È un umano, McCoy? Un replicante? Ora che la Director’s Cut aveva chiarito la vera natura di Deckard, c’era un altro dubbio da dissipare.
È un umano, McCoy? Un replicante? Ora che la Director’s Cut aveva chiarito la vera natura di Deckard, e
prima che Denis Villeneuve, molto tempo dopo, tornasse a giocherellare con quel concetto (
qui trovate le mie riflessioni in merito, all’epoca fresche della visione del film, ndMario), c’era un altro dubbio da dissipare. A meno, certo, di non incorrere nel finale ambiguo, che una risposta non te la dava:
McCoy avrebbe lasciato la città, da solo o in compagnia, ma in entrambi i casi portandosi dietro un sacco di pensieri. Ma quei quattro CD e quel mondo erano lì apposta per esser giocati e rigiocati, fino al punto di
completare ogni possibile ramo conclusivo della storia.

Una cosa che mi ha sempre colpito del gioco è il suo riprendere e contestualizzare alcuni aspetti del romanzo scivolati sullo sfondo del film
Una cosa che mi ha sempre colpito del gioco è il fatto che riesce a riprendere e contestualizzare
alcuni aspetti del romanzo di Dick che nel film erano scivolati sullo sfondo, proprio come il valore degli animali veri in un
pianeta ormai morente e sedotto dalla fuga nelle
colonie Extra-Mondo. Come nel romanzo –
“Il cacciatore di androidi”, “Blade Runner”, “Ma gli androidi sognano pecore elettriche?”, a seconda dell’edizione che avete in casa – i replicanti in fuga sono solo un elemento, il problema principale, ma non l’unico, di un’umanità allo sbando. Tanto che a spiegarci cosa ci rende umani, nel film, è chi non lo è. Sarebbe stato perfetto avere anche
Mercer e la sua religione, quelle macchine dell’empatia e della sofferenza collettiva, altro spunto interessantissimo e seminale del romanzo di Dick. Ma sì, in effetti integrare quello in un’avventura punta e clicca sarebbe stato un po’ più complesso.

Questa vecchia scatola sopravvissuta ad almeno tre traslochi continuerà a esserci. A ricapitarmi davanti, a farmi ricordare tutti quei pomeriggi trascorsi girovagando in un futuro ormai passato.
Virgin Interactive vendette all’epoca oltre un milione di copie di Blade Runner, come quella che stringo in mano ora. Una buona fetta di quei soldi finì nelle tasche della Blade Runner Partnership di Yorkin.
Westwood Studios verrà assorbita da EA e liquidata nel 2003. Nel 2009 si scoprirà che l’idea di un sequel è stata proposta in seguito dalla Blade Runner Partnership a Gearbox, che non se l’è sentita di investirci almeno 30-35 milioni di dollari, addossandosi tutto il rischio. Il Blade Runner di Westwood è disponibile da metà dicembre su GOG.com, per 9 euro, in versione PC, Mac e Linux. Non ho resistito e lo sto giocando e rigiocando sul portatile, a piccole dosi, da settimane. E in ogni caso, questa vecchia scatola con i suoi quattro CD, la sua
orgogliosa presentazione di una line-up di giochi di un’azienda defunta ormai da 17 anni, e la custodia di cartone con un finto Del Piero del futuro che mi ha accompagnato in almeno tre traslochi, continuerà a esserci.
A ricapitarmi davanti, quando meno me l’aspetto, per farmi ricordare tutti quei pomeriggi trascorsi girovagando in un futuro ormai passato. La soffitta è ben coibentata, non c’è fortunatamente il rischio che il tutto vada perduto nella pioggia.
NOTA: Se siete arrivati fin qui – e se non l’avete fatto meritereste di spaccarvi la schiena nella peggiore miniera extra-mondo – è giusto ricordarvi che una rubrica curata da Alessandro “DocManhattan” Apreda (qui il suo blog e il canale da seguire su Twitch) compare regolarmente sui numeri di The Games Machine. Su Blade Runner, invece, torneremo la prossima settima con un ulteriore approfondimento del nostro Dan Hero.
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