LA STORIA FAMILIARE DEI VIDEOGIOCHI DI FANTONI PRENDE A VIAGGIARE SU DUE BINARI PARALLELI: DA UN LATO LA SUA VITA, SULL’ALTRO L’EVOLUZIONE DEL MEDIUM
ERAVAMO RAGAZZƏ, MA NON È UNA SCUSA
La parte più interessante dell’analisi di Fantoni, che riesce a decifrare dinamiche profonde pur rimanendo sempre piacevole grazie anche a un tono leggero e scanzonato un po’ come una canzone degli 883, è il riconoscimento di come l’ambiente dei videogiochi negli anni non sia stato davvero così accogliente per tuttə, e se non ce ne siamo mai accorti è perché non eravamo noi quellə esclusə.
ALL’EPOCA NON POTEVAMO RENDERCI CONTO DI COME QUEL CLIMA GREZZO E MASCHILISTA CE LO SAREMMO PORTATI ADDOSSO ANNI DOPO

Di ragazzine non se ne trovavano molte in sala giochi, chissà come mai; forse perché usate come metro di paragone dell’incapacità?
Si tratta di un’eredità a cui tutti in qualche modo abbiamo contributo ed è notevole che Fantoni non si limiti a derubricare gli sbagli come peccati di gioventù, ma se ne assuma le responsabilità, riconoscendo gli errori (maturati certo in un’età e un tempo meno consapevole, a parziale discolpa di tutti noi) e impegnandosi oggi a mettere in campo comportamenti più attenti e inclusivi.
Nota finale: in questo articolo ho usato il fonema ə, introdotto dalla linguista Vera Gheno e utilizzato abitualmente nei libri editi da Effequ per indicare il genere neutro di sostantivi e aggettivi, rendendo in questo modo la nostra lingua più inclusiva. Io credo fermamente nel potere della parola di plasmare la realtà: ciò che diciamo e ciò che scriviamo influisce sul mondo che ci circonda. Non bastano le parole a cambiare il mondo, ma un piccolo pezzo di cambiamento lo si deve anche a loro. E di inclusività il nostro mondo (inteso come pianeta, ma anche semplicemente in relazione a tutto ciò che gira intorno ai videogiochi, nello specifico) ne ha indubbiamente bisogno.
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