L’azione in sé non potrebbe essere più semplice ma, allo stesso tempo, concepita benissimo, tanto nel sistema di controllo quanto nella precisione nell’uso dell’arco o della balestra
L’azione in sé, d’altra parte, non potrebbe essere più semplice ma, allo stesso tempo, è concepita benissimo:
con una mano virtuale imbracciamo l’arco o, in alternativa, una balestra, e con l’altra scocchiamo le frecce, mentre il movimento viene gestito con una freccia luminescente per fissare il punto del
teletrasporto – almeno, nei controlli predefiniti – con la gradita aggiunta di uno
scudo da alzare con la mano sinistra e una sorta di
gemma da lanciare rapidamente per veloci movimenti di disimpegno con la destra, a lato di quelli reali che potete fare a seconda della vostra
room scale.

L’atmosfera è quella dell’oscurantismo medievale del cattolicesimo, servita con riferimenti pittorici e, sul lato sonoro, con le intro a base di canti gregoriani
Per i giocatori che conoscono l’originale, e magari hanno anche Quest e vogliono provare la versione senza fili – necessariamente
meno definita nelle texture, negli effetti e nella complessità pologonale – ci troviamo di fronte a una
piccola riorganizzazione dei contenuti: Il
Santuario HUB non è più in un isolotto sospeso nel cielo, bensì uno spazio contiguo con l’inizio del dungeon e gli accessi alle
aree sbloccabili subito in evidenza, preceduto da un percorso
tutorial rapido ma ben fatto. In tutti i casi, a mio modo di vedere, risulta ancora troppo casuale l’apparizione dei bonus all’uccisione dei nemici, in genere
frecce o dardi con particolari proprietà (incendiarie, esplosive, efficaci da vicino e via dicendo) o “Blood of the Lamb” con funzioni di medkit (l’esperienza è in inglese, ma c’è poco da capire) che avrebbero potuto essere anche legati, per dirne un paio, a un tiro particolarmente efficace o una tipologia di nemici sconfitti più pericolosa delle altre. In ogni modo, le stesse risorse sono presenti anche in
particolari aree in cui possiamo salvare la partita tra un blocco di scenario generato per via algoritmica e l’altro, acquistabili con la classica valuta in-game che possiamo guadagnare sconfiggendo le creature.

Nella versione review da me provata non era ancora presente il
movimento libero via levetta, comunque
promesso dagli sviluppatori in un imminente aggiornamento, capace di aggiungere una valida alternativa soprattutto se associato all’
uso della balestra, donando al tutto un
sapore sparatutto un filo più classico (benché si parli pur sempre di
projectile weapon). Va detto, però, chiudendo con parole giustamente positive, che
persino il movimento con teletrasporto fa parte dei tanti dettagli di
In Death e
In Death Unchained concepiti con notevole coerenza, complice un’ambientazione che tanto fa sudare (letteralmente, in questo periodo, specie se non avete l’aria condizionata) per essere esplorata al 100% ma è anche in grado di offrirvi
un gameplay d’azione fra i più fascinosi disponibili in VR…
In Breve: La versione Unchained di In Death maniene i principali punti di forza del gioco anche su Quest, nella forma di un roguelite “ultraterreno” d’arceria che non ha paura di alzare in VR l’asticella della difficoltà. Come in altri casi, anche gli sviluppatori di Sólfar Studios hanno barattato la migliore prestazione visiva dell’edizione PC (per Rift, Rift S, Vive e Index) con la libertà offerta dalla natura unplugged del sistema stand-alone di Quest, in un gioco dove il carisma dell’ambientazione viene comunque prima dei dettagli grafici.
Piattafomra di Prova: Oculus Quest
Com’è, Come gira: La semplificazione dei modelli, degli effetti e la riduzione di profondità delle texture sono parecchio evidenti, ma lo è anche la perfetta fluidità di tutta l’esperienza su Oculus Quest, in un gioco dove l’atmosfera conta di più della prestanza grafica.
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