Quando si parla di “bilanciamento” nei videogiochi, il termine è solitamente associato all’ambiente multiplayer competitivo, o PvP. Ma a volte gli sviluppatori decidono che è giunto il momento di aggiustare il tiro anche nell’ambito del PvE, cioè quel contenuto e quelle sfide associate alla parte singleplayer di un gioco. Una scelta che spesso suscita reazioni contrapposte.
Manco a farlo apposta, a dare lo spunto per questo pezzo è stato il colosso che domina un po’ tutte le discussioni degli ultimi tempi, e cioè Elden Ring. A quasi un mese dall’uscita del gioco From Software ha infatti pubblicato la patch 1.03, che fra le altre cose – ha per esempio sistemato alcune quest prive di progressione – ha introdotto anche cambiamenti sostanziali ad alcune delle armi ed abilità più forti del gioco. Fra questi, i più significativi sono stati una netta riduzione del danno inflitto dall’abilità Pestone Brinoso (Hoarfrost Stomp per chi predilige la lingua d’Albione) e una diminuzione della durata e dell’efficacia dell’abilità Barricata, capace di ridurre sensibilmente e perfino azzerare il consumo di stamina solitamente associato al parare i colpi con uno scudo.
QUESTIONE DI PUNTI DI VISTA
Fra le reazioni suscitate da questo cambiamento, c’è stato chi non l’ha visto di buon occhio; un po’ perché andava a inficiare la build su cui presumibilmente avevano investito un po’ di ore e un po’ perché, insomma, queste abilità erano davvero forti solo contro i nemici gestiti dall’IA, quindi che bisogno c’era di andare a sabotare il divertimento dei giocatori? Dopotutto – questo è il ragionamento, in linea di massima – se qualcuno esplode un boss in tre secondi rimanendo fermo e sfondando il tasto L2 non significa che sia obbligato a farlo anche tu, specie se ciò che cerchi quando giochi a un soulslike è una sfida che ti metta alla prova.
Elden Ring non è nemmeno stata la prima volta in cui sono incappato in discussioni simili: al lancio di Borderlands 3, due anni e mezzo fa, un Fl4k armato di una Lyuda era in grado di far scomparire la barra della vita dei boss prima che riusciste a dire “ah, è iniziato lo scontro”. Con una delle prime patch, Gearbox nerfò (nota linguistica per i meno pratici del campo: l’anglicismo “nerfare” significa “rendere più debole”) sia il fucile da cecchino Lyuda che alcune abilità del sopranominato Cacciatore della Cripta, suscitando svariate proteste. Risentimenti che, a dire il vero, non erano del tutto ingiustificati: lo stato di Borderlands 3 al lancio era tragicamente comico, con interi rami di abilità che non funzionavano come avrebbero dovuto e altri problemi di stampo più tecnico, e il fatto che lo studio texano fosse prontissimo ad occuparsi di bilanciamento ma non altrettanto a ripulire il suo gioco ha fatto alzare più di qualche sopracciglio. Ma il punto della discussione non è quanto Gearbox faccia fatica a prestare attenzione al suo dipartimento QA, ma piuttosto se effettivamente la decisione degli sviluppatori di alterare il bilanciamento PvE ha un suo perché. Secondo me ci sono buoni argomenti in favore di una decisione simile. Il primo è che, se da un lato ovviamente nessuno è mai stato obbligato a fare una specifica build per divertirsi, dall’altro è anche pur vero che nessuno vive in una bolla a sé stante, sopratutto nell’era estremamente interconnessa in cui viviamo. E se nelle discussioni a cui prendiamo parte alcune armi, oggetti o rami di abilità tendono a diventare una presenza regolare per il fatto di essere decisamente più efficienti della concorrenza, inevitabilmente ciò che ne risulterà è una generale omogeneizzazione dell’ambiente di gioco, a scapito della diversità.
Si forma insomma quello che colloquialmente viene definito “meta”, pratica parola che serve per indicare gli stili di gioco che più sono riusciti a consolidarsi proprio grazie alla loro efficienza. Un termine che sarà ben noto a chi si dedica a giochi competitivi tipo, per fare un esempio, Magic the Gathering (non serve che vi ricordi Oko, Thief of Crowns, il Nexus of Fate o il Field of the Dead, vero?) ma che si può applicare anche all’ambito singleplayer, specialmente nel caso in cui sussista una componente “endgame” che promuova la ripetizione del contenuto. C’è poi un’altra questione, legata al supporto post lancio; questione importante sia per Borderlands 3, che dopo il lancio ha ricevuto 4 DLC a pagamento che includevano mini-campagne più due raid gratuiti, sia presumibilmente per Elden Ring, vista sia la ricca tradizione in questo senso di From Software che il successo di vendite del loro ultimo gioco. Naturalmente, quando gli sviluppatori creano nuovo contenuto vogliono che i giocatori siano in grado di goderselo, e che non finiscano per cancellare ogni cosa al suo interno nel giro di pochi secondi.
E se da un lato è naturale che in un gioco con centinaia, migliaia di possibili build qualcuna finisca per essere più forte delle altre, dall’altra è anche ragionevole che si voglia cercare di porre un argine agli “outlier”. Ciò che voglio dire è che un conto è avere una build forte che richiede vari pezzi di inventario da recuperare negli angoli più sperduti dell’Interregno; un altro è avere un’abilità come il Pestone Brinoso citato nelle prime fasi di questo articolo, tutto sommato semplice da reperire, applicabile a qualsiasi tipo di arma e incredibilmente più forte delle altre Ceneri di Guerra, come velocità, danno, portata e anche costo in PA.
ANCHE IN UN CONTESTO RISTRETTO COME QUELLO SINGLEPLAYER, LA PRESENZA DI ARMI O ABILITÀ ECCESSIVAMENTE FORTI PUÒ ESSERE UN FATTORE NEGATIVO
ASSENZA DI BILANCIAMENTO È ASSENZA DI DIVERTIMENTO?
A leggere i paragrafi qui sopra potrebbe sembrare che io sia una sorta di maniaco del bilanciamento. In realtà non è così. Credo che gli interventi degli sviluppatori siano importanti per evitare la presenza di armi o oggetti che siano eccessivamente forti o eccessivamente deboli (perché è bene intervenire anche in questi casi); ma, realisticamente, il bilanciamento perfetto non esiste, e non c’è nulla di male nell’avere qualcosa che è più forte di qualcos’altro, specialmente in giochi come quelli di cui stiamo parlando dove la sensazione di crescita del personaggio (sia interiore, salendo di livello, che esteriore, trovando oggetti fighi) recita un ruolo importante.
Credo che sia importante però portare anche un esempio di un gioco che fa l’esatto opposto, e cioè dire “ma sai cosa? A me di avere abilità e scenari di gioco bilanciati non me ne frega granché”. Sto parlando di Divinity: Original Sin 2, che giusto per dimostrare come dipende tutto dall’approccio che uno dà all’avventura e che il bilanciamento è ben lontano dall’essere l’unico fattore determinante, a livello di gameplay è uno dei miei giochi preferiti degli ultimi anni. Chi ci ha giocato lo sa bene, i campi di battaglia di Rivellon sono ricchi di ostacoli di tutti i tipi per gli aspiranti Godwoken, e ai nostri avversari giocare sporco piace tantissimo: attraverseranno tutto il campo di battaglia nel giro un turno arrivando a stretto contatto con l’anello debole della vostra catena, sfrutteranno l’ambiente in modi che voi non avreste mai pensato, faranno in modo di trovarsi sempre in posizione di vantaggio rispetto a voi (in uno degli scontri più avanzati, i vostri quattro personaggi inizieranno in una bella vasca di veleno senza uscite convenzionali, mentre i nemici vi bombardano di abilità dall’alto, e sì, è esattamente antipatico come sembra!), e concateneranno senza nessuna pietà i loro crowd control, rendendo anche il catechista più mite un degno rivale del nostro Dan Hero redazionale nella creazione di nuove, fantasiose blasfemie.
Il bello di Divinity: Original Sin 2, però, è che anche noi possiamo essere infami e sfruttare decine di trucchetti più o meno piccoli per capovolgere gli scontri a nostro favore. Forse qualcuno dei lettori avrà sentito parlare della “barrelmancy”, che consiste nel riempire un forziere o altro contenitore indistruttibile con decine di barili (uno degli oggetti più pesanti del gioco, nonché molto facili da reperire) così da portarlo a pesare qualche tonnellata; la seconda parte consiste nell’usare un personaggio dotato di telecinesi, abilità passiva accessibile a tutti i personaggi senza nessun prerequisito, per scaricare queste tonnellate sulla testa dell’ignaro bersaglio, uccidendolo all’istante.
divinity: original sin 2 premia molto chi riesce a pensare fuori dagli schemi, sfruttando i sistemi di gioco a proprio favore
È chiaro come in tutto ciò qualunque senso di bilanciamento vada a farsi benedire. Io stesso ho risolto scontri in maniere che probabilmente avrebbero fatto accapponare la pelle a qualunque appassionato di tattici a turni (una volta ho sfruttato il bonus alla gittata fornito dalla differenza di dislivello mandando il mio mago su una torre altissima nei pressi dello scontro, ma allo stesso tempo talmente distante che suddetto mago non era nemmeno considerato parte del combattimento, pur continuando a bombardare i nemici palle di fuoco assortite. Vergogna provata: zero), ma la cosa più bella è che al netto di tutte le scorrettezze che potessero venirmi in mente, giocando alla difficoltà più alta il gioco mi ha sempre, costantemente messo alla prova e le schermate di Game Over non sono mancate. Tra l’altro, tutto questo non è dovuto a una mancanza di cura da parte di Larian Studios: lo studio belga è ben consapevole delle assurdità che possono nascere giocando al loro RPG, e anzi ama vedere cosa sono in grado di inventarsi i giocatori.
Per chiudere questo lungo discorso sul bilanciamento del contenuto PvE, banalmente penso che non ci sia un approccio che va bene a prescindere: dipende tutto da quelle che sono le intenzioni degli sviluppatori e, sopratutto, l’ottica in cui guardano al loro gameplay. Un ambiente più regolato non è necessariamente migliore di uno che decide di premiare chi cerca soluzioni strampalate ma efficaci ai problemi che si trova davanti, e viceversa: ciò che conta davvero è quanto riesce a divertire.