The Bitmap Brothers - Parte 1 - Come le rockstar

Se siete fan di questo genere di articoli, magari ricorderete anche le particolari attitudini di questo o quello sviluppatore che ha militato o visto il suo massimo splendore, a fianco dei ragazzi di Wapping, tra gli anni ’80 e i ’90 (seguendo il link troverete la news sull’acquisizione delle IP dei Bitmap Brothers da parte di Rebellion, l’anno scorso). C’erano gli schivi e riservati Stamper, che tiravano fuori capolavori su Spectrum nella massima riservatezza, facendo parlare la qualità del loro lavoro, oppure David Crane e il suo allegro gruppo di amici, fieri del loro status di coder d’elite.

bitmap brothers Zzap!Tanto orgogliosi da prendersela davvero parecchio quando Ray Kassar osò definirli “non più importanti degli addetti alla catena di montaggio”, con successive dimissioni e apertura di un colosso come Activision. Ecco, i Bitmap Brothers condividono un destino molto simile a quello di David, Jim e compagni, ponendosi allo stesso tempo agli antipodi dei seriosi Stamper. Comincia tutto negli anni Ottanta (bene o male come tutte le cose belle) con Leisure Genius, sviluppatore focalizzato nelle versioni digitali di giochi da tavolo. Nel suo catalogo spiccano infatti adattamenti di Cluedo, Monopoli e addirittura delle piste elettriche Scalextric. Mike Montgomery era direttore commerciale, e desiderava includere nell’offerta dell’azienda una versione digitale di Scrabble, precedentemente pubblicata da Sinclair Research e scritta da Steve Kelly sotto etichetta Psion Publishing. I due si incontrarono più volte durante l’iter necessario per la ripubblicazione del titolo e nacque un’amicizia, non senza il terzo incomodo. Eric Matthews era un programmatore con cui ebbero a che fare dopo poco, in un progetto volto a convertire su Amiga e ST il picchiaduro QL Karate (1985), creato inizialmente da Steve Kelly sul serioso – e bellissimo – Sinclair Quantum Leap. Bellissimo perché è il primo sistema sul quale appare la fondamentale avventura The Pawn, di certo non per QL Karate, che si autoproclama nell’introduzione come “The Ultimate QL game” in un’overdose di autostima.

Sulle riviste cominciarono a apparire foto di questo nuovo trio di sviluppatori con un inedito taglio cool, spesso in bianco e nero e con occhiali scuri

Fosse rimasto su una piattaforma tanto di nicchia non sarebbe stato un problema, ma su Amiga e ST, per giunta due anni dopo, non rappresentava un bello spettacolo, specie se paragonato a quello che combinavano i superbi karateka di Archer MacLean sugli otto bit. In Italia venne giustamente snobbato alla grande dalla stampa specializzata; a tal proposito lo ricordo solo sulla copertina di un Videogame & Computer World e poi basta, com’è giusto che sia. Il gioco vanta discreti fondali per il 1987, statici ma di buona fattura, controbilanciati tuttavia dalle animazioni rigidissime che rispondono ad un sistema di comando tra i meno intuitivi di sempre.

Non esistono atterramenti o stordimenti, quindi la tattica vincente consiste nell’attivare l’autofire con una direzione a caso, attendendo che le raffiche di colpi abbiano ragione della letargica CPU. Più avanti un terzo lottatore entrerà in gioco per moltipicare il tedio, mentre un bonus round (obbligatorio, se lo si fallisce si perde una delle vite a disposizione) in cui spaccare vasi fluttuanti smorzerà l’azione, ma nulla di tutto questo riesce a salvare un gioco concettualmente lacunoso in partenza. Non una partenza col botto per i tre, ma va detto che non era quello il problema. Semplicemente non gradivano l’andazzo che il mercato aveva preso, esclusivamente orientato al riconoscimento unico del publisher, con gli sviluppatori e i singoli programmatori relegati a note a piè pagina in fondo al manuale d’istruzioni, nella più ottimistica delle situazioni. Montgomery ha spiegato il loro punto di vista in un’intervista di qualche anno fa: quando compri un disco non cerchi espressamente un prodotto Apple Records, ma un album dei Beatles; allo stesso modo vai al cinema per un film del tuo attore preferito, non per l’ultima produzione Paramount.

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