L’importanza dei popoli nei videogiochi – Speciale

“La diversità fra culture è qualcosa da valorizzare, non da temere”.

A pronunciare queste parole è stato Kofi Annan, ex segretario delle Nazioni Unite, considerato uno degli uomini più influenti della prima decade del 2000 per aver rappresentato il Ghana e per essere stato insignito del Premio Nobel per la pace nel 2001.È una frase forte, una delle più rassicuranti e potenti, legata indissolubilmente a un rispetto per la vita umana in ogni sua sfaccettatura che si estende a qualunque branca della società moderna, a sua volta collegata alle tradizioni e all’umanismo. La maggior parte dei popoli del mondo si è ammodernata, seguendo regole precise e misurate, abbracciando una filosofia di vita mirata esclusivamente all’inclusività e all’ascolto fra i popoli.

POPOLI E VIDEOGIOCHI

C’è chi, tuttavia, ha preferito restare in disparte e mantenere quelle tradizioni anche se è stato invitato a fare parte di una società che non sempre è solidale nei confronti dei più deboli o degli emarginati. John Ronald Reuel Tolkien pensava che il linguaggio fosse la linfa vitale di un popolo tanto da inventare il Quenya e il Sindarin per dedicarlo esclusivamente agli elfi, spiegando le differenze all’interno del mondo di Arda. A sottolinearne l’importanza è stato il Cantico delle Creature di Francesco d’Assisi e, in seguito, l’approccio degli autori Stilnovisti come Dante Alighieri, Dino Frescobaldi e Guido Guinizelli, l’unico bolognese della corrente toscana, il precursore della corrente letteraria più affascinante della letteratura italiana.

J.R.R. Tolkien pensava che il linguaggio fosse la linfa vitale di un popolo, tanto da inventare il Quenya e il Sindarin per gli elfi

Qualche anno prima, però, La Chanson de Roland diveniva un testo simbolo della letteratura carolingia, e qualche tempo dopo della letteratura medievale francese. Ognuna di queste opere descriveva il mondo e i popoli delineando prima di tutto le differenze, parlando poi di cosa li legasse realmente e quali fossero soprattutto le similitudini. Con i videogiochi, pensate un po’, ciò avviene ormai in maniera spontanea, così come nei testi della letteratura moderna, o nella musica e nel cinema. Per costruire un mondo, a volte, si parte da un albero e poi dalle cose più piccole e ininfluenti. A conferire, però, un fascino maggiore agli universi che si esplorano o alle terre lontane che si visitano, sono i popoli, le loro differenze e le loro intenzioni a prendere il meglio da un altro e insegnarlo ai posteri. Mentre si tessevano i racconti a voce, la lingua prendeva forma, così come l’intera struttura della scrittura, che dava origine alle riflessioni. I greci non scrivevano, bensì narravano ai giovani le storie di Odisseo, Achille e di Zeus, mentre gli ateniesi combattevano a Maratona.

Tales of Arise sequelI mondi videoludici che ho esplorato in questi anni, forti di grandi racconti e storie intense e particolareggiate, non sarebbero nulla senza i popoli che ne fanno parte, reali protagonisti delle evoluzioni e degli approcci narrativi che non riempiono soltanto il lore di un qualunque universo virtuale, ma ne sono l’essenza come il game design e le tante sfumature che rendono un videogioco tale sotto qualsiasi chiave di lettura. La lingua, le tradizioni, i cambiamenti e le conoscenze, oltre a essere rilevanti, spingono i popoli dei mondi videoludici ad aprirsi e a chiudersi a seconda delle necessità. La loro linfa, tuttavia, può raccontare debolezze, paure e ipocrisie, nonché la bellezza, la gioia di vivere, la disciplina e persino l’amore. Cosa lega davvero un popolo al mondo videoludico? Cosa significa vivere all’interno di un contesto straordinario e inaspettato? L’uomo si è evoluto, o non ricorda chi è stato? A queste domande non può rispondere nessuno, ma se c’è una cosa che i videogiochi sanno fare ottimamente è mostrare le sfumature umane in maniera diretta, senza tanti fronzoli.

PERDERSI TRA GLI UTARU, I NORA E I TENAKTH NELL’EST E NELL’OVEST DEGLI STATI UNITI

Anche se non sono un grande amante della serie Horizon sviluppata da Guerrila Games, ammetto di essermi sentito a mio agio durante l’esplorazione di entrambe le iterazioni. Se con Horizon Zero Dawn viene mostrato il lato più oscuro e brutale dei Nora, che considerano Aloy un’emarginata nonché una minaccia per chiunque, Horizon Forbidden West cattura l’essenza dei popoli dell’Ovest Proibito andando ben oltre i Carja e gli Oseram, facendo conoscere gli Utaru e i Tenakth attraverso le loro credenze popolari.

È necessario sottolineare che i popoli di Horizon vivono in un mondo post apocalittico dominato da macchine, in cui la natura ha preso nuovamente il suo spazio nel mondo dopo alcuni avvenimenti di trama raccontati con dovizia di particolari in Horizon Zero Dawn. I Nora seguono le leggi di una società tribale e del culto della Madre, un’entità che protegge le foreste, il raccolto e consente loro di procacciarsi del cibo durante i periodi più complessi. È legata però a un sistema brutale che emargina chiunque venga allontanato dalla tribù, o decida di vivere ai margini della società Nora lontano dai loro principali villaggi. Aloy e Rost, infatti, hanno contatti superficiali e quasi inesistenti con loro, nonostante siano anch’essi dei Nora a tutti gli effetti: mantengono le distanze per costrizione, a causa delle credenze popolari delle Alte Matriarche.

Se Horizon Zero Dawn mostra il lato più oscuro e brutale dei Nora, Horizon Forbidden West cattura l’essenza dei popoli dell’Ovest Proibito andando ben oltre i Carja e gli Oseram

I Nora, a differenza di altri popoli del mondo di Horizon, non hanno in realtà capi, re o comandanti cui affidarsi, ma seguono la volontà della Madre e le Alte Matriarche. A differenza dei Nora, i Carja sono divisi in due schieramenti distinti, ma quello autorevole è dominato dal Re Sole, una figura che potrebbe ricordare a molti il perfido Luigi XIV. I Carja non basano la loro forza sulla natura, bensì sulla potenza militare, traendo forza dalle arti e da un lato intellettuale che definisce maggiormente le differenze dagli altri popoli e tribù sopravvissuti a Zero Dawn.

Quando ho viaggiato nell’Ovest Proibito, non sapevo esattamente cosa aspettarmi e neppure cosa avrei incontrato. Gli Oseram sono nomadi e non stanno mai a lungo in un singolo luogo. Su di loro c’è realmente poco da dire, se non che vivono alla giornata e si occupano di lavori manuali, soggiornando raramente negli avamposti e preferendo un accampamento preparato, seppure gestito alla bell’e meglio. Un popolo che mi ha colpito tanto, specie durante le prime ore di Horizon Forbidden West, è quello Utaru, molto più vicino ai Nora e legato totalmente alle Macchine, che non considerano minacce ma occasioni per esplorare le sfumature delle loro intimità.

Ognuna di queste tribù, diversa a modo suo, mantiene inalterati quei comportamenti umani che il mondo antecedente a Zero Dawn non ha mai cercato di frenare

Partecipano al Coro, una grande unione di voci e sinergie in cui si scoprono i sentimenti e le emozioni stesse che lega il loro popolo alla natura. Lo stesso non si può dire dei Tenakth, una casta guerriera che preferisce di gran lunga risolvere i problemi con le armi, invece che rendere omaggio a entità o divinità ultraterrene. Anche se è il popolo più violento e crudele all’interno di Horizon Forbidden West, è di certo quello che ha un maggiore contatto con la realtà. La scrittura riservata alla creazione di questi popoli è chiaramente tribale e tradizionale: nessuno di loro ha contatti con il mondo di prima e ne ignora l’esistenza. Ognuna di queste tribù, diversa a modo suo, mantiene tuttavia inalterati quei comportamenti umani che il mondo antecedente a Zero Dawn non ha mai cercato di frenare. C’è l’odio, che è smisurato. C’è la paura, che è inevitabile. E c’è la tradizione, che a volte è una cosa buona, ma in altrettante occasioni rappresenta più un male che un bene.

BEN OLTRE IL RESPIRO DELLA NATURA

The Legend Of Zelda, probabilmente una delle saghe più iconiche del mondo videogiochi, ha saputo creare una sinergia fra popoli invidiabile. Non è utile limitarsi ai Kokiri o agli Hylia, bensì è necessario citare razze diverse che fanno parte di un universo enorme, composto da opere memorabili e importanti. Prima ho parlato di differenze e inclusività: The Legend Of Zelda è una delle produzioni che segue questo approccio, proponendo ben tredici abitanti del mondo di Hyrule che Link, un Hylia, ha imparato a conoscere nel suo lungo viaggio. Il protagonista, inoltre, pensava di essere un Kokiri e di essere legato a quel magnifico popolo della foresta che lo ha allevato sin da bambino. I Kokiri vivono in pace e lontano dalle città degli Hylia, la razza dominante dell’immenso e affascinante reame di Hyrule, abituata al commercio e alla condivisione con gli altri popoli.

Link stringe una profonda amicizia con Saria, ammirata e rispettata molto dagli altri Kokiri. Abituandosi a vivere con la razza che lo ha allevato, comincia a vestirsi con abiti verdi e attillati, imparando a combattere con l’arco e le frecce, le armi predilette dai Kokiri. L’ispirazione che ha spinto alla creazione di questo popolo, però, è ben più interessante di quanto qualcuno potrebbe effettivamente aspettarsi. Nintendo, infatti, ha preso a piene mani dall’immaginario fiabesco europeo, direttamente dalla bibliografia di James Matthew Barrie e dal suo Peter Pan, un’opera ancora discussa e amata da tanti giovani lettori. Intanto che si stendeva la caratterizzazione del protagonista, la Grande N si occupava della creazione degli altri popoli. Quelli certamente iconici e fondamentali nell’architettura del mondo di gioco e non solo sono rappresentati dagli Zora e dai Gerudo.

The Legend Of Zelda, probabilmente una delle saghe più iconiche di sempre, ha saputo creare una sinergia fra popoli invidiabile

Gli Zora, abitanti antropomorfi simili a pesci, sono pacifici e gentili. Abitano i laghi e i fiumi del mondo di Hyrule isolati e in solitudine, preferendo la compagnia dell’acqua e della sua magia, tanto da lasciare raramente i luoghi in cui sono nati e cresciuti. Una delle tematiche più importanti di The Legend of Zelda, oltre al legame fra Link e Zelda stessa, è l’amicizia che il protagonista si ritrova a stringere nell’arco della sua avventura, imparando dagli Zora la pazienza e l’ascolto necessari per interfacciarsi con sfide di vario tipo. Anche grazie alla Principessa Ruto, Link apprende le tradizioni degli Zora e cosa li rende unici rispetto alle tante altre razze del mondo di Hyrule. L’aiuto di Ruto, oltre a essere gradito, è importante per la trama di Ocarina of Time e per Link stesso, che comprende finalmente di non essere solo.

breath of the wild seguito

Le Gerudo, invece, sono ben diverse dagli Zora e seguono un codice e uno stile di vita differenti. È un popolo composto da sole donne, in cui gli esseri di sesso maschile vengono disprezzati e temuti, anche se una volta ogni cento anni la nascita di un maschio porta quest’ultimo a diventare capo dell’intera tribù. Si tratta di una razza guerriera che combatte coraggiosamente e con decisione, ma ha evidenti limiti e una tradizione estrema e brutale, incompatibile con i valori degli Zora e degli Hylia. Insomma, per quanto affascinanti e interessanti, è meglio non averci troppo a che fare, anche se Link, volente o nolente, deve farlo per forza.

TUTTE LE FIAMME DI KIRKWALL

Dragon Age II, bistrattato ingiustamente da tutti, è uno dei miei videogiochi preferiti in assoluto, nonché il mio capitolo prediletto della storica saga di BioWare. Qui la lotta tra popoli, le differenze e le tradizioni, oltre a essere approfondite con cura, mostrano un mondo in costante sfacelo. Ci sono gli uomini, divisi tra maghi e templari, un popolo corrotto e profondamente razzista. Al contrario degli elfi, legati alla pace, alla natura e alla convivenza, l’odio è spesso insito nel cuore degli uomini soprattutto nelle vicende delicate e più complesse.

In Dragon Age II la lotta tra popoli, le differenze e le tradizioni, oltre a essere approfondite con cura, mostrano un mondo in costante sfacelo

Hawke, il protagonista del secondo capitolo del franchise, scopre quanto è divisiva la sua razza quando lo è con sé stessa. È una scoperta che gli apre il mondo, spingendolo ad accogliere sempre più personaggi come Varric, un nano abile e attento. A differenza degli elfi, i nani sono invece accolti positivamente e recepiti in maniera positiva dagli esseri umani, anche se vengono visti in modo diverso.

Tolkien fu il primo, infatti, a parlare di differenze e di similitudini fra i principali popoli di Arda, che per molto tempo, invece di collaborare tra loro, preferirono distaccarsi, dando a Sauron la possibilità di insidiarsi nelle loro corti dorate e argentate. Una mancanza di condivisione di questo tipo, rischiosa per chiunque, non porta mai a nulla di positivo. La guerra interna a Kirkwall, scoppiata per la disunità degli abitanti della cittadina dei Liberi Confini, porta gli uomini a un conflitto contro i Qunari, un popolo guerriero che fonda le sue regole sulla fedeltà a un unico capoguerra. Se c’è qualcosa che ho amato di Dragon Age II, è proprio la scrittura di questo avvenimento e l’approfondimento da parte di BioWare di questa razza intrigante, proposta anche in Dragon Age Inquisition.

SORGERE DALLA TEMPESTA

Tales of Arise, sviluppato da Bandai Namco, è certamente uno dei migliori capitoli della serie Tales of. Qui esistono due popoli in perenne conflitto fra loro, diversi in tutto ma simili nell’aspetto e nell’animo. Sto parlando del reame di Rena e del regno di Dahna, con entrambi gli schieramenti che si considerano nemici giurati. I renani, infatti, hanno invaso Dahna e preso il potere, costringendo gli autoctoni a diventare schiavi e a servire i nobili renani. Le differenze fra i due popoli non riguardano soltanto le tradizioni, ma anche l’approccio alla vita e alla sua imprevedibilità. Alphen, il protagonista delle vicende, incontra Shionne in un momento improvviso, comprendendo immediatamente di avere davanti una dahniana braccata da altri dahniani.

In Tales of Arise si capisce quanto la guerra e l’odio stiano dividendo due popoli in realtà fratelli che potrebbero creare una civiltà unita e compatta, nonché migliore per chiunque

L’intera storia, oltre a basarsi totalmente su un’architettura narrativa inedita, racconta del rapporto tra Alphen e Shionne, che si conoscono a tal punto da legarsi definitivamente e unirsi completamente, comprendendo le necessità di entrambi e mostrando che la pace è in realtà possibile fra i due schieramenti. Anche se Shionne è in fuga, non può nascondere la sua provenienza e neppure il suo potere. Quando scopre di essere legata sentimentalmente al ragazzo, comincia a capire quanto la guerra e l’odio stiano dividendo due popoli in realtà fratelli che potrebbero creare una civiltà unita e compatta, nonché migliore per chiunque. È la morale dell’intera produzione, potente e totale come poche altre, da conoscere per capire cosa si cela ben oltre un mondo confezionato e proposto con intensità.

OGNI MONDO HA I SUOI POPOLI, LE SUE SFUMATURE E LE SUE INTENSE CONSAPEVOLEZZE

Anche se ho fatto i nomi di grandi opere, è lecito menzionarne altre che fanno della costruzione del mondo e dei popoli ben più che la loro linfa vitale. The Elder Scrolls è l’esempio perfetto e più conosciuto, come anche Mass Effect, la trilogia di The Witcher e la magnificenza di Final Fantasy. Ogni popolo ha legami con la sua terra, le sue tradizioni e la sua lingua, con quest’ultima fondamentale per capire quanto le evoluzioni di una razza abbiano avuto un impatto sul mondo di gioco, a sua volta sorretto da una profondità che deriva unicamente dai sentimenti che quel popolo nutre nei confronti della vita.

L’umanismo consente di comprendere appieno le potenzialità che gli universi di questo genere, se applicati in maniera corretta, possono donare all’umanità intera in ogni sua particolareggiata meraviglia. La vera scoperta è la scrittura, fondamentale per comprendere fino in fondo un mondo, i suoi personaggi e i popoli che lo compongono, senza perdere di vista il game design, la reale ossatura di un videogioco. Penso che senza di esso, in realtà, mancherebbe tutto il resto. Ai contesti possiamo guardare affascinanti, pensando che i popoli nei videogiochi, oltre a essere rilevanti, conservano parte del patrimonio artistico mondiale e che, quando scriviamo di loro, ci sia tanto da scoprire e da apprendere. Ed è proprio questa la magia.

“Se più persone considerassero la casa prima dell’oro, il mondo sarebbe un posto più felice” – Thorin Scudodiquercia, Lo Hobbit, J. R. R. Tolkien.

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