La recente epidemia di Coronavirus ha dimostrato come l’intelligenza artificiale possa dare una svolta alla diagnosi e alla cura delle malattie. Ma anche noi giocatori possiamo offrire il nostro contributo concreto alla ricerca scientifica.
Boston, 30 dicembre 2019. Alle 23.12 (ora locale), il sistema automatizzato HealthMap del Boston Children’s Hospital – un sistema basato su IA che scandaglia le notizie online e i rapporti sui social media – ha inviato un’alert su un’inspiegabile polmonite che aveva colpito numerosi individui nella città cinese di Wuhan, classificandolo con un indice di gravità pari a 3 su 5. Ma, forse a causa della sua bassa priorità, nessuno ci ha fatto caso per diversi giorni. Fortunatamente, l’intelligenza umana si era già mobilitata: l’epidemiologa newyorkese Marjorie Pollack, vicedirettrice di un programma di monitoraggio delle malattie emergenti noto come ProMed, aveva già iniziato a scrivere un avviso pubblico quattro ore prima, sulla base di alcune informazioni allarmanti che le erano giunte via e-mail. Il rapporto definitivo di ProMed è stato diramato mezz’ora dopo l’avviso di HealthMap, scongiurando la possibilità che l’IA del Children’s Hospital diventasse una moderna Cassandra. L’IA, dunque, aveva battuto gli esseri umani per velocità, ma non era stata in grado di valutare correttamente la gravità della situazione. I sistemi informatici che esaminano i rapporti online alla ricerca di informazioni sulle epidemie si basano sull’elaborazione del linguaggio naturale, lo stesso ramo dell’intelligenza artificiale che aiuta a rispondere alle domande poste a un motore di ricerca o a un assistente vocale digitale.
Ma l’efficacia degli algoritmi dipende dai dati che stanno analizzando: è fondamentale che il modo in cui le diverse agenzie riportano i dati medici sia coerente, perché in caso contrario può ostacolare le procedure. Per questo motivo, quasi sempre, è ancora necessaria una persona in carne e ossa che svolga la revisione dei dati. Ciò nonostante, le tecniche di machine learning sono state impiegate con successo su numerosi aspetti della Covid-19, dalle previsioni sull’entità del contagio all’identificazione, negli aeroporti, dei passeggeri che potevano esserne infetti, passando naturalmente per lo studio del virus SARS-CoV-2 e per la diagnosi della malattia.
E IL PC SENTENZIÒ: “NON È LUPUS”
Di fronte a un’emergenza come quella del Coronavirus, uno dei maggiori problemi iniziali è stato identificare con relativa certezza i possibili contagiati e indirizzarli verso esami specifici. In Italia si usa un metodo di rilevazione basato sulla comparazione degli acidi nucleici, il cosiddetto “tampone”: si preleva cioè un po’ di saliva e si va alla ricerca di una “impronta”, una sequenza nota del genoma del virus. Un sistema efficace, ma soggetto alle possibili mutazioni dell’agente patogeno.
Lo scorso 3 febbraio, in Cina, il virus era stato diagnosticato a 17.205 pazienti, mentre altri 21.558 potenziali casi erano in attesa di verdetto. A Wuhan, presso il Tonji Hospital, così come in altri centri ospedalieri sparsi per il territorio cinese, a occuparsi di questo triste fardello è stata un’IA sviluppata da Infervision, un’azienda statunitense con sede a Filadelfia, in Pennsylvania. Il sistema provvede ad analizzare le immagini provenienti da una tomografia assiale computerizzata (TAC) eseguita sul paziente, riducendo il tempo necessario a ottenere una diagnosi.
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