Avere a che fare con un soulslike rappresenta spesso un problema, non tanto per le difficili dinamiche di gioco pronte a mettere alla prova la pazienza di un santo, quanto più per tutti gli elementi di contorno che dovrebbero creare una storia tanto appassionante da tenerci incollati allo schermo senza tenere il conteggio dei game over. Hidetaka Miyazaki ha inciso le tavole dei comandamenti sul genere in questione, dando vita a una genealogia di prodotti analoghi usciti, anno dopo anno, che hanno cercato di servirsi fedelmente della formula magica, inserendo giusto qualche elemento distintivo in grado di renderli originali a modo loro. Immortal: Unchained ha tentato di seguire la ricetta alla lettera, mancando però di molto l’obiettivo per via di scelte stilistiche contestabili, penalizzate da cospicui problemi tecnici che hanno reso il mio vagabondare alquanto difficoltoso.
MERCENARI NEL VUOTO COSMICO
Un evento catastrofico minaccia l’ultimo avamposto libero di questo universo futuristico e noi, liberati dalla prigionia dai nostri stessi carcerieri, siamo costretti a metterci in mezzo per salvare ciò che è rimasto dalla distruzione. Questo viaggio comincia plasmando un avatar, scegliendo una classe e relativi punteggi caratteristica con l’obiettivo di rendere quanto più longeva possibile l’esperienza in queste terre popolate da nemici letali, pronti a ricordarci fin troppo bene il meccanismo del trial & error. Prova, muori, ricomincia e cerca di far meglio. La routine diabolica ricavata dai comandamenti di Miyazaki ha tormentato le mie sessioni di gioco nel prodotto sviluppato da Toadman Interactive, con l’unica differenza che questa volta il gameplay è stato “arricchito” dalla presenza di una pletora di armi da fuoco, pronte ipoteticamente a facilitarmi il viaggio mettendo da parte il pericoloso utilizzo delle armi bianche.
È importante tenere sempre gli occhi aperti, perché qualsiasi errore segna la differenza tra la vita e la morte!
Il gioco presenta tre pianeti diversi esplorabili, più un quarto che funge da mondo di mezzo, dove è possibile incontrare le stesse tipologie di nemici muniti solo di un differente danno elementale. Si procede facendo attenzione alla presenza di trappole nascoste, abbastanza invisibili per colpa di un design poco curato graficamente, cercando pure di fare attenzione ai nemici piazzati apposta per farti fallire miseramente e ricominciare capo. La forbice della difficoltà è regolata malissimo: capita di arrivare a una boss fight solo per accorgersi che con il fucile da cecchino è possibile mirare, tranquillamente, alla testa del nemico incastrato nello scenario, terminando lo scontro con appena una decina di colpi e al contrario, magari in un corridoio insulso, ti trovi a dover schivare quattro berserker circondato da trappole che uccidono all’istante.
DOLORE AMPLIFICATO
Ai difetti sopracitati si aggiungono diversi problemi in ambito stilistico e grafico. È impossibile non sottolineare la presenza di bug come il clipping, accompagnati pure da una IA dei nemici troppo spesso fallace, che li porta persino a bloccarsi nella loro zona rendendoli vulnerabili ai nostri colpi a distanza.
Alcuni achievement cercano di allungare il brodo con qualche segreto extra. Purtroppo, niente di trascendentale!
Al netto di quello che poteva rivelarsi un gioco realmente innovativo per il genere soulslike, Immortal: Unchained finisce per fare autogol in modo davvero maldestro. Graficamente ridotto all’osso, seppur con dignità, ma soprattutto privo di una vera storia avvincente capace di rapirti, che ha finito per farmi odiare quelle quindici ore passate lì davanti a morire come un ossesso. Passate tranquillamente oltre, non ve ne pentirete.