per la mazza da baseball e qualche artefatto strambo che certamente sarebbe servito per risolvere un puzzle poco dopo.

SILENT HILL ARRIVA PIÙ TARDI ALLA QUESTIONE DELL’INVENTARIO. RESIDENT EVIL, INVECE, CI CHIEDE DI PENSARCI FIN DA SUBITO

Resident Evil si pose tale questione da subito, facendo dell’inventario limitato una costante che ha accompagnato la saga per anni. Potremmo dire per tutto il “filone Raccoon City”, dal capitolo 0 fino a Code Veronica. Il concetto di fondo era semplice: i protagonisti hanno un limitato numero di box, che possono essere 4, 6,8 o 10 a seconda del capitolo, livello di difficoltà, upgrade, varie ed eventuali. Ogni oggetto, indipendentemente dal tipo, occupa un box, con l’eccezione delle munizioni, che possono essere accumulate. Gli oggetti in eccesso possono essere riposti in appositi bauli disseminati nel mondo di gioco e che comunicano tra di loro. Vale a dire che il baule che troveremo a 2 minuti dal boss finale conterrà ogni oggetto che abbiamo riposto in ogni altro, magari persino all’inizio del gioco. Insomma, non è il protagonista ad avere accesso a bizzarri spazi infradimensionali, bensì sono i bauli. Resident Evil 0 optava per una soluzione più radicale proponendo armi ingombranti che occupavano 2 box e l’idea che, se avessimo abbandonato un oggetto da qualche parte, in caso di bisogno saremmo dovuti andarlo a riprendere. Non importa fino a dove. Niente bauli, niente eccezioni.

I due Outbreak, primi esperimenti che tentarono di portare il franchise in un contesto multiplayer collaborativo, proponevano invece tasche molto strette (4 box a testa+oggetto speciale dedicato al singolo personaggio) proprio per invitare i giocatori a organizzare strategie assieme, magari adibendo un personaggio a combattente con i fucili grossi e un altro a medico, che sarebbe stato rigorosamente dietro, passandosi di mano gli oggetti più appropriati. Dobbiamo arrivare a Resident Evil 4 per trovare un punto di rottura anche in questo aspetto. Le armi sarebbero state organizzate in un sistema d’inventario in stile Tetris, dove differenti oggetti avrebbero occupato un differente numero di box e avremmo dovuto organizzarli ruotandoli, spostandoli, incastrandoli, combinandoli, manco stessimo preparando lo zaino per un viaggio interrail. Gli oggetti chiave invece, avrebbero occupato un illimitato spazio a parte. La serie è poi proseguita con una certa indecisione nel prendere scelte definitive, ma non si può certo dire che non abbia esplorato la domanda da cui siamo partiti. Appurato che vogliamo mettere i protagonisti in situazione di svantaggio e che non vogliamo allontanarci troppo dai limiti umani, come facciamo a organizzare l’inventario?

Diversi giochi hanno provato a dare diverse risposte risposte a questa domanda, a volte influendo radicalmente con l’esperienza finale. Daymare: 1998 dota i suoi personaggi di pochissime armi che rimangono a vista nelle varie fondine, però senza abbandonare il concetto di save room. Metro chiede di scegliere ad ogni accampamento quale duo o trio di armi portarsi appresso, con il rischio di escludere proprio la categoria che nel segmento successivo ci sarebbe stata più utile. Diversi TPS o FPS hanno adottato la formula delle sole 2 armi interscambiabili.
Eppure anche in questi giochi, seppur in una forma molto mitigata, c’è quel senso di progressione tipico dell’esperienza videoludica. Anche con questi limiti i personaggi diventavano più capaci, acquisivano strumenti sempre più utili o miglioravano quelli già in loro possesso con vari upgrade. All’ultima ora di gioco prima dei titoli di coda ci ritroviamo un personaggio diverso rispetto a quello con cui abbiamo iniziato. Più equipaggiato, più pronto.

L’INVENTARIO SECONDO CONDEMNED E ALONE IN THE DARK

Ci sono stati però esperimenti che hanno adottato un approccio più radicale rimuovendo del tutto qualsiasi opzione offensiva, come gli horror “scappa e nasconditi” alla Outlast. Oppure limitando l’inventario in modo diverso dagli ormai fidati sistemi dei box o del peso. Agli albori di Xbox 360 Monolith, gli stessi sviluppatori dell’acclamata serie F.E.A.R., fecero la loro proposta tra i giochi di lancio con Condemned: Criminal Origins. Lo ricordo ancora come uno dei giochi più densi e tetri al quale io abbia mai giocato, un’esperienza quasi stressante. Tutto contribuiva a scoraggiare il giocatore, dagli scenari bui e claustrofobici, al sound design che esaltava i nostri passi sulle diverse superfici di edifici disabitati. Ma un dettaglio ci interessa più degli altri in questo articolo: per tutta la durata del gioco, senza alcuna eccezione, avremmo potuto portare con noi solo un’arma per volta. E il pulsante normalmente adibito alla ricarica qui sarebbe servito per controllare manualmente quanti colpi erano rimasti, in quanto questa informazione non sarebbe stata costantemente presente a schermo. Questo ovviamente, a patto di aver trovato armi da fuoco. Normalmente avremmo dovuto arrangiarci con spranghe e mazze improvvisate di vario genere, combattendo a distanza ravvicinata con l’unico jolly dato dal taser, che avrebbe stordito i cattivi per qualche attimo. Unico oggetto offensivo al quale era permesso restare in tasca.

Questa dinamica creava un dilemma ogniqualvolta avevamo l’occasione di raccogliere qualcosa. Avremmo dovuto riflettere su quale arma poteva essere più utile al protagonista in quell’istante, per magari rimpiangere amaramente la decisione pochi minuti dopo. E adattarsi di conseguenza, facendo il meglio che potevamo con lo strumento sbagliato che avevamo. Scegliere un’arma da fuoco rispetto a un mazzuolo poteva sembrare una buona idea, ma ci sono da specificare due cose. La prima è che non era detto di trovarle con il caricatore pieno; essendo armi abbandonate in giro chissà cosa è successo in precedenza. La seconda è che proprio per questa ragione eravamo portati a misurare ogni colpo, a prendere rischi lasciando avvicinare i nemici. Molto, molto raramente in questo gioco ci saremmo messi a correre.

Il gioco ha anche avuto un sequel, Condemned: Bloodshot, inspiegabilmente mai arrivato su PC. Tuttavia, per i fan delle atmosfere horror sono esperienze da non farsi sfuggire. L’ambientazione rimane costante, ossia i sobborghi metropolitani. Stretti corridoi, seminterrati, stazioni della metro abbandonate, condomini enormi nei quali non ci si conosce neanche tra vicini di casa. E nella quale si sta consumando un’epidemia di follia violenta che il protagonista, l’agente Ethan Thomas, non ha altra scelta che investigare con i pochi alleati rimasti. Il resto del mondo è sullo sfondo. Possiamo intuire che l’epidemia sta progredendo in città, ma il margine di azione di Ethan sarà sempre relegato ai labirintici edifici dei sobborghi, addentrandosi nell’oscurità in cerca di risposte.

inventario survival horror

Un altro esperimento estremo dal punto di vista dell’inventario è stato Alone in the Dark, il reboot del 2008. Abbandonando l’arsenale del suo predecessore, questo gioco reinventava la serie provando una moltitudine di nuove meccaniche, trasformandosi in un film d’azione horror giocabile. Negli stessi 5 minuti poteva capitare di guidare un veicolo, lanciarlo a tutta velocità verso un gruppo di nemici saltando fuori un momento prima per poi scalare una parete con l’aiuto di cavi penzolanti e prendersi cura dei mostri assatanati lì sopra con un lanciafiamme artigianale fatto con antiruggine, nastro e accendino. Perché l’unica pistola a disposizione era scarica. Le intenzioni di Eden Games erano quelle di abbandonare l’idea del detective sempre calmo e preparato andando invece verso situazioni che richiedessero una forte capacità di improvvisazione. Qui l’inventario è concettualmente simile a quello dei primi Resident Evil, ma con una specifica importante: lo spazio realmente occupato da un oggetto conta.

IN ALONE IN THE DARK, L’INVENTARIO ERA CARATTERIZZATO DAL NUMERO DI TASCHE A DISPOSIZIONE DI EDWARD

Le risorse che potevamo portarci appresso avevano lo stretto limite del giubbino tattico del nuovo Edward Carnby, che è vero che ha molte tasche, ma sono tasche piccole. Tasche interne da situazioni di tutti i giorni dove mettiamo il cellulare, portafogli, un paio di guanti, magari il nostro pacchetto di mentine preferite. Nella distopica situazione di Edward, il tempo di trovare una torcia, un coltellino a serramanico, nastro adesivo e un rotolo di bendaggi ed ecco che il fidato indumento era già mezzo pieno. Alone in the Dark 2008 si atteneva a ciò che era realisticamente possibile a livello di spazi e portabilità, e l’intero gioco era stato organizzato su questo. Avere la meglio sui nemici non era questione di avere fucili più grossi. L’unico punto debole degli indemoniati avversari è il fuoco e per ogni scontro era necessario osservare bene l’ambiente circostante tentando di capire come provocarlo e come usarlo a proprio vantaggio.

inventario survival horror

Capitava così che un’auto ormai inservibile poteva essere forata in modo da farle spillare olio o benzina, così da avere un punto trappola a cui tornare se fossimo stati inseguiti da un gruppo di bestioni. Suddetto liquido poteva anche esser raccolto in una bottiglia e sacrificando un po’ di benda, poteva diventare una molotov. Per lo stesso ragionamento, i luoghi più interessanti in cui equipaggiarsi diventavano a questo punto i vari ripostigli adibiti alle pulizie. Attaccando l’accendino a un buon spray antiruggine, ecco che Edward aveva un provvisorio lanciafiamme. E magari c’era anche la cassetta del pronto soccorso. In questo gioco la pistola, l’unica arma convenzionale che troveremo nel corso dell’esperienza, diventava quasi una tradizione, un qualcosa che è “normale” ci sia nel genere. Dopotutto parliamo di un gioco d’azione con i mostri che si apre con una fuga ad alta velocità tra palazzi che crollano sotto un terremoto tra le note orchestrali neoceltiche di Olivier Deriviere, ma è per molti versi lo strumento offensivo meno utile e creativo e di certo da solo non avrebbe portato da nessuna parte. I momenti nell’inventario, letteralmente rappresentato da un’inquadratura in prima persona del giubbino aperto, sarebbero quindi stati dedicati a combinare al meglio i vari oggetti di fortuna, in cerca della configurazione più bilanciata possibile. È notizia recente di un nuovo tentativo di riportare Alone in the Dark nella forma di un nuovo reboot . Non che ormai potessimo aspettarci un sequel dell’esperimento del 2008 dopo più di 10 anni, ma al netto di tutte le sue pecche fu un gioco che aveva veramente creduto nelle novità che tentava di portare e non mi spiacerebbe rivedere ancora il concetto “se ci sta in tasca bene, altrimenti lo lasci lì”.In termini di tono e narrativa Condemned e Alone in the Dark 2008 non potrebbero essere esperienze più diverse. Però le scelte che hanno preso nell’interpretare la questione dell’inventario li hanno portati a una situazione nuova, ossia al non avere quell’elemento di progressione tipico di un Resident Evil, dove da timidi superstiti si arriva allo scontro finale con un arsenale degno di un reggimento, magari con la barra dell’energia raddoppiata. In questi giochi che abbiamo osservato invece, quello che è vero nella prima mezz’ora sarà attuale anche nell’ultima. Da un lato può sembrare una scelta limitante in termini di varietà, dall’altro lato riversa il senso di progressione interamente sul giocatore. Quando non c’é nessun upgrade che cambia le regole del gioco, quando il successo non dipende dagli strumenti tutto ciò che abbiamo pad o tastiera alla mano sono la nostra esperienza e capacità di improvvisazione.


Questo articolo è stato scritto per The Games Machine da Frequenza Critica, il blog italiano di approfondimento videoludico.

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