Giocare su PC sta tornando a essere piuttosto costoso. Ci siamo lasciati fortunatamente alle spalle una fase molto critica, in cui riuscire ad acquistare una scheda video era già molto difficile di per sé, e farlo a prezzi vicini a quelli di listino aveva un che di miracoloso, ma non è che adesso la situazione sia migliorata più di tanto tra l’inflazione che galoppa e i prezzi applicati dai produttori ai nuovi modelli. Se, un tempo, poteva sembrare oltraggioso spendere più di 500 euro per una scheda video di fascia alta, oggi con la stessa cifra ci si deve accontentare di un modello di fascia media, già che le Radeon RX 7900 XTX e le GeForce RTX 4080 superano abbondantemente i mille euro in qualsiasi negozio on line.
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Sul fronte delle schede madri non va poi tanto meglio: un tempo la fascia alta si aggirava intorno ai 300 euro, oggi invece questa X670E Aorus Master può essere vostra in cambio di circa 530 euro (negli e-store) e non è neanche il modello più costoso, visto che la Extreme sta intorno agli 800 euro su Amazon. È quindi lecito chiedersi cosa ci offrano queste preziose periferiche, in cambio di una porzione abbastanza considerevole del nostro stipendio medio. Prendiamo in esame proprio la X670E Aorus Master, una scheda madre di lusso con cui Gigabyte intende conquistare i gamer che scelgono i processori AMD.
VELOCITÀ E VOLTI NUOVI
La novità principale della X670E Aorus Master è l’adozione della piattaforma AM5 di AMD e di tutto ciò che essa comporta, come l’uso delle RAM DDR5 fino a 6.666 MHz in overclock e soprattutto la possibilità di collegare fino a quattro drive SSD NVMe, utilizzabili anche in diverse configurazioni RAID. Dei quattro connettori per queste periferiche, due sono pienamente compatibili con la versione 5.0 del bus PCI Express e, per tanto, se il modello di processore Ryzen 7000 prescelto offre questa possibilità, è possibile leggere/scrivere dati a velocità supersonica, superando addirittura i 10 GB/s sui drive compatibili. Gli altri due, invece, si “fermano” alle specifiche – comunque già ampiamente soddisfacenti – della versione 4.0, con un “limite” teorico di circa 7 GB/s.
La novità principale della X670E Aorus Master è l’adozione della piattaforma AM5 di AMD e di tutto ciò che essa comporta, come l’uso delle RAM DDR5S e la possibilità di collegare fino a quattro drive SSD NVMe
Manca, stranamente, la versione 4.0 dello standard USB (che avrebbe offerto almeno una porta a 40 Gbps), ma c’è un connettore USB 3.2 gen 2×2 di tipo C che può arrivare a 20 Gbps, mentre un secondo dello stesso tipo è disponibile sotto forma di header sulla scheda madre. Tra porte USB fisicamente presenti e pin sulla piastra, abbiamo a disposizione sette connettori da 10 Gbps, sei da 5 Gbps e quattro USB 2.0 da 480 MB/s, utili per collegare periferiche di controllo come mouse e tastiera o vecchi accessori che hanno problemi con le versioni più veloci. La porta USB di tipo C può essere usata anche come uscita video DisplayPort, mentre una di quelle di tipo A può essere usata anche per aggiornare il firmware (quello che ancora oggi chiamiamo impropriamente BIOS) in maniera del tutto indipendente, ma su questo ci torneremo dopo. Data la grande quantità di tecnologie già presenti on board, troviamo solo tre slot di espansione PCI Express: uno x16/x8 versione 5.0 (destinato alla scheda video), un x4 versione 4.0 e un altro x4 versione 3.0, anche se fisicamente sembrano tutti connettori x16.
Per chi ancora oggi usa configurazioni multi-GPU, la X670E Aorus Master supporta la modalità Crossfire. Non mancano le porte SATA e quelle per l’audio: i più tecnici di voi, comunque, possono apprezzare l’organizzazione dell’I/O e delle componenti on board grazie al seguente diagramma a blocchi, estratto dal manuale d’uso.
AMPIA E MOLTO BELLA
Il formato E-ATX della piastra è leggermente più largo del più consueto standard ATX e permette una collocazione più ordinata di tutte le componenti. Una volta estratta dalla scatola, la prima parola che viene in mente è “solidità”: tutti i circuiti vitali, a partire da quelli di alimentazione e il chipset X670E, sono coperti da qualche forma di dissipatore e, per accedere ai vani M.2, è necessario addirittura un cacciavite. Il primo connettore si trova nello spazio compreso tra il socket AM5 e lo slot PCI Express principale, sovrastato da un voluminoso dissipatore passivo assicurato alla scheda da due viti.
Tutti i circuiti vitali sono coperti da qualche forma di dissipatore e, per accedere ai vani M.2, è necessario addirittura un cacciavite
Il discorso cambia se abbiamo un drive più lungo (vite) o più corto: in quest’ultimo caso possiamo sempre togliere uno strato protettivo di carta velina per usare l’adesivo sottostante, che manterrà saldamente il drive in posizione anche se questo significherà rischiare di romperlo con una futura rimozione. Ricorrete a questa soluzione solo se non ne avete a disposizione nessun’altra.
SETUP DEL SISTEMA E INSTALLAZIONE
Come avevo scritto tempo addietro, la scelta del form factor E-ATX può limitare la scelta del case ai modelli più ampi e ingombranti, ma non è sempre così: c’è stata piuttosto comodamente anche nel grazioso H5 Elite di NZXT, anche se al costo di rinunciare a una placca che serve a nascondere alcuni cavi. Installare il dissipatore del processore centrale, invece, ha chiesto la rimozione di quello del primo drive M.2, compreso tra la CPU e la scheda video. La sua altezza impediva materialmente di far scattare il meccanismo di retention del waterblock usato dal sistema di raffreddamento a liquido H100i Elite Capellix di Corsair, che non riusciva a fare presa sull’apposito gancetto del socket. Dopo una buona mezzora di fatica ho tolto il dissipatore dell’M.2 e l’H100i si è agganciato all’istante. È comunque possibile rimetterlo al suo posto subito dopo. Nessun problema invece a installare le altre componenti hardware: con RAM, scheda video e cavetti vari è filato tutto liscio come l’olio, e in breve il sistema era pronto per la prima accensione.
QUALCHE SECONDO DI SUSPENSE…
La prima accensione è invero piuttosto lunga. Il firmware effettua diversi controlli prima di caricare il sistema operativo (tra cui la coerenza del TPM incluso nel processore, il corretto funzionamento delle RAM, ecc), spegnendo e riaccendendo la motherboard più volte. Ma una volta superata questa fase (che tipicamente richiede tra i 30 e i 60 secondi al primo avvio) passa qualsiasi tentennamento: alle impostazioni automatiche, sia il Ryzen 9 7900X, sia il Ryzen 5 7600X con cui l’abbiamo provata hanno funzionato egregiamente, mantenendo sempre stabile la nuova installazione di Windows 11 effettuata per l’occasione.
La prima accensione è invero piuttosto lunga: il firmware effettua diversi controlli prima di caricare il sistema operativo, spegnendo e riaccendendo la motherboard più volte
… E UN PO’ DI SANO TERRORE
Ciò che invece mi ha intesito di più è stato l’aggiornamento del firmware, un’operazione che di solito si compie soltanto in caso di problemi reali – o per installare qualche patch contro le falle di sicurezza dei processori centrali – ma che possiamo considerare di routine in un test come questo. Al primo tentativo non è stato possibile aggiornarlo né con l’apposito menu del BIOS (chiamato Q-Flash), né tramite riga di comando: il file che conteneva la versione più recente del firmware veniva correttamente caricato dalla chiavetta USB, verificato, ma non installato al riavvio successivo. Al terzo-quarto tentativo, la scheda madre ha smesso di rispondere ai comandi, bloccandosi all’avvio ancora prima di inizializzare le periferiche USB e visualizzando sul display POST il valore C5, classificato “reserved” sul manuale d’uso.
Un veloce passaggio al servizio di supporto di Gigabyte e ho potuto apprezzare la modalità di aggiornamento del firmware più estrema di tutte, la Q-Flash Plus, che consiste praticamente nel togliere tutto dalla scheda madre, anche la RAM e il processore centrale, lasciando collegati solo i cavi di alimentazione a 8 e 24 pin, e la penna USB su cui era salvato il file del firmware, rinominata “gigabyte.bin” per l’occasione. È un sistema davvero fichissimo, per uno smanettone come me. Un po’ inquietante, perché va eseguito “alla cieca”, ma fichissimo. Il tentativo di recupero in sé è andato a vuoto, ma togliere i cavi di alimentazione per poi rimetterli dopo qualche minuto, in qualche modo, ha migliorato la situazione, indirizzandomi verso la piena risoluzione del problema.
A mettere in crisi la X670E Aorus Master sia stata l’attivazione del CSM, il ‘modulo di compatibilità’ che dovrebbe garantire l’avvio dell’OS in modalità legacy
SOLIDITÀ NON SOLO PERCEPITA
Il paragrafo precedente non vi deve spaventare. Ripeto: non deve affatto spaventarvi. Sembra una “rogna” molto complicata, ma tradotto dal tecnichese è la prova che non state pagando 500 euro per niente: in caso di difficoltà, la X670E Aorus Master vi mette a disposizione gli strumenti necessari a recuperarla e l’unico fastidio che ho rilevato, in tutto questo, è stato la scelta poco felice di relegare la cancellazione della CMOS a due pin che vanno chiusi momentaneamente con un ponticello (non fornito in dotazione) o facendogli fare contatto con la punta del cacciavite. Ho visto decine di schede madri notevolmente più economiche mettere un pulsantino allo scopo. Non dico a portata di burlone sul pannellino posteriore, perché lì c’è già il pulsante Q-Flash Plus e confondersi è un attimo, ma almeno sulla piastra in sé, da qualche parte vicino agli header per le porte USB aggiuntive o per il pannello frontale del case. Non sarebbe male se ne mettessero uno, alla prossima revisione del prodotto, tuttavia, non si può negare che questa scheda madre svolga egregiamente il proprio dovere.
Le RAM utilizzate sono due moduli GSKILL da 4800 MHz con un profilo EXPO – il nuovo corrispettivo di XMP ratificato da AMD – che permette loro di andare a 6000 MHz. È bastato collegarle e abilitare il profilo nel BIOS perché venissero usate “a piena frequenza”. Il firmware è quello a cui nel bene e nel male Gigabyte ci ha abituati, con decine di opzioni dal sapore squisitamente tecnico che consentono di configurare a puntino l’hardware a disposizione, anche se bisogna rimarcare che quasi nessuna di esse è spiegata dall’help interno. Si potrà obiettare che non è compito del BIOS spiegare a che serva ciascuna opzione, ma trovo sempre stucchevole che l’aiuto di una voce del tipo “Zxwxy mode enable/disable” sia “permette di abilitare Zxwxy o meno”: fin lì ci arrivavo anch’io. In ogni caso, le impostazioni di default offrono una pressoché marmorea stabilità del sistema: in qualità di piattaforma “nuova”, mi aspettavo di incontrare qualche tentennamento, dei cali di velocità, magari un occasionale schermo blu della morte… e invece niente.
Durante i miei test il sistema ha semplicemente funzionato come se fosse stato temprato da anni di collaudo: possiamo considerare il test del “comune videogiocatore” superato a pieni voti
Considerato che i prodotti nuovi possono solo affinarsi e migliorare con l’evoluzione dei driver, si tratta indubbiamente di un buon inizio.
MILLE ESIGENZE DIVERSE, UNA RISPOSTA
Benché il pedigree di questa motherboard sia formalmente ludico, la sua maggiore vocazione è chiaramente quella di una workstation, in particolare in tutti quegli ambiti dove l’accesso veloce ai dati costituisca una priorità imprescindibile: non si sa bene di cosa se ne facciano, i videogiocatori, di quattro slot M.2 configurabili in RAID 0, 1 e 10, ma chiunque avesse questo genere di necessità, anche solo per velocizzare il caricamento dei livelli, troverà nella X670E Aorus Master una fedele alleata. C’è davvero tutto quello che può far piacere ai maniaci del modding: dai circuiti di alimentazione PVR a 20 fasi, di cui 16 dedicati al Vcore in una configurazione in team, alle tante opzioni per l’overclock di CPU e memorie nel BIOS, passando per quattro LED di controllo, il display numerico delle fasi del POST e i diversi punti previsti per la misurazione delle tensioni. Una scheda da sogno per i più tecnici di noi, insomma, a cui è davvero difficile trovare dei difetti.
Considerato che i prodotti nuovi possono solo affinarsi e migliorare con l’evoluzione dei driver, si tratta indubbiamente di un buon inizio