Che strano, immenso e particolare l’Universo, specie quello di Starfield. Quante storie, miti e leggende sono state realizzate nel corso degli ultimi cinquant’anni. Cinema, letteratura e videogiochi, tre media che hanno raccontato questa cornice, sanno bene quanto sia stato potente il Cosmo e lo sia ancora. Ha spinto SpaceX a tentare l’ignoto, ha portato Chris Roberts a immaginare Star Citizen e ha condotto Hello Games a immaginare mondi e galassie sconosciute all’interno di No Man’s Sky, un videogioco che ora è andato ben oltre le aspettative che tutti, me compreso, avevano al tempo della sua pubblicazione. Equiparare Starfield con quest’ultima produzione, però, è un grande errore. E farlo con Star Citizen, invece, è ingeneroso, poiché uno dei due almeno è stato pubblicato. Provate a indovinare quale.
Da sempre l’uomo, nella sua insicurezza, osserva gli astri cercando le risposte necessarie per andare avanti, sognando di fare parte di quelle stelle che tanto brama e non vede l’ora di raggiungere. Da bambini, immaginavamo di essere dei piccoli Buzz Lightyear che speravano di poterle strappare dal cielo e regalarle a un amico, ma da grandi ora vorremmo conoscere più da vicino Marte, magari accarezzare gli anelli di Saturno come facciamo con qualunque specchio d’acqua sulla Terra, e sperando di poter andare ben oltre il firmamento, distaccandoci definitivamente dall’oceano di fango. Immaginare dei mondi diversi, lontani e remoti, spinge chiunque a sperare che là fuori esista realmente un’unione di galassie e mondi che sono collegati gli uni agli altri dalla velocità luce, anche chiamata salto nell’iperspazio. Ma per arrivare a quel punto, purtroppo, serve ancora del tempo: bisogna capire la gravità, giocare con essa e applicare la teoria della relatività di Einstein.
Non basterebbe neanche saltare da un ponte di Einstein-Rosen per accorgersene, perché d’altronde quel genere di viaggio si è visto soltanto nei film e nei videogiochi, e si è letto nei libri – specie in quelli di Isaac Asimov, come spiego poco più in basso rispetto a questo preludio. L’uomo è curioso, vuole scoprire, conoscere e approfondire le sue origini, ma se c’è una cosa che lo attira più di qualunque altro, è capire dov’è. Ma per capirlo deve domandarsi com’è nato tutto, qual è stata la scintilla, la fissione, il momento e la causa scatenante di ogni cosa. Per Stephen Hawking, infatti, l’Universo nascerebbe dal nulla, come una qualunque fluttuazione quantistica di particelle elementari, con forme ben divergente rispetto a quelle cui tutti sono stati abituati a leggere nei libri di scienze. Cristoforo Colombo scoprì l’America pensando fosse l’India, navigando per mesi e senza voltarsi indietro, con la speranza di trovare una rotta più agevole con l’Estremo e il Medio Oriente.
Se penso a come l’umanità potrebbe un giorno scoprire un esopianeta, è proprio così: in una formula romantica che ben poco c’entra con la scienza e la sua disciplina
L’OBIETTIVO DI BETHESDA
Starfield è un progetto che è nato nelle fucine di Bethesda Softworks venticinque anni fa, in un momento storico complesso e pieno zeppo di nuove produzioni. Lo stesso Todd Howard, per scherzare, lo ha definito una sorta di Skyrim nello Spazio, ma Starfield è in realtà qualcosa di più, già solo se si pensa al suo sottogenere di appartenenza, fino a delinearsi come una vera e propria space opera, di quelle che tanto piacciono a BioWare – che è sparita, purtroppo, dai radar e dal panorama dei videogiochi, e chissà quando tornerà, a questo punto – con il suo Mass Effect. Tralasciando questo discorso un po’ triste (specie per me), Starfield fu annunciato come il videogioco che avrebbe cambiato la percezione dei videogiochi fantascientifici. Ma forse, e bisogna ammetterlo, si è sovrastimato questo messaggio, dimenticandosi quanto disse Todd Howard ai tempi scherzosamente, ma che non è andato poi effettivamente lontano dal seminato.
Non è mai stato nelle intenzioni di Bethesda Softwork proporre qualcosa di diverso
Eredita i problemi della quinta epopea di The Elder Scrolls, però, ben visibili dopo poche ore di gioco, e le incoerenze del quarto episodio della serie post-apocalittica più famosa al mondo. Eppure, Bethesda segue il suo percorso, sa cosa vuole, e non ha bisogno di proporre opere differenti: continua imperterrita a proseguire nel suo scopo, pur ripetendo gli stessi errori. Ma se è tanto facile parlare di demeriti, perché è tanto complesso raccontare i meriti, o quanto meno mettere sul piatto che le intenzioni di Bethesda con Starfield non fossero che queste? Con Outer Wilds, le sue stesse produzioni, No Man’s Sky e Star Citizen non c’entra nulla. Per la precisione, mi riferisco alla sua struttura ludica, oltre che al suo obiettivo, e al fatto che si sta parlando di un gioco di ruolo spaziale in cui l’esplorazione non può essere come quella di un comunissimo Skyrim.
Con Outer Wilds,, No Man’s Sky e Star Citizen non c’entra nulla
STARFIELD: UN UNIVERSO FATTO DAGLI ESSERI UMANI
Se con Mass Effect si segue un approccio più sci-fi (non che Starfield non lo faccia, sia chiaro), l’opera di Bethesda parla della fine del pianeta Terra e di un’umanità allo sbando per tanto, troppo tempo mentre è alla costante e impegnativa ricerca di una casa. Non è come la Piaga all’interno di Interstellar, con il cibo che marcisce ed esaurisce, portando gli esploratori interstellari della missione Endurance a entrare in un ponte di Einstein-Rosen – comunemente chiamato Wormhole – per cercare una nuova casa per l’intera umanità, destinata all’estinzione, bensì come una vera e propria fuga di massa verso le stelle.
In Starfield, inoltre, è possibile esplorare la Terra per vedere più da vicino gli effetti del surriscaldamento globale, con il geoide che è divenuto desolato e simile a Marte
Se qualcuno se lo chiedesse, quindi, la Terra non è piatta, ma ha un suo ciclo vitale: ecco l’amara scoperta. A meno che non arrivi dalla nube di Oort una cometa, risparmiando tempo e fatica al Sole, abbattendosi a sud della costa del Cile – ogni riferimento a Don’t Look Up è puramente casuale. L’umanità all’interno di Starfield è divisa, in costante dubbio e disprezzo, suddivisa per fazioni. L’unità è fantoccia, di convenienza e momentanea. È di passaggio proprio come il tempo. E dopo quasi aver evitato un’estinzione di massa, si pensava che gli uomini si fossero lasciati alle spalle le vecchie abitudini. Così non è stato, come ho avuto modo di appurare nel videogioco di Bethesda; purtroppo, è sempre la solita storia: dove la ragione, il sentimento e la bontà non arrivano, ci pensa una pistola.
E SE NON CI ARRIVA UNA PISTOLA, ALLORA CI PENSA ISAAC ASIMOV
Come accennavo prima, la letteratura è potente all’interno di Starfield. E diventa inevitabile collegare l’opera allo scrittore statunitense alla produzione di Bethesda Softworks, se si pensa soprattutto alla robotica e alla sua evoluzione all’interno del mondo di Starfield. Negli anni Quaranta, infatti, Isaac Asimov elaborò tre leggi per erigere le fondamenta fra il rapporto tra gli uomini e le macchine. Tali regole, pensate per preservare l’umanità, elevavano l’essere umano a creatore di altre creature a loro immagine e somiglianza, ma che non rispecchiavano affatto i valori empirici ed empatici di un uomo, una donna o un bambino. In Starfield, molto più di quanto qualcuno potrebbe notare, queste regole vengono applicate con brutalità. In tal senso, è l’uomo a essere lo scopo, l’obiettivo finale e l’impalcatura stessa su cui si sorregge la narrazione e, soprattutto, l’intero immenso universo di Starfield che, a differenza di altre opere analoghe, è completamente antropocentrico. Niente alieni, se non animali e creature che fanno parte di ciò che sembra, in realtà, un piccolo spazio in un Universo in costante espansione ancora del tutto impalpabile e sconosciuto. Come dicevo prima, l’Universo si sta espandendo e non si sa né in che misura, ma soprattutto quanto.
È uno spazio realisticamente indefinito, impossibile da contemplare. Anche io, mentre scrivo questo pezzo, sono consapevole di essere in costante movimento, come in fluttuazione sospinta dalla materia oscura, che anima il desiderio di scoperta. La conoscenza, in tal senso, è il fulcro stesso dell’opera quanto lo è un classico libro di Philip K. Dick e il racconto di Stephen Hawking intitolato “La grande storia del tempo”, in collaborazione con Leonard Mlodinow. Da una parte c’è la narrazione e il romanticizzare il cosmo, dall’altra invece comprenderlo. Con Starfield, Bethesda Softwork ha cercato di mantenersi sospeso fra queste due energie che mutano e si rafforzano, espandendosi e andando veloce, più veloce della luce stessa. In “Redenzione immorale”, pubblicato nel 1956, si vive l’immensità dell’Universo sotto una nuova chiave di lettura, con l’uomo che si è evoluto ben oltre le dimensioni, comprendendo la natura del tempo, dello Spazio e delle novità, ma non capendo che resta sempre incoerente con sé stesso e le creature che considera inferiori.
Al riguardo, all’interno di Starfield sono presenti delle fazioni che collaborano a fatica e non hanno rispetto l’uno dell’altra. L’Universo è disunito, incapace di riuscire a solidificarsi realmente contro ciò che deve affrontare e cosa è costretto a vedere, a sopportare e a vivere. Come molte opere classiche del genere sci-fi, e in generale della fantascienza, Starfield segue esattamente questo filone narrativo, proponendo una struttura ludica non certamente inedita, ma comunque ben integrata al suo interno, la stessa che ha fatto appassionare un numero incalcolabile di giocatori con le sue passate pubblicazioni. In un numero di eventi, situazioni e momenti complessi e intricati, Starfield di Bethesda Softworks si eleva completamente nel suo messaggio e nel suo modo di raccontare la fantascienza, seguendo il suo percorso, specie sotto l’aspetto della struttura di gioco, pur presentando dei momenti in cui è presente una dissonanza ludonarrativa tipica dei videogiochi dello studio statunitense, meno atipici di quanto qualcuno potrebbe regolarmente immaginare.
STARFIELD: L’EVOLUZIONE DEI VIDEOGIOCHI DI BETHESDA?
No, non è un’evoluzione. Starfield non sarà mai definito tale ma avrà comunque un impatto sul panorama dei videogiochi poiché verrà inteso come un gioco capace di raccontare un altro tipo di filone da parte di Bethesda, dopo il fantasy e il post-apocalittico. Si collocherà, invece, in un posto alquanto noto agli appassionati del genere, proprio vicino a Oblivion, e nello storico dello studio americano ben più in alto delle stelle. È utile capirci: Starfield non è un capolavoro del suo genere, non è la risposta a Mass Effect e non è neppure un’opera mai vista prima. In realtà, è una produzione che sta nel grigio, è un’opera con delle sfumature, con della personalità e con dei valori qualitativi e quantitativi altissimi.
Lo scheletro della sua struttura ludica è migliorato, è più definito, chiaro e proposto con maggiore fluidità. Si avverte sin dal primo avvio, dalla prima missione e si scopre man mano, specie durante la lotta fra fazioni e negli obiettivi secondari. Com’è stato esattamente per Skyrim, infatti, su PC qualcuno sta già migliorando la grafica attraverso delle mod. Immagino che nei prossimi mesi ne arriveranno parecchi, considerando che molte di esse donano una seconda e terza vita alla produzione. In parole povere, Starfield potrebbe durare per altri dieci anni, se il supporto di Bethesda e le mod arriveranno puntuali com’è stato per Skyrim.
Più che un’evoluzione, quindi, l’opera di Bethesda è un continuo di un viaggio iniziato venticinque anni fa negli astri e che adesso si è concretizzato