One Hour One Life: sono in difficoltà e a memoria non ricordo di essermici mai trovato. Persino un Elite: Dangerous mi era sembrato affrontabile senza particolari ostacoli se non quello del poco tempo da dedicargli. Qui è diverso; diverso nel senso che l’opera di Jason Rohrer si presta ad approcci e letture così stratificate da configurarsi come un qualcosa che non avevo mai incontrato. Sento i commenti sardonici di chi ha intravisto qualche screenshot e si autoconvince che nel 2018 una grafica del genere può accompagnare solo gameplay indie insufficienti a saziare l’hardcore gamer che vive dentro di lui, ma ormai ho accettato che a queste persone si debba regalare una copia di FIFA 19 o l’ultimo CoD per lasciarle riposare e non avercele tra i piedi. Non sono uno dei fratelli Grimm e i ranocchi che vivono nel mio giardino hanno baci solo per me.
SURVIVAL
Non so da dove cominciare, giuro. Ho trascorso due giorni a leggere il forum ufficiale e la wiki di One Hour One Life scoprendo un ecosistema complesso, fatto di alberi genealogici, civiltà chiuse, gerontocrazie, matriarcati, pianificazione del lavoro, indici di sopravvivenza spiegati con grafici e funzioni ma anche di pura sperimentazione e improvvisazione. Mi trovo in difficoltà, scrivevo, perché se da un lato il gioco si inserisce nel genere dei survival sandbox à la Minecraft, dall’altro tutte le meccaniche poggiano sulla relazione tra i giocatori che popolano i server (e sono tantissimi), inquadrando il lavoro di Roher nel contesto dei multiplayer cooperativi. Si viene catapultati in una mappa bidimensionale con un avatar neonato, incapace di alimentarsi e parlare, destinato a morte certa nel giro di poche decine di secondi. L’autonomia si raggiunge a patto che un personaggio femmina ci allatti, ci scaldi e ci dia un nome.
L’autonomia si raggiunge a patto che un personaggio femmina ci allatti, ci scaldi e ci dia un nome
TECH TREE
Ogni oggetto si costruisce secondo un preciso ordine ad albero dalla complessità crescente: se per ottenere una pietra affilata è sufficiente raccogliere un sasso e levigarlo contro una pietra più dura, già produrre un’accetta richiede che con la pietra affilata si ottenga un ramo della misura adatta da un bastone più grande, che si intreccino radici e cortecce flessibili a mo’ di filo e che si assembli il tutto. Vi lascio immaginare cos’è necessario fare per costruire un forno, tenerlo acceso e cuocervi un impasto di farina per ottenere il pane. Sto parlando di un vero e proprio universo di possibilità; una sorta di paradiso del crafting finalizzato alla crescita della civiltà ed esplicitato chiaramente con istruzioni precise.
La reincarnazione è la chiave di volta per l’evoluzione della civiltà
CUI PRODEST?
One Hour One Life ha qualcosa di diverso; qualcosa che lo distingue da qualsiasi altro prodotto ludico io abbia mai provato in trentacinque anni di videogiochi. Non capisco se questa sua diversità sia associata all’imprescindibile intelligenza necessaria ai giocatori per cooperare prolificamente o alla magnificenza della progressione tecnologica offerta dal gameplay che richiede pianificazione e impegno, resta il fatto che siamo al cospetto di un capolavoro del game design. A livello tecnico, la stilizzazione grafica e la bidimensionalità rendono tutto semplice e immediato, con un sistema di controllo legato esclusivamente al mouse e una mappa a scacchiera in cui la sovrapposizione degli elementi è concessa solo quando prevista (i.e. un cesto può contenere attrezzi o cibo, ma due attrezzi non possono essere posizionati sulla stessa casella). Il trailer e alcuni video dimostrano che la tabella di marcia dello sviluppatore prevede l’introduzione di macchinari sempre più complessi, arrivando fino ai robot. Questo significa che un giocatore potrà sperimentare la sopravvivenza in epoche lontane tra loro, passando dall’età della pietra alla post modernità, a patto di dedicarcisi o avere la fortuna di essere catapultato sul server giusto.
One Hour One Life riflette distintamente la filosofia che accompagna la vita di Jason Rohrer e della sua famiglia
One Hour One Life è un capolavoro di game design. Avete letto il voto e se volete i dettagli c’è una recensione che tenta, senza grande successo, di sintetizzare ciò che questo “gioco” ha da offrire. Esistono solo due ragioni che potrebbero dissuadervi dall’acquisto immediato e sono la necessità di una connessione costante a internet e l’ignoranza dell’inglese di base con cui si comunica tra giocatori e sono spiegati gli step necessari alla costruzione delle centinaia di oggetti indispensabili a sopravvivere ed evolvere. Per essere chiari: se la vostra ambizione è quella di giocare col pad tirando calci a un pallone virtuale “questo non è il videogioco che state cercando” (semicit.), ma guardare qualche video su YouTube per capire cos’è possibile fare oggi con i videogiochi vi farebbe un gran bene.