Nell’ultimo periodo il mondo dell’intrattenimento sembra crogiolarsi in un nuovo e diffusissimo trend. Mai come ora, a determinare non solo il successo ma anche la stessa uscita dall’anonimato di un’opera è il fattore nostalgia. Che si tratti del grande schermo – che, super eroi a parte, viene sempre più dominato dai live action dei grandi classici Disney – della TV (o meglio dei servizi streaming) che vedrà a breve il ritorno di uno dei più popolari capitani di Star Trek, Jean-Luc Picard, dopo ben diciassette anni di assenza dagli schermi, o che si parli dei tantissimi remake e remastered videoludici, tutti sembrano volere un pezzo di questa deliziosa torta. Solleticare quella precisa corda pare essere stato anche uno degli intenti dietro lo sviluppo di RAD, l’ultima opera di Double Fine Productions, studio americano creato da Tim Schafer dopo l’addio a LucasArts. Da delle menti di quel calibro, capaci di sfornare uno dopo l’altro piccoli e grandi capolavori per due decenni, non ci si può che aspettare grandi cose. Che poi quella fantasia venga distillata sotto forma di avventura point-and-click, platform o strategico poco importa. Non c’è da stupirsi che la squadra abbia deciso di cambiare ancora una volta e di cimentarsi nella creazione di un colorato rogue-like post-apocalittico a tinte anni ‘80.
FUTURO RETRO’
Non uno ma ben due eventi catastrofici hanno ridotto il mondo di RAD in macerie. Mentre creature deformi e scorie radioattive contaminano e deturpano il paesaggio, gli umani sopravvissuti (o almeno quelli di cui veniamo a conoscenza nell’intro del gioco) si sono rintanati in una sorta di piccola e colorata fortezza, al riparo dai pericoli. Al suo interno le persone sopravvivono come possono, senza però abbandonarsi alla tristezza e all’autocommiserazione. Non mancano infatti sorrisi e scambi di battute dei mercanti, gli orticelli da coltivare e persino dei cabinati sui quali passare il tanto tempo libero a disposizione, che rendono quello che di fatto è il nostro hub, dal quale si riparte ogni volta per una nuova partita, una piccola oasi “felice” in mezzo alla desolazione.
Nei panni di uno dei coraggiosi ragazzini del rifugio siamo chiamati ad avventurarci nella natura selvaggia
A caratterizzare RAD maggiormente è il suo inconfondibile stile anni ‘80
QUASI UNICO
A caratterizzare RAD maggiormente non è tanto la sua buona grafica in cell-shading messa ben in risalto dalla comoda visuale isometrica, quanto (ovviamente) il suo inconfondibile stile anni ‘80. La musica che fa da sottofondo alle nostre esplorazioni è un tripudio di new wave e synth pop, condito da un announcer che dà risalto a ogni nostra azione durante il gioco (e persino nei menu!). La stessa valuta in-game, utile per comprare oggetti dai mercanti e per aprire i forzieri misteriosi nascosti nelle mappe, è rappresentata da VHS e floppy disk o, più raramente, da laserdisc. Nonostante questa scelta renda sicuramente accattivante il suo stile, il titolo di Double Fine sembra però in qualche modo mancare di carattere e di quella peculiare originalità che contraddistingue da sempre i suoi precedenti lavori. A questo si aggiunge, purtroppo, anche la poca varietà di nemici presenti che, da un livello all’altro, diventano progressivamente più forti e resistenti senza però variare troppo i loro attacchi.
RAD è senz’altro un buon gioco, di ottima fattura dal punto di vista tecnico e piuttosto accattivante grazie al suo stile retrò e al gameplay dinamico. Purtroppo non riesce a fare quel salto in avanti che lo avrebbe senz’altro portato a elevarsi e distinguersi in maniera decisa dal resto dei titoli roguelike disponibili.