Avviso ai naviganti, prima di proseguire con la recensione di Narcos Rise of the Cartles: la lettura di ciò che segue è consigliata ai fan sfegatati della serie e a chi è curioso di scoprire cosa è saggio evitare di fare nel caso si decidesse di creare uno strategico a turni in stile X-COM. Se possedete una, entrambe le caratteristiche o state dando solo una sbirciata, buon proseguimento.
DA UNA GRANDE LICENZA DERIVANO GRANDI RESPONSABILITÀ
Narcos: Rise of the Cartels è un tie-in che mira a farci rivivere digitalmente la prima stagione dell’omonima serie televisiva distribuita da Netflix. Raccontando dal punto di vista del detective Steve Murphy l’ascesa al potere e la caduta di Pablo Escobar, celebre signore della droga colombiano, questo strategico a turni può contare sulla licenza ufficiale di Narcos per far breccia nei cuori dei fan.
Le promesse di stategico à la X-Com con la licenza di Narcos sono ottime, ma quasi in nessun caso riescono a essere mantenute
Come ogni titolo sulla falsariga di X-COM, le missioni prevedono la disposizione dei propri uomini (massimo cinque), la localizzazione dei nemici e/o degli obiettivi (anche no, perché qua avviene in automatico ad inizio partita) e le fasi di scontro a fuoco in cui far sfoggio delle proprie abilità strategiche. Il tutto è scandito dal ritmo dei turni, una meccanica che permette di pianificare le proprie mosse, sfruttare le varie abilità e rispondere al meglio agli sviluppi degli eventi. Ecco, il nocciolo della questione si trova qui: in Narcos Rise of the Cartels il nostro turno permette di utilizzare solo una pedina, non tutta la squadra. Può sembrare un dettaglio di poco conto, ma il gameplay cambia radicalmente perché significa che ad ogni nostra singola azione corrisponde un’azione dell’IA. Ciò si traduce in una componente tattica che non permette una gran varietà di approcci, castrata, veloce ma poco articolata per via di posizionamenti e aggiramenti impossibili da gestire come si vorrebbe, fughe dell’ultimo nemico e inseguimenti frustranti affidati per forza di cose a un solo uomo e tutta una serie di inconvenienti che non credo fossero nei piani degli sviluppatori. Se mi sbaglio, allora ci hanno trollato tutti e quindi bravi loro.
C’È DEL BUONO IN TUTTI…O QUASI, ECCO
Nonostante l’Unreal Engine sia capace di prelibatezze, l’impatto estetico di Narcos Rise of the Cartels risulta generalmente nella media. Pur senza brillare per magnificenza dei dettagli, gli scenari ridotti, i personaggi, le animazioni e l’aspetto tecnico globale riescono, tuttavia, a passare in secondo piano rispetto ai difetti più grossolani. La scarsa – per usare un eufemismo – stratificazione della fase gestionale gambizza senza pietà il titolo, facendo storcere il naso anche ai giudici più teneri. Dall’HUB le possibilità sono cinque: mappa per la selezione delle missioni, roster per la gestione della squadra e intel board per ripassare le informazioni. Le altre due sono le opzioni e il ritorno al menu principale, perciò la spiegazione sarà breve. La gestione delle risorse consente di scegliere i membri per la missione tra quelli a disposizione o, spendendo i soldi recuperati in game, reclutarne di nuovi nel caso fossimo a corto di uomini (le classi e le relative armi sono: demolitori-lanciagranate, poliziotti colombiani-rivoltella, agenti della DEA-fucile a pompa, militari-UZI e forze speciali-fucile d’assalto).
Guadagnando esperienza si ottengono punti abilità per le skill degli agenti, ma componente gestionale e personalizzazione non hanno altro da dire
Perfino a livello narrativo si poteva compiere qualche sforzo qualitativo ulteriore, dal momento che, nonostante la collaborazione a stretto contatto con Gaumon che detiene i diritti del brand, gli eventi che coinvolgono la DEA e il cartello di Medellin in un sanguinoso conflitto avrebbero meritato una rappresentazione migliore. Magari siamo abituati troppo bene per lasciarci ammaliare da ogni gioco pronto a scimmiottare X-COM, ma la verità inconfutabile è un’altra: non basta una grande licenza per realizzare un gran gioco.
Narcos: Rise of the Cartels profuma di occasione colpevolmente mancata. Alcuni errori concettuali e realizzativi non gli permettono di rendere omaggio alla serie né al genere di appartenenza. Manca quella profondità a più livelli che è parte integrante dell’esperienza e ciò si ripercuote sul giocatore in maniera netta. È un peccato, perché l’affascinante contesto narrativo avrebbe potuto rivelarsi terreno fertile per un progetto che, tra brutali scontri a fuoco e gestione delle risorse, lasciava presagire una miriade di sfaccettature interessanti tra cui barcamenarsi.