Sarei quasi tentato di definire Headlander un gioco “fresco ed estivo”, se non fosse che la posizione del PC vicino alle gambe ha trasformato qualsiasi prova in un inferno. Intendiamoci: ho potuto giocare il titolo di Double Fine Productions pure su PS4, e anche in versione Windows è consigliatissimo un pad, ma tutte le volte che posso preferisco giocare e scrivere senza spostarmi dalla tastiera (alt-tab e via andare), e comunque Headlander mi ha stupito per la capacità di tenermi attaccato al monitor senza troppe pause, persino nel caldo terrificante della mia postazione. Metroidvania, leggerezza e tocchi fantascientifici ridanciani ma intelligenti: per come la vedo io, è quasi meglio di uno spritz ghiacciato.
SEI PROPRIO UNA TESTA DI CASCO
La trovata di base del gioco, sicuramente spassosa, è che interpretiamo una “testa”: nel background di Headlander, gli uomini del futuro riporranno nella tecnologia una fiducia tale da volersi privare del corpo dal collo in giù, sostituendolo con propaggini meccaniche. Le cose non vanno nel verso giusto, però, al punto che il protagonista è l’unico esemplare rimasto dell’umanità, costretto dopo il rocambolesco incipit-tutorial a confrontarsi con una società spaziale interamente meccanica, preda delle mode e dello svago lascivo come la più detestabile delle borghesie terrestri. Per lo stesso motivo, il nostro eroe (o eroina, nella selezione iniziale) è l’unico in grado di installare il proprio capoccione su qualsiasi corpo robotico: com’è facile intuire, impossessarsi della giusta estensione artificiale diventa il motivo dominante del gameplay, così come guardarsi nelle forme di sciantose ginoidi, androidi modalioli e addirittura cagnolini robot risulta la principale idea coreografica, condita da suggestioni in stile weird magazine fantascientifico anni ’60 e da tanta ironia di grana grossa. Troppo grossa, a dire il vero, ma Headlander non sembra mai voler essere più di quel che è. Non un capolavoro, ma un gioco divertente.
Impossessarsi della giusta varietà di robot è, allo stesso tempo, il motivo dominante del gameplay e la principale trovata a livello coreografico
CONTENTO DI ESSERE LEGGERO
Le abilità vengono introdotte lungo il gioco con cadenza predefinita, lasciando però la possibilità di sviluppare liberamente i rami corrispondenti, per dotarsi di uno scudo (quasi) a 360 gradi, migliorare la resistenza del casco, mutare altri robot in alleati, azionare una sorta di bullet time e altri potenziamenti di simile tenore. Va detto, nel novero dei limiti relativi, che le stesse skill e il sistema di crescita risultano estremamente magnanimi, togliendo un po’ di sfida ai combattimenti, e che allo stesso modo la composizione della mappa o il ritrovamento dei segreti (stanze nascoste, per i miglioramenti di salute, scudo e propulsione del casco) non sono mai troppo ostici da approcciare, al di là delle percorrenze talvolta molto lunghe fra gli obiettivi.
La trama e il gameplay avevano le potenzialità per offrire qualcosa di ancora più sorprendente
Senza troppi proclami in fase di annuncio e sviluppo, Headlander si dimostra un Metroidvania con ottime idee di partenza e una realizzazione più che valida. All’inizio pensavo addirittura di trovarmi di fronte a una delle sorprese dell’anno, ma lo stupore è un pochino rientrato nel corso della trama e dell’esplorazione: le idee centrali vengono fruttate fino allo spasimo, e anche i dialoghi umoristici e il procedere della storia non sono sempre al livello delle produzioni Double Fine o, prima ancora, del fondatore Tim Schafer. Ciò nondimeno, ve ne andrete in giro con la vostra “testa” a confrontarvi con puzzle e combattimenti senza mai un momento di vera noia, lungo un’avventura dalla durata più che onesta. Direi che ci possiamo accontentare.