Bungie spegne 30 candeline, con milioni di videogiocatori nel mondo che dedicano ancora oggi emozioni in eredità importanti (Halo) e conferme in via di evoluzione (Destiny), sempre travalicando il concetto di creazione di universo e immagini che ancora oggi scaldano il cuore e rendono ogni loro titolo una vera e propria seconda casa.
Come capita spesso, alcune storie cominciano tra i banchi di scuola, nelle proprie camere, tra chi passa interminabili giornate a programmare al PC, per poi passare a ritagliare e impacchettare le scatole che poi avrebbero contenuto il disco di gioco con la creazione finale. Alex Seropian e Jason Jones si conobbero all’università e da lì cominciarono subito a programmare videogiochi, partendo da Gnop!, un ping-pong a 8-bit, fino alle prime rudimentali esperienze in multiplayer con Minotaur, GDR creato appositamente per Macintosh.
DALLE UMILI ORIGINI AL LEGAME CON APPLE
Proprio il rapporto con Apple è fondamentale per creare le fondamenta di Bungie, che passerà da un piccolo studio di programmazione istituito nel garage del padre di Alex Seropian a ben più professionali uffici e, con il tempo, alla fama mondiale. Mentre lo studio comincia ad arruolare forze fresche, aumenta anche la sfida produttiva dei due che con caparbietà e anche un pizzico di sfrontatezza, sentono di avere le giuste carte per poter creare qualcosa di incredibilmente forte, sia strutturalmente che tecnicamente. Siamo a metà degli anni ’90 e l’obiettivo è quello di seguire le orme dei vari DOOM, Wolfenstein e Quake, dunque creare un FPS 3D, magari sfruttando un loro progetto preesistente. Vide luce Pathways into Darkness, FPS nato all’ombra di Minotaur, tanto che inizialmente doveva essere un progetto sequel, per poi divenire una storia a sé e, pur condividendo esteticamente qualche elemento, un titolo del tutto nuovo.
L’esperienza con Pathways into Darkness sarà fondamentale per dare alla luce uno dei titoli più importanti della giovanissima Bungie, Marathon, e la sua importanza è data dalla quantità di materiale che lo studio ha poi riutilizzato nella creazione di Halo prima e Destiny poi. Insomma, un primo passo che riempì di ossigeno e sangue i polmoni e il cervello degli sviluppatori, instillando in loro la reale consapevolezza di non essere più un gruppo di sviluppatori nerd sfigati, bensì ragazzi che riuscivano a creare mondi fantastici, di indubbia bellezza. Convinzione che non poteva che trovare la sua conferma negli applausi ricevuti anche al di fuori dei loro uffici.
MARATHON, MYTH, ONI, APPLE E STEVE JOBS
Fino all’acquisizione di Bungie da parte di Microsoft nel 2001, lo studio si era totalmente specializzato nella creazione e diretta vendita dei suoi prodotti su Macintosh. Questo li aveva sicuramente messi in luce in una stretta nicchia di pubblico e videogiocatori, prospettiva accettabile quando la loro realtà doveva ancora affermarsi, ma con la crescita esponenziale dello studio queste catene cominciavano a creare qualche malumore. Dunque se Marathon venne creato e venduto solo su Macintosh, Marathon 2 vide luce anche su Windows, aumentando ulteriormente le vendite e diventando uno dei giochi più venduti sulla piattaforma Microsoft nel 1996. Chiusa la trilogia con Marathon Infinity divenne ora di pensare davvero a Destiny, perché l’idea è pronta, l’infrastruttura online cresce sempre più e può sorreggere un progetto così ambizioso.
Sto correndo troppo? Mi sono perso qualche decennio? No, direi di no: in diverse interviste, Jason Jones ha dichiarato come dopo il successo di Marathon aveva in mente un FPS votato all’online, con aggiornamenti costanti del mondo di gioco, un luogo vivo dove diverse persone potevano connettersi all’unisono. Mi piace pensare che in un universo parallelo, nel 1997 sia uscito davvero Destiny, chiaramente in forma rudimentale e pieno di problemi di connettività; ma, come ben sappiamo, la storia è andata ben diversamente. Il sogno viene dunque momentaneamente messo nel congelatore e lo studio si concentra su Myth, un titolo totalmente diverso dalle opere precedenti e per molti versi inaspettato. Da modi fantastici e spaziali, si decide di creare un RTS freddo e cupo, con truppe da spostare nella mappa e addentrarsi negli scontri e la richiesta di elaborare una sana strategia di gioco. Nonostante il cambio drastico di genere e di ambientazione, Myth ricevette il giusto successo, sempre sorretto da una solida base multiplayer. Il titolo ebbe un seguito, Myth II, titolo che portò Bungie quasi alla bancarotta, ma di questo parleremo tra pochissimo.
Comunque, Bungie si espande e crea anche uno studio associato, Bungie West, che riuscì a creare solo un gioco, Oni. La storia ha raccolto e raccontato tante cose tristi attorno a questo particolarissimo action, che non nascondo di aver apprezzato tantissimo alla sua uscita. Ispirandosi alle migliori storie futuriste e distopiche nipponiche, Oni era un pregevolissimo action che amalgamava fasi di combattimento corpo a corpo – e progressione delle stesse tecniche – a sporadici momenti FPS, il tutto infarcito da una storia gustosa da seguire. Il problema reale del titolo furono i diversi bug, parti di gioco palesemente mancanti e l’assenza del comparto multiplayer, ormai vera e propria firma stilistica dello studio. Non nascondo però che nell’anticamera del cervello ogni tanto riecheggia un “calcio rotante diabolico” con tutti i synth sonori del caso.
Se il primo myh ricevette un buon successo di pubblico, il suo seguito portò bungie quasi sull’orlo della bancarotta
Poco male dunque, perché la casa madre era tornata su gloriosi passi da sparatutto fantascientifici, con un titolo già a fasi avanzate, il tutto già confezionato con un nome che avrebbe fatto letteralmente la storia dei videogiochi. Serviva però uno slancio, una pubblicità grossa, giacché Bungie in quel momento era ancora sotto i colpi nefasti dell’uscita di Myth II, dunque perché non guardare dietro, agli albori, infatti da qualche parte in un foglio nel vecchio garage del padre di Alex Seropian, i due giovani fondatori avevano scritto il numero di Steve Jobs.
LA LEGGENDA DI HALO
Il momento dell’uscita di Halo segna un cambio radicale nella storia di Bungie. Da una parte, presentarono il progetto a Steve Jobs che gli dedicò una porzione di palco del MacWorld Conference & Expo del 1999. Jason Jones si presenta sul palco e mostra le prime rudimentali immagini di Halo, ben diverso poi dal gioco finale. Va anche detto che in quello stesso periodo, Microsoft aveva cominciato ad annusare il possibile affare con Bungie che in quel momento, navigava in cattive acque dopo il lancio di Myth II. Microsoft dunque si propose per un’acquisizione e la necessità di risanare i conti era qualcosa che avrebbe portato tranquillità allo studio.
Insomma, da un titolo che forse avrebbe dovuto vedere luce esclusivamente su PC, alla fine quel Halo – Combat Evolved, vide luce anche su console, giacché Microsoft chiuse l’accordo con Bungie, acquisendola nel giugno del 2000. Halo vide luce nel 2001 e da lì è la storia a parlare. Non mi dilungherò ulteriormente su questo capitolo, dato che c’è un succosissimo e appassionato speciale del buon Daniele Dolce a riguardo e non avrei assolutamente nulla da aggiungere, se non che da quel primo Halo ne sono seguiti altri, fino all’ultimo firmato da Bungie, Halo: Reach (da molti considerato uno dei migliori titoli dedicati al franchise) uscito nel 2010, anno ulteriormente importante per lo studio dato che segna l’inizio di un’altra collaborazione: quella con Activision.
IL SOGNO DESTINY
Halo 3 uscì nel 2007 e subito dopo la pubblicazione Bungie annunciò la separazione da Microsoft. Già da un po’ di tempo cresceva il discontento dentro lo studio, e in molti puntarono il dito contro lo stress nello sviluppo di gioch. Uno dei mantra dello studio di sviluppo, inoltre, su sempre quello di credere nelle proprie idee, essere strafottenti fino al midollo e sfidare la sorte, tutte azioni che sotto lo stringente controllo della Casa di Redmond non potevano concretizzarsi.Con Alex Seropian che si defila da Bungie per dedicarsi ad altre imprese (e avere più tempo per la famiglia), Jason Jones dopo l’uscita di Halo: Reach decide di ripescare dal cassetto quella famosa idea per un FPS multiplayer, ma come fare? Servono soldi.
Dopo Halo, Jones riprese in mano un vecchio progetto di un FPS online
Lo studio tornando indipendente poteva sempre sviluppare in totale armonia, ma l’idea di Jones era al limite del rivoluzionario, dunque oltre a un supporto economico a cifre indefinite, serviva anche una forza non indifferente per quanto riguarda la pubblicazione. Dopo aver bussato a diverse porte (tentando anche di tornare nelle fila di Microsoft), Activision si rivelò la scelta adeguata per le esigenze produttive, con fondi consistenti per lo sviluppo e nessuna esclusività: tutti potevano usufruire del loro nuovo progetto che prese il nome di Destiny.
Con i lavori iniziati nel 2010, i primi vagiti il nuovissimo titolo Bungie li emise nel 2013, quando venne presentato all’E3 durante la conferenza Sony. L’interesse nel corso dei tre anni di intensi lavori era cresciuto a dismisura, accompagnato anche da una campagna marketing che metteva in risalto le ingenti somme che sborsarono sia Bungie che Activision per assicurarsi la concretizzazione di questo sogno, perché tale era la missione all’epoca, ovvero creare un mondo in mutevole movimento. Se Halo aveva dalla sua una storia appassionante su cui costruire le avventure di Master Chief, Destiny puntava tutto sull’aspetto multiplayer, con un mondo sempre online, in costante aggiornamento tanto nei contenuti quanto per i nodi narrativi. I giocatori si sarebbero incontrati online e avrebbero condiviso avventure, missioni e raid. La struttura alla fine era non diversa da un “classico” MMO, ma semplificato così da rendere meccaniche di gioco e contenuti accessibili a tutti. Ad oggi, nel recuperare Marathon, possiamo riscontrare tutte le dirette influenze che hanno contraddistinti i lavori di Bungie, Destiny compreso.
Dicevamo del marketing, perché oltre ad alimentare un’attesa spasmodica, la stessa Bungie cominciò a poco a poco a svelare artwork, filmati di gameplay oppure segnalando le dirette influenze: Sergio Leone con la Trilogia del Dollaro, la burocrazia tediosa e futuristica del Brazil di Terry Gilliam, la composizione delle immagini di Tarkowski, le architetture sinistre di Beksinski e chiaramente attingendo a tanta cultura pop.
Nella costruzione delle classi infatti l’ispirazione è varia: i Titani sono tanti piccoli eredi di Master Chief, i Cacciatori sono stati presentati alla stregua di pirati spaziali (e sì, il modello di riferimento primario è stato Han Solo) e gli Stregoni sono la parte razionale e saggia del corpo che costituirà la futura Avanguardia benedetta dal Viaggiatore, con riferimenti a Obi-Wan Kenobi o il Morpheus di Matrix. Insomma, nomi, riferimenti, cifre, ispirazioni, le aspettative per un lavoro monumentale c’erano tutte. I dati finali riportano di una spesa di produzione di circa 500 milioni di dollari, di cui più di 300 dedicati solo al marketing. Numeri assolutamente fuori scala almeno nel mondo della produzione videoludica. Adesso mancava solo la prova finale, quella dell’utenza.
BUNGIE DIVENTA UNA LEGGENDA
Il 9 settembre 2014 Destiny esce in tutto il globo e il successo è istantaneo, mondiale, etereo. Non mancano certo le critiche, dovute più ad un approccio totalmente inedito. La ripetizione delle attività, come degli assalti non piace, e i contenuti al lancio sembrano pochini,ma la struttura portante è solida come le fondamenta dell’idea di Jones: creare un mondo su cui passare delle ore, apparentemente vuoto e morto, ma pieno di oggetti, armi e pezzi di armatura da trovare. Il fattore looter shooter dunque gioca un ruolo fondamentale, mentre nascono le prime community, chi per disquisire del gioco, delle imprese, segreti, guide su come trovare gli oggetti più rari e – cosa che trovo tutt’ora affascinante – le community dedicate alla lore del gioco, giacché a conti fatti Destiny si pone narrativamente in media res, con centinaia di anni alle spalle del nostro personaggio di crisi, crolli, momenti d’oro ed estinzioni evitate. La diretta evoluzione della storia di Destiny si sarebbe basata proprio sulla scoperta del passato, del peccato e degli errori dei nostri antenati per poi costruire il nostro futuro.
Davanti un successo di tale portata, Bungie nel 2017 rilasciò un diretto sequel, Destiny 2. Piccolo aneddoto del tutto personale: sono uno di quei giocatori che non hanno mai abbandonato Destiny sin dal day one, amandolo alla follia, pur mantenendo le distanze per quanto riguarda quelli che sono, concretamente, dei passi falsi. Destiny 2 uscì il 6 settembre 2017. Era un mercoledì. Lo ricordo benissimo perché mi presi una settimana di ferie per giocare ininterrottamente a questo gioco. Ora non dico di dovermi giudicare per questa mia scelta, anzi ricevetti onesti insulti dalla mia compagna di allora, ma il fatto che oggi sia mia moglie, lascia un lieto fine a questa avventura, tuttavia la totale dedizione a Destiny 2 per ben sette giorni, per circa 12 ore al giorno nasceva da un dubbio: ma Destiny meritava un sequel nonostante la formula di gioco? Nì, o almeno, le uniche migliorie che avevano concretamente senso di esistere erano quelle tecniche assieme alla necessità di ripulire generalmente alcune formule. C’era attesa quanto scetticismo.
così come il suo predecessore, anche il lancio di Destiny 2 ebbe una cassa di risonanza mostruosa. Ma ben presto emerse anche qualche debolezza
Questa ultima mossa ha avuto degli effetti stranamente positivi su Bungie che in qualche modo dimostra ancora una volta di lavorare meglio quando è da sola, libera da ogni tipo di catena. A quello che sarebbe dovuto essere a conti fatti un Destiny 3, Bungie risponde con il DLC Oltre la Luce, resettando parzialmente il mondo di gioco e ufficializzare l’ultimo atto di questa storia che si concluderà nel 2024, esattamente al compimento dei dieci anni di vita di Destiny.
QUELLA DI BUNGIE è una storia non priva di alti e bassi, ma allo stesso tempo di innegabile successo