Le azioni del giocatore hanno così permesso la nascita della New California Republic, che diventerà una costante in tutti i successivi capitoli della saga
Da questo punto di vista, il primo Fallout rappresenta proprio l’esempio accademico più emblematico. Qui le diverse fazioni sono allo sbando, ma una volta risolta la minaccia dei supermutanti e raggiunto il finale canonico,
ecco che la piccola cittadina di Shady Sands inizia a fiorire e ad attrarre sempre più sopravvissuti. Le azioni del giocatore hanno così permesso la nascita della New California Republic, che diventerà una costante in tutti i successivi capitoli della saga e rappresenterà quel lumicino di speranza in grado di illuminare la via, nonostante più di qualche difficoltà.
LE MILLE SFUMATURE DEL CATACLISMA
Se ci pensate, il focus di quasi tutti i videogiochi post-apocalittici è spesso rivolto verso la risoluzione di un problema che rischia di peggiorare ulteriormente la vita dei sopravvissuti, se non addirittura estirpare per sempre quei brandelli di civiltà ancora rimasti in piccole enclavi tribali.

Oggi la saga di Fallout conta quattro episodi principali e diversi spin-off.
Tra i topoi del genere spicca dunque la figura del protagonista come salvatore, colui (o colei) che viene incaricato di risolvere la drammatica questione e garantire che la vita possa continuare oltre la fine del mondo. A prescindere dal fatto che l’eroe sia tale per puro caso, per via di una misteriosa profezia, o per mandato divino.
Tra i topoi del genere spicca dunque la figura del protagonista come salvatore
Impossibile non citare a questo punto Breath of the Wild:
il primo The Legend of Zelda la cui storia parte da un evento paragonabile a un’ecatombe. Link e i suoi compagni hanno perso la guerra contro Ganon (evento approfondito nel prequel
Hyrule Warriors: L’Era della Calamità), pertanto il mondo in cui il protagonista si risveglia un secolo più tardi ha già dovuto fare i conti con le conseguenze dell’apocalisse scaturita dalla sconfitta. Qui le varie razze che popolano il Regno di Hyrule si ritrovano loro malgrado isolate in piccoli villaggi, mentre il resto del mondo è popolato da creature mostruose di ogni sorta che dimorano nelle rovine del tempo che fu.

The Legend of Zelda: Breath of the Wild offre una post-apocalisse non convenzionale.
C’è una costante sensazione di malinconia che avvolge l’intero capolavoro Nintendo. Una malinconia che si concretizza nella colonna sonora frammentata, nei lunghi silenzi, negli spazi apparentemente vuoti che Link si ritrova a esplorare. È un mondo post-apocalittico diverso rispetto al solito. Siamo abituati ad aspettarci distese polverose, non pianure verdeggianti. Città in rovina popolate da persone prive di un codice morale, non simpatici villaggi abitati da gente affabile. Breath of the Wild in un certo senso ribalta gli stereotipi dell’ambientazione, pur essendo comunque un videogioco con setting post-apocalittico.
Siamo abituati ad aspettarci distese polverose, non pianure verdeggianti.
Abbiamo quindi due tipologie di post-apocalisse agli antipodi. Da una parte l’ambientazione più tradizionale di un Fallout o di un Wasteland, dall’altra l’atipicità di The Legend of Zelda: Breath of the Wild.
In mezzo si posizionano innumerevoli sfumature che caratterizzano altrettanti videogiochi. Che sia quindi causata dal virus di The Last of Us, dal meteorite di Rage, dalle macchine incontrollate di Horizon Zero Dawn, dal freddo glaciale di Frostpunk, dagli alieni di NieR: Automata, dall’invasione demoniaca di DOOM o dal disastro nucleare di S.T.A.L.K.E.R., il cataclisma rappresenta – e rappresenterà – uno degli incipit più affascinanti utilizzati nei videogiochi. Perché in fin dei conti
l’uomo è sempre stato attratto dall’apocalisse sin dalla notte dei tempi, come una falena a una fiamma, ed è naturale che anche i videogiochi seguano questa strada.
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