Nel 1989 i Bitmap Brothers avevano preso il largo, diventando nel giro di poco tempo uno dei gruppi di sviluppatori più caldi sulla piazza. A questo punto, ogni novità riguardante un prossimo progetto veniva trattato con grande interesse, e il seguito del loro titolo d’esordio non poteva fare eccezione: ricordiamo a tal proposito pagine di anteprima sulle riviste dell’epoca, che mostravano uno Xenon 2 troppo bello per essere vero, eppure così dissimile dal suo precursore. Quello che però la carta non poteva offrire era un assaggio del sonoro, la vera bomba che valse al titolo l’ingresso nell’olimpo dei migliori titoli a sedici bit.Merito dell’etichetta discografica Rhythm King che, guarda caso, condivideva la stessa visione di Steve, Mike e Eric riguardo il valore da attribuire agli autori delle opere pubblicate. Questo ovviamente grazie al presidente Martin Health, a sua volta un convintissimo videogiocatore che non aspettava occasione migliore per entrare in grande spolvero nel mercato videoludico. Tim Simeon, conosciuto con il nome d’arte Bomb the Bass, prestò il suo talento al maestro David Whittaker per ricreare su Amiga il suo recente successo Megablast e donare a Xenon 2 un sonoro mai sentito prima in un videogioco. Che poi l’accoppiata Simeon-computer non era di certo frutto di chissà quale capriccio di Martin: qualche anno prima, Tim aveva usato un Commodore 64 come sequencer per Beat ‘Dis, il suo singolo di debutto.Tornando a noi, Xenon 2 non poteva essere più diverso dal predecessore, audio incredibile a parte. Via gli scenari metallici, via il veicolo trasformabile; il gioco era diventato uno sparatutto a scorrimento verticale dei più classici con un’ambientazione biomeccanica di quelle che andavano di moda allora, popolato da giganteschi nemici di fine livello e rognose formazioni d’attacco aliene, da decimare per recuperare preziosa valuta. Questa poteva essere investita nel nuovo negozio che spalancava le sue porta a metà e fine livello, attività gestito dal famigerato Krispin the Alien, un mentecatto cosmico adorabilmente caratterizzato. Interrompe l’ascolto di Megablast (beh, ovvio) appena il giocatore entra nella sua bottega e si accarezza il mento quando deve valutare il prezzo di un oggetto usato.
“Avevamo intenzione di realizzare Speedball 3 in prima o terza persona, assieme a Gods 2 e progetti simili”, Mike Montgomery
Forse la prima volta che una meccanica simile veniva adoperata in un titolo casalingo, apprezzata in sala giochi negli scontri contro i boss di Thunderblade (SEGA, 1987) o nel recentemente emulato nonché rarissimo Wyvern F-0 (Taito, 1985). Nel 1990 arriva l’avventura isometrica Cadaver, lettera d’amore alla produzione Ultimate che vede la luce sui soli sedici bit e sul leggendario Archimedes di Acorn. Poi, lo stesso anno, per i Bitmap Brothers giunse il momento di donare un seguito al fortunato Speedball. Speedball 2: Brutal Deluxe ha tutto, migliorando e rendendo più profondo il comparto ludico del predecessore, senza però venire a patti con la sublime accessibilità che ne aveva decretato il successo. Ora le arene sono considerevolmente più complesse, con rampe, respingenti e moltiplicatori vari, una ricchezza di approcci che rende lo scagliare la palla in porta solo uno dei modi per vincere la partita.
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