Roguelike, o il fascino del déjà vu

Eppure anche questi titoli appena citati acquisiscono un carattere in un certo senso seminale, giacché fungono da punti di riferimento impiegati da altri sviluppatori indipendenti per la creazione delle opere che sarebbero state pubblicate qualche anno più tardi. Prendiamo ad esempio Dead Cells: il fenomenale ibrido roguelite/metroidvania di Motion Twin deve moltissimo a Rogue Legacy, soprattutto per l’impalcatura ludica sulla quale gli sviluppatori francesi hanno costruito il loro piccolo, grande gioiellino.

AZIONE PROCEDURALE IBRIDA

È dunque in quei videogiochi che fondono più generi che queste dinamiche hanno trovato un terreno maggiormente fertile, tant’è vero che al giorno d’oggi i roguelike puri vengono pubblicati con il contagocce, laddove di cugini “lite” il mercato è ormai straripante. È un segno palese che queste ibridazioni vincono e convincono, anche quando il mix di generi potrebbe inizialmente risultare poco adatto all’innesto di tali meccaniche.

Per dire, chi avrebbe mai pensato che un tower defense si sarebbe prestato così bene al trapianto? Di certo non io, visto che prima di avventurarmi nelle strutture sotterranee di Dungeon of the Endless non mi sarebbe mai venuta in mente una combinazione del genere. Eppure Amplitude Studios ha saputo realizzare con grande maestria un roguelite davvero particolare in cui nessuna partita è davvero uguale alla precedente grazie alle tante combinazioni possibili.

Tuttavia il filone a mio avviso più affascinante è quello che punta sull’utilizzo di un mazzo di carte per randomizzare l’esperienza di gioco. Se infatti Hand of Fate ha fatto da apripista, i deckbuilding roguelite (come vengono chiamati dagli appassionati) sono letteralmente deflagrati grazie all’enorme successo di Slay The Spire.

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