Mafia: Terra Madre – Recensione

PC PS5 Xbox Series X

Con Mafia: Terra Madre, Hangar 13 ci porta nella Sicilia di inizio Novecento, dove sangue, fede e potere si fondono per raccontare un tormentato dramma criminale.

Sviluppatore / Publisher: Hangar 13 / 2K Prezzo: € 49,99 Localizzazione: Testi (Doppiaggio in siciliano) Multiplayer: Assente PEGI: 18+ Disponibile Su: PC (Steam), PS5, Xbox Series X|S Data di Lancio: 8 agosto 2025 Genere: Action adventure

Abbandonata l’America di fine anni Sessanta, Hangar 13 torna a raccontare la criminalità organizzata con Mafia: Terra Madre, un capitolo che si distacca dalle atmosfere urbane e industriali dei precedenti episodi per abbracciare la polvere, il sole e il sangue della Sicilia di inizio Novecento.

Un’operazione ambiziosa che tenta di infondere nuova linfa in una serie che con il terzo capitolo aveva perso i legami con il suo passato. Per questo c’è stato bisogno di un ritorno alle origini, nella terra che ahi noi ha dato i natali alla mafia. Un’operazione rischiosa, quella portata avanti dal team di Alex Cox, d’altronde non è facile coniugare in maniera verosimile un racconto criminale con la ricostruzione storica. Anche perché il confine tra critica e glorificazione di questa piaga sociale che da secoli affligge la Sicilia – e non solo – è sempre molto labile.

OLTRE UN SECOLO FA, SICILIA

Le vicende di Mafia: Terra Madre ruotano attorno alla figura di Enzo Favara, di cui seguiamo la vita a partire da quando è un semplice caruso, un giovane che da ragazzino è stato venduto ai proprietari di una miniera di zolfo alle pendici dell’Etna. A seguito di varie vicissitudini, Enzo si trova braccato dagli sgherri di Don Spadaro, una delle famiglie criminali che si spartiscono il controllo della fittizia Valle Dorata, all’ombra del vulcano.

Enzo è un protagonista più che adeguato

Dopo essersi nascosto a sua insaputa in un casolare abbandonato di proprietà dei Torrisi, famiglia rivale degli Spadaro, Enzo viene salvato proprio dal boss Don Bernardo, che decide di prenderlo sotto la sua ala. Da qui in poi si assiste alla scalata di Enzo tra i ranghi dei Torrisi, da semplice sguattero a vero e proprio uomo d’onore. Tuttavia Enzo non è mai alla ricerca di potere, ma vuole dimostrare di valere qualcosa, di poter essere utile e, da ultimo, di meritare una vita migliore. Forse proprio per questo mi sento di dire che sia un protagonista più che adeguato a una storia di questo tipo: tormentato dal suo passato di abbandono e povertà, determinato a migliorare le sue condizioni di vita, capace di evolversi e maturare nel corso della storia.

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L’avventura inizia qui, in una miniera di zolfo alle pendici dell’Etna.

Ma ancora più riuscito è Don Torrisi, un boss al contempo carismatico e ambiguo: una figura magnetica, che incarna il potere, la tradizione e la violenza della mafia siciliana con disinvoltura e genuinità inquietanti. Ogni volta che il boss appare sullo schermo riesce a rubare la scena, tant’è che i suoi sono i momenti migliori della sceneggiatura, e contribuiscono a dare spessore a una narrazione che, altrimenti, rischierebbe più volte di sfociare nel già visto. Anche se, va detto, in alcuni frangenti sembra di assistere a una qualsiasi fiction sulla mafia trasmessa sulla TV del Biscione.

Il confine tra critica e glorificazione è sottile

Ciò non toglie che la sceneggiatura sia ancorata a stilemi hollywoodiani che in molti casi soffocano quel pizzico di critica sociale che pur è presente: il timido tentativo di parlare di povertà, della prepotente brutalità della criminalità organizzata, di come la spregiudicatezza della mafia si insinui in ogni singolo aspetto della vita delle persone, della connivenza della Chiesa e dell’appropriazione dei simboli religiosi per legittimare le azioni criminali. Il confine tra critica e glorificazione è sottile, come scrivo in apertura, ma in questo caso mi sento di dire che la mafia non viene celebrata. Tutt’altro. Semmai viene raffigurata per ciò che è: una massa tumorale di violenza e corruzione che contamina tutto ciò con cui entra in contatto e brucia ogni via di uscita.

MAFIA TERRA MADRE: UNA BELLEZZA DA CARTOLINA

La rappresentazione della mafia non è però l’unico elemento relativamente accurato del gioco, poiché quella della provincia siciliana è con buona probabilità l’aspetto più riuscito di tutta l’opera. Paesaggi aridi, strade polverose, paesini arroccati, processioni religiose: tutto contribuisce a costruire un mondo credibile e autentico. Gli interni sono altrettanto curati: le case modeste, i bar sul porto, le chiese, le piccole industrie, i covi diroccati dei banditi, le caserme delle forze dell’ordine. Ogni ambiente è ricco di dettagli. Certo, ci sono momenti in cui la rappresentazione risulta folkloristica, lasciando che la Sicilia venga mostrata tramite una lente straniera, a tratti turistica e fin troppo da cartolina, ma il risultato finale è convincente, tanto da riuscire a trasmettere un senso di appartenenza e identità raro nel panorama videoludico.

Il doppiaggio in siciliano risulta autentico

E in tema di identità, è impossibile non citare il doppiaggio in siciliano. Ammetto di essere stato fino all’ultimo estremamente diffidente, ma non sono mai stato più felice di essere smentito. Il doppiaggio completo in siciliano, pur essendo distintamente un mix di vari dialetti dell’isola, riesce a restituire un senso di autenticità all’intera narrazione. C’è solo un problema: il labiale è purtroppo sincronizzato con i dialoghi in inglese.

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Passeggiare tra i vicoli di San Celeste fa tornare alla mente il prologo di Mafia II.

Ma questa è solo una delle sbavature, e nemmeno la più grave. Non si possono non citare le animazioni dei personaggi: queste sono fluide nelle fasi di combattimento, meno convincenti e più impacciate nelle interazioni ambientali. Alcuni movimenti, come la raccolta degli oggetti, risultano anacronistici e poco naturali. Vi è poi un evidente contrasto tra i personaggi principali, estremamente curati e modellati sulle fattezze di attori reali, e i PNG secondari, di contro molto più semplici, tanto da stonare rispetto alla qualità generale.

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Uno scontro a fuoco durante la festa patronale? Non finirà per nulla bene.

Tutta questa bellezza, però, si paga con una pesantezza non indifferente. Mafia: Terra Madre è un prodotto scarsamente ottimizzato, c’è poco da girarci intorno, come purtroppo gran parte dei videogiochi realizzati con l’Unreal Engine 5. Il frame rate risulta altalenante, i crash sono frequenti, e in alcune missioni, principalmente quelle ambientate in luoghi affollati, si fa fatica a mantenere i fatidici 60 fotogrammi al secondo persino impiegando le tecnologie di upscaling e riducendo i dettagli. Un grandissimo peccato perché la bellezza del mondo di gioco meriterebbe di essere vissuta senza compromessi.
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LUPARA E COLTELLO

Sul fronte del mero gameplay, Mafia: Terra Madre si muove all’interno di uno spazio dai confini inequivocabilmente chiari. È un action adventure classico che definirei persino formulaico nel suo alternare sezioni stealth a sparatorie in livelli pieni zeppi di coperture, con una struttura lineare delle missioni che accompagna il giocatore lungo una successione di capitoli ben scanditi. Non ci sono missioni secondarie, né un open world pieno zeppo di attività: l’esperienza è compatta, diretta, pensata per essere portata a termine in una quindicina di ore, più o meno tanto quanto durano i primi Mafia.

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Potevamo farci mancare la corsa automobilistica? Nella terra che ha dato i natali alla Targa Florio, peraltro.

Un qualcosa a cui non siamo più abituati, aggiungerei purtroppo, ma che personalmente ho apprezzato moltissimo. Sempre meglio un’esperienza intensa come quella di Terra Madre, piuttosto che un’opera estremamente diluita che si perde in un open world privo di carattere. Sebbene sia comunque possibile accedere alla modalità esplorazione dal menu di selezione dei capitoli, utile solo ed esclusivamente ai completisti per raccogliere gli oggetti collezionabili disseminati nel mondo di gioco.

Il gameplay può essere definito formulaico

Tuttavia anche il gameplay ha i suoi problemi, al di là del suo essere eccessivamente derivativo. In particolare, le sezioni stealth sono senz’altro il punto debole del pacchetto. L’intelligenza artificiale dei nemici è poco reattiva, e il loro posizionamento raramente fa accendere il cervello al giocatore. Inoltre, si hanno sempre a disposizione strumenti utili per distrarre e aggirare le guardie: bottiglie da lanciare, casse dietro ogni angolo per nascondere i cadaveri, percorsi alternativi fin troppo evidenti. La tensione e la sfida, di conseguenza, sono minime.

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Enzo può sfruttare il suo istinto per evidenziare i nemici.

Meglio le sparatorie, che invece offrono un po’ più di mordente. Il posizionamento delle coperture va a formare livelli che funzionano piuttosto bene, mentre in alcune situazioni l’IA nemica tenta rudimentali manovre di aggiramento. Ma anche qui non mancano le sbavature: per esempio i nemici che si espongono troppo quando sparano o che ignorano le coperture quando si muovono. Le armi da fuoco hanno un buon feedback, soprattutto i fucili e l’immancabile lupara, ma la varietà è limitata e, prevedibilmente, le situazioni di combattimento tendono a ripetersi. In buona sostanza le sparatorie fanno il loro dovere, ma non sono di certo il punto forte dell’esperienza.

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Enzo si ritrova spesso a fare i conti con banditi e briganti.

C’è però un aspetto del gameplay che risulta riuscito, più per la messa in scena che per effettivi meriti ludici: gli scontri con il coltello. Questi sono posizionati solitamente alla fine di un capitolo: qui Enzo impugna il coltello per sferrare affondi, parare e schivare i colpi nemici per avere la meglio sull’avversario di turno. Ne risultano combattimenti dal feeling cinematografico in cui la regia riesce a donare drammaticità a questi momenti particolarmente importanti per lo sviluppo dell’intreccio narrativo. A tutto questo va aggiunta la cura che è stata infusa nella caratterizzazione dei coltelli, di vario tipo e ognuno dei quali dotato di precisi tratti distintivi, non solo estetici ma anche ludici. Alcuni possono essere lanciati, altri forniscono bonus durante i duelli, altri ancora sono più adatti a scassinare le serrature.

Il rosario di Enzo fornisce bonus al protagonista

Sempre a proposito di personalizzazione, è possibile fornire a Enzo una serie di abilità passive modificando il suo rosario – composto da varie perline e un santino – raccogliendo ornamenti disseminati nei livelli e nel mondo di gioco. Ogni modifica conferisce piccoli bonus, che possono andare da una maggiore silenziosità nelle fasi stealth alla capacità di portare con sé più bende curative, fino a fornire più precisione quando si prende la mira. I simboli religiosi diventano così un mezzo tramite il quale si concretizza l’attività mafiosa.

LA DIFESA SICILIANA

Poche volte negli ultimi tempi ho avuto tra le mani un videogioco come Mafia: Terra Madre, soprattutto nell’ambito delle produzioni maggiori finanziate da un grosso publisher. È un’opera che sa ciò che vuole essere, che può contare su una direzione precisa e tiene fede alle sue promesse. Di sicuro non è un titolo rivoluzionario, tanto meno un capolavoro inatteso. Ciononostante è un’opera coerente che riesce a raccontare una storia intensa su una tematica spinosa come quella della criminalità organizzata, per giunta in un contesto difficile come la Sicilia di inizi Novecento.

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A cavallo o in automobile, questi segnali sul ciglio della strada indicano la via verso l’obiettivo.

Hangar 13 avrebbe potuto scegliere la strada più facile, quella del solito open world senz’anima, come già fatto con il terzo Mafia. Invece gli sviluppatori hanno preferito allontanarsi dai trend del mercato per realizzare un’opera più compatta, in linea con le radici ceche della serie, riuscendo a lasciare il segno. Perlomeno sul sottoscritto.

In Breve: Mafia: Terra Madre è un’opera compatta, una rarità di questi tempi, che fa della narrazione il suo principale punto di forza. Non è un videogioco rivoluzionario, né vuole esserlo, ma riesce a lasciare il segno nonostante le sbavature di un gameplay fin troppo formulaico. Ottima la resa della Sicilia di inizio Novecento, grazie a una ricerca estetica e stilistica apprezzabile e alla presenta del doppiaggio completo in siciliano. Peccato per qualche problema tecnico di troppo che mi auguro venga risolto nel più breve tempo possibile.

Piattaforma di Prova: PC
Configurazione utilizzata: AMD Ryzen 7 7800X3D, 32 GB di RAM, GeForce RTX 4060Ti, SSD
Com’è, Come Gira: Giocato a 2560×1440. Con un mix di impostazioni tra medio e alto e DLSS su Qualità, il gioco ha raggiunto e mantenuto a stento i 60 FPS. Solo impostando il DLSS su Bilanciato ho potuto giocare con un frame rate stabile, almeno finché non ho raggiunto le missioni più movimentate. Segnalo che la generazione dei frame causa glitch grafici e stuttering.

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Pro

  • Trama ben scritta e ben sceneggiata. / La Sicilia del ‘900 è magnifica. / Ottimo il doppiaggio in siciliano.

Contro

  • Gameplay funzionale ma privo di guizzi. / Le animazioni non sono un granché. / Problemi di ottimizzazione importanti.
8

Più che buono

Le leggende narrano che a Potenza ci sia un antro dentro al quale vive una misteriosa creatura chiamata Alteridan. In realtà è solo il nostro Daniele, che alterna stati diurni di brillantezza ad altri notturni dove i suoi amici non hanno ancora capito che non conviene fargli assumere troppo alcol.

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