Amnesia: A Machine for Pigs e il secolo breve

Rivoli di sangue scorrono sotto le strade di Londra. È il carburante del XX secolo, in procinto di mettere in moto la grande macchina del mondo. È il 31 dicembre del 1899, siamo all’alba di un nuovo secolo, un nuovo mondo, un nuovo Essere: questo il contesto in cui ci trascina Amnesia: A Machina for Pigs.

I videogiochi offrono una gran quantità di titoli ambientati nel passato; dalla preistoria all’Impero Romano, dal Rinascimento alla Rivoluzione Industriale, il numero di opere in grado di darci l’opportunità di interagire con luoghi e storie passate è altissimo. In questa categoria rientra a pieno titolo anche Amnesia: A Machine for Pigs, frutto della collaborazione tra The Chinese Room (Dear Esther, Everybody’s Gone to the Rapture) e i creatori della serie Amnesia, Frictional Games. a machine for pigsVolonterosi di dare nuova linfa vitale alla serie, divenuta famosa grazie all’enorme successo di critica e di pubblico di Amnesia: The Dark Descent, i due studi hanno deciso di sacrificare parte delle meccaniche apprezzate nei due capitoli precedenti per dare risalto alla narrazione. Il risultato non è stato apprezzato dai fan storici della saga che, seppur lodando le doti narrative di A Machine for Pigs, hanno scatenato una pioggia di critiche negative nei confronti di The Chinese Room, colpevole di aver privato il gioco di quelle meccaniche e di quell’approccio che insieme avevano reso i primi due capitoli esperienze terrificanti. Delle scelte di design adottate da The Chinese Room e Frictional Games avremo tempo di parlare. Ciò su cui vorrei concentrarmi sono le scelte di Daniel Pinchbeck, designer e sceneggiatore di Pigs nonché uno dei fondatori di The Chinese Room. Pinchbeck, anziché limitarsi ad una sterile riproduzione architettonica della Londra del 1899, dedice di dare al giocatore l’opportunità di osservare da vicino, attraverso il genere horror, società, cultura, economia, modi di produzione, sogni e paure del tempo.

Volonterosi di dare nuova linfa vitale, i due studi hanno deciso di sacrificare parte delle meccaniche dei capitoli precedenti in funzione del racconto

È un’operazione che rigetta il concetto di turismo interattivo, dando priorità al racconto di un’epoca immersa nelle ansie e nelle speranze di quel periodo che gli storici chiamano fin de siècle, animato da dibattiti sul progresso tecnico-scientifico e sui mutamenti sociali, culturali ed economici che hanno inaugurato, non senza un pizzico di timore, l’inizio del nuovo secolo.

Di cosa parla Amnesia: A Machine for Pigs?
Prima di addentrarci nell’analisi vera e propria, è bene fare un piccolo passo indietro, così da avere gli strumenti necessari per analizzare insieme, pezzo per pezzo, i numerosi aspetti di questa opera. Ciò che segue è un riassunto della storia, dall’inizio alla fine.

Sono l’Impero alla fine della decadenza,
che guarda passare i grandi Barbari bianchi

Come già anticipato, il racconto ha inizio il 31 dicembre del 1899. Il protagonista, Oswald Mandus, è il proprietario di una grande fabbrica che si occupa della lavorazione delle carni. Sua moglie, morta poco dopo il parto, ha lasciato lui due gemelli. Al suo risveglio dopo una forte febbre scopre che la fabbrica è vuota e che i suoi figli sono scomparsi. Verrà contattato da una figura misteriosa che ne indica la posizione: i due sono intrappolati nella Macchina, un colossale marchingegno costruito nei sotterranei della fabbrica. Il misterioso interlocutore non rivelerà subito la sua identità, limitandosi ad indicargli la via da percorrere. Inizia così una discesa nei meandri della fabbrica, infestata da strane creature simili a maiali antropomorfi. Arrivati ad un certo punto del racconto, ci viene chiesto di riparare la macchina così da poter liberare i due bambini: detto fatto. La macchina viene attivata e Londra viene invasa da un esercito di manpigs che massacra la popolazione. La misteriosa voce non è altro che l’anima di Mandus scissa in seguito al contatto con il Globo, un antico manufatto rivenuto in una spedizione in Messico. L’artefatto gli mostra il XX secolo: genocidi, deportazioni, massacri e conflitti di ogni genere vengono vissuti in prima persona. Come se non bastasse, nelle sue visioni intravede la triste fine dei due figli, che rimarranno feriti a morte durante la battaglia della Somme. Deciderà dunque di ucciderli con le proprie mani per risparmiare loro la morte violenta che li aspetta.

Offuscato dal dolore e dalla rabbia, Mandus utilizza tutti i suoi risparmi e la sua forza lavoro per la costruzione di una macchina in grado di mettere fine al genere umano, che verrà animata proprio da quella parte del suo animo intrisa di disfattismo e disgusto nei confronti dell’uomo. La Macchina diventa senziente e, in un momento di lucidità, Mandus decide di sabotarla, portandoci così a inizio gioco. Addentratosi nel cuore della Macchina, Mandus decide di morire assieme alla sua creazione, ma non prima che quest’ultima lo avvisi su quello che il XX secolo ha da offrire: morte e miseria. Il gioco si chiude con il suono delle campane che inaugurano il nuovo secolo.

La Macchina contemporanea

Il 1899 è parte di un periodo in fermento: da tempo, le famiglie si spostano nelle grandi città per lavorare nelle industrie, che determinano vita e morte del tessuto sociale. L’esistenza viene organizzata attorno al lavoro, rivoluzionando così il ruolo che la famiglia occupa all’interno della società. Genitori e figli, nella migliore delle ipotesi, lavorano gomito contro gomito nelle fabbriche. Le condizioni sono precarie e ogni forma di dissenso viene repressa nel sangue, col benestare dello Stato che concede sempre più libertà alle industrie in nome del “progresso”. L’alternativa è una vita di stenti.

«Il XIX secolo non portò alcun miglioramento dell’etica del capitalismo. La Rivoluzione industriale che si propagò velocemente attraverso l’Europa arricchì banchieri e detentori di capitali, ma condannò milioni di lavoratori a una vita di abietta povertà.» (Sapiens. Da animali a dèi, Yuval Noah Harari, p.412).

Mandus rappresenta l’eccezione: è un capitalista che cura i propri interessi ma anche quelli dei suoi operai. Prima della fatidica spedizione, deciderà infatti di migliorare i sistemi di sicurezza all’interno della fabbrica, così da ridurre il rischio di incidenti sul lavoro. Come se non bastasse, rifiuta di sfruttare il lavoro minorile.

Ed è proprio qui che iniziano i suoi problemi.
La fabbrica produce pochi introiti e la concorrenza, che non si pone alcun limite di natura etica, rischia di far sparire l’attività dal mercato. Qui inizia il suo viaggio in Messico tra le rovine Azteche, alla ricerca di quel miracolo, quell’innovazione tanto agognata dai capitalisti che non farà altro che decretare la sua fine. Il Globo non porta alcun rinnovamento miracoloso, ma solo sventura.
Mandus si incupisce, lo spirito bonario e filantropo viene soppiantato da un odio senza limiti: inizia ad utilizzare bambini per pulire le enormi tubature e, in caso di morte, i loro corpi ustionati vengono dati in pasto ai maiali. Si serve dei poveri, degli orfani, delle prostitute e dei diversamente abili per condurre i suoi esperimenti: la creazione di un esercito di uomini-maiale.
Diversamente da quanto potrebbe sembrare, egli non nutre un profondo disgusto solo per le classi meno abbienti. Il suo odio è riversato anche sulla borghesia, descritta come un gruppo di individui decadenti dediti al profitto e alle pratiche più immorali. In alcuni documenti sparsi per il gioco, il protagonista descrive i banchetti che era solito organizzare: intere tavolate ricolme di cibo per l’alta società londinese, che all’occorrenza veniva prima stordita, poi imprigionata e infine utilizzata come cavia. Qui la scelta narrativa di The Chinese Room si fa interessante: in un certo senso, la ricerca del profitto è il motivo che porterà Mandus alla follia. Una follia non di tipo delirante, ma lucida. Ha intravisto gli orrori di un secolo nell’arco di un istante ed è arrivato alla conclusione che il mondo non è altro che una macchina per maiali, e che quei maiali siamo noi.

a machine for pigs

La scelta di trasformare gli esseri umani in maiali non è altro che lo step evolutivo finale. È scientificamente appurato che i maiali siano animali estremamente intelligenti, dotati di emozioni e di un intelletto simili a quelli di un bambino. Alla domanda perché proprio i maiali?, Pinchbeck offre una risposta eloquente: sono animali intelligenti che uccidiamo in massa. La storia contemporanea della nostra specie, dunque, è quella dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, o del maiale sul maiale. Mandus ha visto eserciti di maiali rotolarsi nel fango a colpi di baionetta, fucili e granate. Ne consegue che la soluzione non è l’attesa di un mondo migliore, ma l’attuazione di un piano che porti il mondo ad essere un posto migliore qui e ora: un mondo senza esseri umani. La Macchina risparmierà al genere umano un secolo di ferocia consegnando il prodotto perfetto: l’estinzione. Il suo è un gesto di compassione, come dimostrato dall’eliminazione premeditata dei suoi figli. Uccidendo tutti, risparmierà loro una morte atroce. Qui giace il paradosso del protagonista: investe forza lavoro e capitali per la produzione di un’arma in grado di uccidere futuri consumatori. Facendo ciò, il protagonista rinnega sé stesso e il ruolo che occupa all’interno del sistema di produzione capitalistico.

Per Mandus, la soluzione non è l’attesa di un mondo migliore, ma un mondo senza esseri umani, qui e ora

Questo velo di nichilismo impedisce a Mandus di vedere l’altra faccia del ventesimo secolo: la classe operaia ha acquisito più diritti, intere nazioni si sono ribellate al giogo coloniale, il ruolo della donna nella società è progredito e la vita è generalmente meno dura. Sono eventi insignificanti se paragonati alle grandi tragedie del Novecento, certo, ma pongono le basi per un’idea di società che metta al suo centro il benessere collettivo e la cooperazione tra persone, contrapposto alle mire individualiste di chi vuole rendere il mondo una macchina per maiali.

«Il nostro secolo prova, dunque, che la vittoria degli ideali di giustizia e di eguaglianza è sempre effimera, ma, se si riesce a salvaguardare la libertà, si può, tuttavia, ricominciare da capo. […] non bisogna disperare, neppure nelle situazioni più disperate.» (Leo Valiani, storico).

Il corpo e la mente

È doveroso dedicare qualche riga ai due luoghi nei quali si svolge il racconto: la dimora e la fabbrica di Mandus. L’abitazione del facoltoso industriale si presenta in tutta la sua bellezza vittoriana. I lunghi tavoli sono imbanditi di bouquet e argenteria pregiata, posati su tovaglie di velluto. Le pareti ricolme di quadri raffiguranti castelli antichi e scene di caccia, affiancati da fucili ad avancarica appositamente esposti di fianco a teste di animali imbalsamati. In lontananza, lo scoppiettio del fuoco nel caminetto, abbellito con foto di famiglia. Ad uno sguardo più approfondito, però, cogliamo l’orrore. Su numerose pareti intravediamo un quadro che si ripete spesso: Faim, folie et crime di Antoine Wiertz. Fame, follia e crimine.

Una madre dallo sguardo folle regge un coltello nella mano destra. Sulle sue gambe, un bambino avvolto in un fagotto. Alla sua destra, un calderone contenente una gamba del bambino. La follia infanticida di Mandus viene anticipata già nei primi minuti di gioco. Come se non bastasse, scopriamo che la casa è piena di passaggi segreti al cui interno troviamo chiazze di sangue e schizzi su carta raffiguranti uomini deformi.

scopriamo che la casa è piena di passaggi segreti al cui interno troviamo chiazze di sangue e schizzi su carta raffiguranti uomini deformi

Ciò che all’apparenza sembra una vita tranquilla e agiata, nasconde pura follia. Il dualismo è un tema ricorrente nell’opera di The Chinese Room: i gemelli, l’anima scissa di Mandus, uomo/maiale, il passaggio da location in stile vittoriano alle sale straripanti di macchine a vapore. Egli stesso dichiarerà in una nota che la nascita dei gemelli ha scatenato in lui sentimenti di odio/amore, scindendo la sua anima in due parti. La nascita dei figli ha causato la morte della sua amata moglie, in un ciclo di distruzione e rinascita che sembra ricordare proprio la storia del mondo. Come già sottolineato in precedenza, il compito di Mandus è quello di riattivare la macchina, motivo per cui sarà necessario scendere sempre più in basso. Il giocatore parte da una condizione simile a quella del protagonista, una tecnica narrativa già utilizzata nei capitoli precedenti (amnesia, appunto). Finché siamo in superficie, restiamo ignari dei meccanismi che Mandus ha messo in moto prima di perdere la memoria. Più scendiamo in profondità, più A Machine for Pigs ci consegna pezzi del puzzle, ma non basta; proprio come nei sogni, la sensazione è quella di essersi persi qualcosa, di non star cogliendo il vero significato dietro le nostre azioni. Solo una volta arrivati in profondità riusciremo a cogliere il quadro generale. Come un paziente che scava nel proprio inconscio, il giocatore è chiamato ad esplorare i sotterranei della fabbrica per fare luce sugli eventi di gioco.

alcuni documenti pongono una certa enfasi su tutto ciò che è organico: parti umane, parti di maiale

Sembra quasi un caso che L’interpretazione dei sogni di Sigmund Freud sia stato pubblicato proprio nel 1899, e che la prima topica freudiana venga rappresentata con un iceberg; la punta di quest’ultimo non è altro che il nostro orizzonte conoscitivo. Per Mandus andare in profondità significa far riemergere ciò che è celato nell’inconscio, portandolo ad una profonda disperazione che decreterà la sua fine. La Macchina, posta nel punto più basso della fabbrica, è speculare all’abitazione del facoltoso industriale: un luogo dove un tempo si celebrava l’amicizia e l’amore. I documenti che possiamo trovare durante la (dis)avventura sono numerosi. Quelli che hanno attirato la mia attenzione hanno tutti un punto in comune: la fabbrica viene descritta come un vero e proprio corpo da saziare. Come se non bastasse, alcuni documenti pongono una certa enfasi su tutto ciò che è organico: parti umane, parti di maiale, fluidi corporei. Gli escrementi di maiale vengono utilizzati per alimentare le turbine della Macchina, un vero e proprio congegno organico-meccanico che strizza l’occhio alle future aberrazioni genetiche di David Cronenberg. Il protagonista non nasconde la sua passione per la cultura Azteca e i riti sacrificali: nell’iconografia di A Machine for Pigs, la Macchina è il tempio sul quale viene consumato il sacrificio per eccellenza, portando l’umanità alla salvezza definitiva. Nella fase finale, percorriamo un’enorme scalinata che conduce all’interno del macchinario; qui possiamo osservare i corpi defunti dei due gemelli collegati alla macchina, col cuore estratto dal petto.

a machine for pigs

Concept Art di Ben Andrews.

Proprio come un rituale Azteco, Mandus offre il cuore dei propri figli sull’altare della storia, scatenando una carneficina che sazierà il mondo per il resto dei suoi giorni. Colto dai sensi di colpa, l’uomo deciderà di spegnere la Macchina e di morire in solitudine nel gelido sotterraneo della fabbrica. Se c’è anche una sola possibilità che il futuro sia luminoso, tanto vale provarci.

Uno sviluppo travagliato

Vorrei concludere questo articolo esponendo alcune considerazioni sul processo produttivo di A Machine for Pigs. L’accordo tra Frictional Games e The Chinese Room si basa su una solida premessa: realizzare un’esperienza diversa da The Dark Descent e Justine, ponendo enfasi sulla narrazione piuttosto che sui jumpscares. Via anche l’indicatore della sanità mentale (sacrilegio!), che aveva il difetto di comunicare al giocatore quando e dove essere spaventato. Spariti anche olio, acciarini e inventario così da rendere l’esperienza più fluida. Inizialmente era prevista una meccanica legata all’infettività (non ci è dato sapere da cosa), poi rimossa all’ultimo per rientrare nei tempi. I lavori proseguono in maniera confusa, a causa di una pessima comunicazione tra i due studios; i cambiamenti in corso d’opera non vengono comunicati a Frictional Games, che si ritrova a testare build diverse nel giro di poco tempo. Le richieste di Frictional Games cambiano continuamente, costringendo The Chinese Room a perdere tempo prezioso. Intere sessioni di gioco, che potrete trovare facilmente su internet, vengono rimosse dalla build finale.

Non ci è dato sapere altro sull’organizzazione interna, se non che Frictional Games mandò a Pewdipie una copia del gioco prima ancora che uscisse. The Chinese Room non venne avvisata dal reparto marketing dello studio svedese e questo contribuì a creare malumori. Nonostante la volontà di realizzare un progetto che non fosse a misura di youtuber, la scelta di Frictional Games lascia piuttosto perplessi. Il gioco venne pubblicato nel settembre del 2013, ricevendo un’accoglienza tutto sommato positiva dalla stampa specializzata. Vennero lodate le musiche e le atmosfere di gioco, grazie anche al lavoro di Jessica Curry (co-fondatrice di The Chinese Room) e dei suoi colleghi sul comparto sonoro; se A Machine for Pigs è un’esperienza terrificante, lo si deve anche al lavoro certosino sul sound design. Le ambientazioni hanno voce propria, un concerto di suoni metallici che tengono la tensione del giocatore ai limiti del sopportabile. Scricchiolii, fruscii, ticchettii, passi, tonfi, suoni metallici e di macchinari a pieno regime ci danno la sensazione di essere costantemente osservati da qualcuno, o meglio, da qualcosa, e che la fabbrica sia dotata di vita propria. Un corpo vivo, che inspira ed espira.

Il sound design fa un eccellente lavoro nel dare la sensazione di essere costantemente osservati da qualcuno, o meglio, da qualcosa

The Dark Descent riusciva ad alternare momenti di tranquillità ad istanti di paura. A Machine for Pigs costruisce l’orrore lentamente, con precisione chirurgica, insinuandosi sotto la pelle del giocatore come un insetto malevolo. A questo giro nessun castello infestato o umani deformi: l’orrore di A Machine for Pigs ha origine dalle azioni e dalle confessioni scritte di Mandus. In più di un’occasione ho provato disgusto, sgomento o angoscia leggendo i testi scritti dallo stesso protagonista, una serie di rapporti che oscillano tra la follia e un distacco emotivo che raramente mi è capitato di vedere all’interno di un videogioco. Per Mandus tutti sono sacrificabili: uomini, donne, bambini, animali. Le sofferenze a cui sono sottoposti i malcapitati sono atroci, leggendo i documenti lo stomaco si rivolta. Risulta chiara la volontà da parte di Pinchbeck e dei suoi colleghi di non relegare l’orrore al visivo, a ciò che si può vedere o addirittura toccare, ma all’immaginazione del giocatore. Se l’orrore riesce a toccare un fondo, è solo grazie ai nostri limiti immaginifici.

Non tutti hanno gradito questa svolta. Il pubblico si è rivoltato, riempiendo di recensioni negative l’opera di The Chinese Room, tant’è che Frictional Games ha nominato il capitolo successivo Rebirth, una sorta di mea culpa che segna un ritorno alle origini. Eppure A Machine for Pigs, con tutti i suoi limiti, riesce a conservare un posto speciale nel mio cuore. Il monologo finale della Macchina è struggente, tuona come un memorandum su cosa sia stato il secolo breve e su come l’umanità sia stata ridotta a carne da macello. Carne di maiale.
«Per il poeta T. S. Elliot «il mondo finisce in questo modo: non con il rumore di un’esplosione, ma con un fastidioso piagnisteo». Il secolo breve è finito in tutti e due i modi.» (Il secolo breve, 1914-1991, Eric J. Hobsbawm, p.24).
A Machine for Pigs è il tentativo di The Chinese Room di dare vita su schermo alle paure del XIX secolo, alle conseguenze dell’Industrializzazione e dell’Imperialismo che nel giro di un secolo (breve) portarono il mondo sull’orlo del baratro.

All’alba del 2023, possiamo davvero definirci diversi dai maiali?


Questo articolo è stato scritto per The Games Machine da Frequenza Critica, il blog italiano di approfondimento videoludico.

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