La sublime decadenza – Editoriale

Un paio di giorni fa ho finalmente visto Castello nel Cielo, uno dei film di Hayao Miyazaki che ancora mi mancavano. Mi è piaciuto particolarmente: oltre a essere un ottimo film anime di per sé, con un’animazione a tratti sbalorditiva e svariate chiavi di lettura, quasi subito ha risuonato misteriosamente con le mie reminiscenze videoludiche.

Castello nel Cielo

Se tematicamente spicca la contrapposizione tra tecnologia che distrugge e natura che si riappropria e riappacifica – tema guarda caso ricorrente nei media di un popolo che ha subito un paio di bombe atomiche – c’è anche una serie di rimandi che hanno fatto accendere diverse lampadine nella mia testa da videogiocatore. Ho pensato alle terre leggendarie e incontaminate di Uncharted, la meraviglia della prima apparizione di Anor Londo, la tecnologia dei sacrari di Breath of the Wild, perfino la Torre Quantica di Outer Wilds nascosta dentro la bufera: tutta una sfilza di videogiochi con debiti più o meno diretti ed evidenti.

Nel Castello nel Cielo di Miyazaki spicca la contrapposizione tra tecnologia che distrugge e natura che si riappropria e riappacifica, ma non solo

A un certo punto mi sono ricordato di un’altra cosa che avevo visto tempo fa, un video saggio in cui il content creator Jacob Geller parla dell’architettura nei mondi di Fumito Ueda, in cui cita anche Laputa, il castello nel cielo. E del resto l’accostamento è inevitabile: grandi e maestose opere umane in decadenza dove l’abbandono ha ceduto il passo alla rinascita della natura, panorami mozzafiato su luoghi talmente credibili da far fatica a negarne l’esistenza e al tempo stesso così vasti da inquietare, mettere a disagio. Di fatto Geller parla del sublime romantico, più o meno consciamente, anche se non lo cita mai direttamente.

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La decadenza e l’abbandono dei luoghi artificiali è un tema – narrativo, estetico e ludico – ricorrente all’interno dei giochi diretti da Ueda, e stando alle stesse parole dell’autore non c’è in questo fatto una volontà prestabilita, quanto piuttosto un istinto verso situazioni che si prestano naturalmente a una giocosità esplorativa. Quasi come se l’architettura pesasse più del level design. O meglio: quasi come se questo tipo di architettura realizzata con questa cura rendesse semplice e automatico il level design. E in effetti la percezione, giocando tanto a Ico quanto a The Last Guardian, è di muoversi all’interno di uno spazio reale, di un luogo ancestrale realizzato da popolazioni antiche e per qualche motivo abbandonato, di venire ostacolati non dalla mano di un level designer che ha distrutto un ponte per costringerci a un lungo e pericoloso aggiramento tra salti e arrampicate, ma che sia stata la mano divina dell’usura e delle intemperie del tempo a rendere quel posto impraticabile per un essere umano.

MONDI DA VIVERE O DA GUARDARE?

E in questo senso siamo grati – tanto io quanto Jacob Geller – a Ueda di averci donato la possibilità di esplorare (quasi) in prima persona dei luoghi immaginari e incredibili, ma al tempo stesso verosimili, sublimi al punto da provocare una sensazione angosciante, tanto quanto Laputa, appunto, o quanto potrebbero esserlo il Colosso di Rodi o il Faro di Alessandria, costruzioni ormai più dalle parti del mito che da quelle del reale.

C’è di che essere grati a Ueda per averci permesso di esplorare luoghi sublimi al punto da provocare una sensazione angosciante

Grati soprattutto per la possibilità di esplorare stanza per stanza e ponte per ponte, laddove né il Castello nel Cielo né le grandi costruzioni perdute del passato sono o saranno mai più esplorabili. Laddove, per contrasto, nemmeno i mondi immaginati in Bioshock o Dark Souls sono così verosimilmente esplorabili, e ci mostrano tanto Rapture quanto la Ringed City lasciandole sullo sfondo, dandone solo un piccolo assaggio, senza che siano mai percepibili come dei mondi reali all’interno di cui muoversi.

Prey è disponibile da oggi in tutto il mondo per PC, PS4 e Xbox One

In effetti è difficile trovare videogiochi che offrano mondi strutturati così verosimilmente, e anche pensandoci un po’ mi verrebbe da citare giusto il Prey di Arkane Studios. Eppure il Miyazaki director videoludico, che così tanto ha assorbito per sua stessa ammissione da Ueda, col tempo è riuscito a fare sua anche questa lezione. Dopotutto vi viene in mente un gioco più romantico (nel senso artistico e letterario) di Elden Ring?

ELDEN RING E IL ROMANTICISCMO VIDEOLUDICO

Come direbbe il mio amico Alfredo: Burke avrebbe giocato a Elden Ring e probabilmente gli sarebbe anche piaciuto. Elden Ring – di cui vi abbiamo narrato le meraviglie nella nostra recensione – non è Dark Souls 4 e non è nemmeno Dark Souls open world. È un’altra cosa [cit.] dove sì, è vero, si combatte in quel modo, ma non si esplora allo stesso modo, non si progredisce allo stesso modo, non ci si sente allo stesso modo. È come se Elden Ring prendesse tutto ciò che From Software ha fatto in precedenza e gli aggiungesse una dimensione ulteriore che lo espande, lo completa, lo sublima.

L’ultimo gioco di Miyazaki non ha solo preso la svolta open world, ma nel farlo ha preso la lezione di Ueda prima e di Breath of the Wild poi e l’ha fatta sua

L’ultimo gioco di Miyazaki non ha solo preso la svolta open world, ma nel farlo ha preso la lezione di Ueda prima e di Breath of the Wild poi e l’ha fatta sua, rendendo esplorabile (quasi) ogni luogo visibile e non. E questa consapevolezza, unita a una serie di assonanze estetiche tra la sua direzione artistica e l’arte romantica, regala un’inconscia sensazione di sublime. Quel sublime che affascina e inquieta il giocatore sul mare di nebbia.

Elden Ring

La sovrapposizione tra il castello di Ico e quello Grantempesta è quasi istintiva. Le torri gotiche e la verticalità esplorativa dell’Accademia di Raya Lucaria non sono poi parenti non lontani delle strutture torreggianti di The Last Guardian? La maestosità della Capitale Reale Leyndell che improvvisamente si spalanca davanti agli occhi del giocatore non è in qualche modo vicina a quella delle Terre Proibite quando appaiono sconfinate per la prima volta sullo schermo? E poi in quella Farum Azula sospesa nel cielo, decadente e circondata dalla tempesta, non ci vedete un po’ di Laputa?

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