Qualche mese fa, sulle pagine di TGM cartacea , donai a questa rubrica una tinta vermiglio per rendere omaggio al nuovo Mortal Kombat, e giusto da un paio di giorni ho potuto mettere le mani sull’ultima fatica di NetherRealm Sudios. Il sangue è dunque ancora fresco sulle nostre grandguignolesche pagine e spero che un freddo brivido possa attraversare la vostra schiena, leggendo queste righe. Non siate stupiti, perché il terrore non deve passare per forza attraverso gli occhi: basta infatti la sola immaginazione a trasportarci nel più oscuro dei reami, a patto che venga guidata sapientemente dalla giusta penna. Questo vale anche se parliamo di videogiochi, un medium dove una volta si leggeva tanto, tantissimo.
Torniamo indietro alla metà degli anni Ottanta per mettere in prospettiva le mie parole, un’epoca in cui le avventure testuali ancora spopolavano, complice la pubblicazione di alcuni fondamentali editor come The Quill o addirittura STAC, acronimo per ST Adventure Creator e testimonianza dell’importanza goduta dalle cosiddette interactive fiction anche sui nuovissimi computer a sedici bit. Inutile dire che simili programmi permettevano a qualunque aspirante scrittore di creare un videogioco, facendo nascere un’offerta esorbitante destinata a saturare un mercato comunque di nicchia, un problema particolarmente sentito dalle parti della CRL.
Inizialmente dedita alla distribuzione di materiale informatico (la sigla sta per Computer Rentals Limited), la CRL si rivelò interessata al neonato mercato dei videogiochi, pubblicando giochi di novelli programmatori in cerca di fortuna e gloria. Senza un vero e proprio controllo qualità, la società fondata nel 1982 da Clem Chambers mise sul mercato un buon quantitativo di titoli francamente pessimi durante la sua carriera, che comunque inizialmente vendevano lo stesso come il pane a una fetta di utenza composta da ragazzini affamati di novità.
C’era bisogno di un espediente più ingegnoso per rendere i giochi di CRL unici e riconoscibili, possibilmente non per la scarsa qualità che li aveva contraddistinti!
A Ron venne quindi chiesto di realizzare un nuovo titolo basato sul vampiro per antonomasia, stavolta però corredato di illustrazioni decisamente violente e d’impatto (almeno su C64 e CPC, quelle della versione Spectrum ispirano tutt’altre sensazioni…) che spuntavano fuori all’improvviso quando i protagonisti avevano delle premonizioni o in caso di decesso. Dracula (1986) si presenta in realtà come un titolo piuttosto ambizioso diviso in tre sezioni, dedicate a due differenti personaggi distanti centinaia di miglia, tuttavia accomunati dal medesimo destino. Dalla Transilvania a un ospedale psichiatrico in Inghilterra, la storia di Jonathan Harker e del dottor Seward è chiaramente narrata con gran cura, forse un po’ troppo criptica negli enigmi ma comunque assai godibile per tutti gli avventurieri dell’epoca. Peccato che non servì al suo scopo originale, ovvero sollevare un polverone: tutte quelle splendide schermate e le angoscianti descrizioni nate dall’appassionata penna di Rod riuscirono a malapena a ottenere un bollino che sconsigliava timidamente il gioco ai minori di quindici anni: bene ma non benissimo nell’ottica di Clem, che decise di rincarare la dose commissionando al medesimo autore una nuova avventura, stavolta corroborata da immagini animate, tanto per elevare la paura all’ennesima potenza.
Il grafico Jon Law coinvolse quindi amici e familiari in sessioni di fotografia per ottenere un gran numero di soggetti da scuoiare, squartare e fare violentemente a pezzi in sede di post produzione, il tutto per fornire sangue e interiora fresche per il nuovo titolo di Ron, prevedibilmente basato sul personaggio di Frankenstein (1987). In realtà i Frankenstein in questione sono due, giacché l’avventura permette di vestire i panni del dottore e successivamente quelli della sua stessa creazione; anche stavolta, però, il gioco si beccò il medesimo bollino ottenuto da Dracula, nonostante la presenza di piccole animazioni. Per ironia della sorte lo stesso trattamento toccò alla versione Spectrum che, invece, non presentava la minima illustrazione!
Wolfman è un elegante racconto dell’orrore con un’inedita verve psicologica
A questo seguì la “rimonta” di Ron Pike con Wolfman (1988), ovvero l’ultimissima avventura horror di CRL. BBCF andò di matto con poco stavolta: bastò presentare una trama che vedeva il giocatore indossare la pelliccia dello stesso uomo lupo e obbedire al cieco richiamo animale, abbandonandosi al proprio lato ferale nonostante la trama di fondo sia sostanzialmente incentrata sulla ricerca di una cura per la licantropia. Con una narrazione divisa anche stavolta in tre parti e un capitolo di mezzo vissuto attraverso gli occhi della disperata fidanzata del licantropo, Wolfman è un elegante racconto dell’orrore con un’inedita verve psicologica, e si conferma uno dei più efficaci esponenti di un genere che oramai stava vivendo i suoi ultimi anni, destinato a soccombere davanti alla produzione di Sierra e Lucasfilm Games. Volete sapere la cosa che infiammò maggiormente i tabloid? Presto detto: uno dei grafici coinvolto nella creazione di illustrazioni tanto crude era Jared Derrett, ovvero un sedicenne! Quando si venne a sapere la cosa, CRL finì nell’occhio del ciclone, il che equivaleva ovviamente a massicce dosi di pubblicità extra! Al di là della qualità dei quattro giochi, l’intuizione di Clem fu veramente geniale, ma Wolfman – come già detto – segnò la fine della software house, orfana del proprio distributore alla fine del 1988. Assieme a lei termina anche questo nostro breve excursus sull’horror digitale; per quel che mi riguarda non mi resta altro che salutarvi con una citazione colta, augurandovi la buona notte… qualunque cosa siate!
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