Dragon’s Dogma 2, stando alle ultime notizie di Capcom, è arrivato a 2.5 milioni di unità vendute su tutte le piattaforme in cui è uscito nei primi dieci giorni. Questa è una notizia strabiliante, specie se si riflette com’è stato il processo creativo del primo capitolo del franchise, di come arrivò ai giocatori e come esso, al contempo, conquistò la platea. Hideaki Itsuno è un genio, una colonna di Capcom da tempo immemore, ma è soprattutto un sognatore, e la seconda produzione di questo magnetico franchise è la dimostrazione di cosa avrebbe realmente sviluppare con il primo capitolo.
Non serve ribadirlo oltre, perché tanto lo ha già fatto Dan Hero con la sua recensione qualche settimana fa: Dragon’s Dogma 2 è un’evoluzione completa del concetto espresso in passato con il primo capitolo. Qui si entra nel campo minato del game design e si approfondisce, inoltre, i reali punti forti di uno sviluppatore che del fantastico è un grande appassionato. Esiste una storia, in Dragon’s Dogma 2, ma ammetto che, di fronte a molto altro, soprattutto a cosa effettivamente il mondo di gioco offre, diventa complesso riuscire a seguirla. Anche perché, ammettiamolo, chi ha davvero intenzione salvare il mondo quando c’è un mondo da esplorare con stilemi e approcci diversi ai restanti open world asfissianti che, lo ammetto, sto iniziando a non sopportare più?
È fondamentale ribadirlo, per essere chiaro: l’esplorazione, all’interno di Dragon’s Dogma 2, è un perno del suo game design. Recentemente, si è discusso molto sulle microtransazioni e, in passato, si è dettagliato a sufficienza sui mondi aperti e come essi debbano coinvolgere e andare incontro al giocatore, invece di vedere quest’ultimo inseguire missioni secondarie talvolta fini a loro stesse e con pochissimi reali spunti di curiosità. In un discorso del genere, le microtransazioni di Dragon’s Dogma 2 sono inutili, ed è giusto anche ripeterlo: la loro presenza è opzionale, ma è presente; è vero quando si dice che qualcuno, magari, non ha il tempo materiale di giocare e vorrebbe semplicemente passare un’ora a uccidere un drago senza stare a pensarci troppo.
Originale e ricco, Dragon’s Dogma 2 va oltre la comfort zone del giocatore
Ma no, Dragon’s Dogma 2 – come la precedente iterazione – non segue questo genere di approccio: preferisce seguire un’immediatezza che, ora come ora, manca a molti esponenti del genere. Oltre a essere assente in molteplici opere, ora sembra qualcosa di mai visto prima. Itsuno, però, quell’assaggio ce lo aveva delicatamente posato sulle labbra con la prima iterazione:
all’epoca non si è addentato il morso,
ma ora qualcuno lo ha fatto,
specie chi si avvicina alla filosofia portata avanti dallo studio nipponico.
In un mondo spesso stravolto da costanti polemiche, alcune di esse utili e altre, invece, del tutto accessorie, la presenza di microtransazioni che facilitino il viaggio rapido diventa di troppo, poiché va a danneggiare il senso stesso del game design di un’opera come Dragon’s Dogma.
Non sono nessuno a dire come si dovrebbe giocare,
ma di certo l’approccio migliore, soprattutto di fronte alla magistrale gestione del ritmo nel corso dell’esplorazione,
è quello di partire per l’ignoto, con l’arco in spalla e senza stare a pensare. Niente microtransazioni, che peraltro sono presenti in tanti videogiochi di Capcom, e non sono, dunque, delle novità. Aggiungo “Purtroppo” perché la vera scoperta della produzione di Itsuno è nel viaggio. Nel viaggio reale, nel viaggio che sorprende e spaventa, in quello al buio, dove si nascono perigli di ogni genere.
DRAGON’S DOGMA 2: COSA NASCONDE QUELLA GROTTA?
Niente è peggio di muoversi nell’oscurità. Ora, proprio come il primo capitolo, è possibile esplorare le grotte e cosa vi è al loro interno semplicemente accendendo la lanterna. E fidatevi, è molto più utile di quanto possiate immaginare. Subito dopo superato il tutorial, ammetto di non aver seguito immediatamente la campagna principale, ma di essere completamente perso per il mondo. Accadde al tempo anche con il primo capitolo del franchise, ma stavolta, complice l’evoluzione dell’opera e un lavoro di Itsuno di assoluta passione, ho provato con mano cosa significhi viaggiare davvero.
Passato o presente, Itsuno ha creato qualcosa di veramente irreplicabile allo stesso modo di Hideo Kojima
Non è analogo, non è simile e non è vicino al metodo adoperato da Hideo Kojima con Death Stranding, ma è un caso – probabilmente l’ennesimo – di un videogioco che focalizza il suo obiettivo attraverso il mondo proposto dagli sviluppatori. Per molto tempo, in realtà, si pensava che Elden Ring avesse colmato quel genere di vuoto, ma no, non credo lo abbia fatto: ha semplicemente adoperato un approccio classico per poi tessere il suo stile, creando un grande action RPG tematicamente vicino a Dark Souls.
Evolvere una propria visione, però,
non è semplice: Itsuno, basandosi sul passato e su cosa ha creato con il primo capitolo del franchise, ha avuto la capacità per rendere ancora più fluido tutto il resto.
Il mondo di gioco, non così grande come qualcuno racconta,
è colmo di pericoli di ogni genere. La paura di andare avanti in una zona mai visitata, specie dopo aver dormito a un accampamento, riassestandosi e preparandosi al meglio pensando erroneamente non possa accadere alcunché,
è il peggior errore che si potrebbe commettere. E di madornali sbagli ne ho commessi parecchi, durante l’esplorazione di Batthal, pensando di non incontrare un’orda di goblin pronta a impedirmi di completare una missione principale. In Dragon’s Dogma – dico il primo, sia chiaro – ciò che accadeva aveva degli effetti ancora più gravosi e, in sostanza, era ancora più devastante perché la difficoltà del mondo era particolarmente più ostica.
In Dragon’s Dogma – dico il primo, sia chiaro – ciò che accadeva aveva degli effetti ancora più gravosi e, in sostanza, era ancora più devastante perché la difficoltà del mondo era particolarmente più ostica
Dragon’s Dogma 2, più che proporre una complessità, gioca l’effetto del suo game design essenzialmente sull’imprevedibilità. L’incertezza, una volta fuori da un villaggio, è la peggiore nemica.
Per la prima volta da quando m’interfaccio con opere di questo calibro,
ho scelto una classe che avevo sottovalutato molto, ma che ora mi sta dando soddisfazioni:
l’arciere. Non è semplice sviluppare un personaggio del genere, soprattutto per i nemici che sbucano fuori dal nulla, ma poter uccidere a distanza di sicurezza è la migliore scelta che potessi fare per differenziare il mio modo di giocare a un’opera di questo calibro.In termini ludici, ma soprattutto di approccio al mondo aperto, non cambia assolutamente alcunché con le altre classi: ciò che muta davvero, in realtà, è come questo mondo, in maniera spietata, venga incontro. Non è tuttavia un rapporto che vede quest’ultimo ad accompagnare il giocatore, ma è proprio chi ha il pad tra le mani a poter vedere con i suoi occhi e toccare con mano questa visione riuscitissima. In termini di scrittura, specie per quanto riguarda la trama e alcune missioni secondarie, Dragon’s Dogma 2 non racconta nulla di nuovo, fossilizzandosi sugli stilemi classici del genere fantastico. Ma il game design è appassionante, forte di un sistema di combattimento ora maggiormente definito e con un numero di classi che si possono sbloccare da far impallidire i più appassionati.
Tornando alla grotta, scoperta per caso nel lungo peregrinare tra una tappa e l’altra, mi sono reso conto della reale potenza dell’esplorazione del mondo aperto di Dragon’s Dogma 2, che si collega, peraltro, al medesimo approccio usato da Kojima: qualunque cosa vi sia attorno, dalla più minuscola a quella più grande e sfaccettata, è celato qualcosa. Qualcosa che attende di essere scoperto per essere portato alla luce, o qualcosa che, forse, era meglio lasciare dove stava. E che, accidenti, ora si è costretti ad affrontare.
LA SCOPERTA TRA SORPRESA, INCUBO E IMPREVISTI
Appurato che il mondo aperto di Dragon’s Dogma 2 non è il classico approccio à la Ubisoft – senza nulla togliere alle pubblicazioni dello studio francese – è fondamentale ribadire che la linea che divide la sorpresa dall’incubo è letteralmente sottilissima. Se da una parte la sorpresa di trovare un’arma fortissima appaga, dall’altra l’incubo di subire una cocente sconfitta è reale e direi anche tangibile. Così tanto tangibile da essere, a mio modo di vedere, estremamente crudele: ma è il messaggio finale dell’opera, d’altronde, non offrire garanzie di sopravvivenza o situazioni comode e immediate.
Sarà bene fare attenzione, in questo mondo: morire è facilissimo
Così entrano in gioco gli imprevisti, che vengono proposti da Capcom con una freddezza tale da essere terribilmente e inaspettatamente reali. Durante l’esperienza, come penso qualcuno abbia già provato a fare, è possibile usare dei mezzi di trasporti come conducono da una città all’altra.
Un tragitto è, d’altronde,
sempre ricco di situazioni difficili: niente è peggio di un attacco nemico, come un ciclope incuriosito dal carretto che sta conducendo gli eroi da una parte all’altra del mondo di gioco.
Il rischio di beccarsi un nemico potente,
ma davvero potente è dietro l’angolo,
così come la possibilità concreta di trovare davanti un nemico così letale da preparare ogni azione in maniera coscienziosa, soprattutto quando il rischio di gettarsi a capofitto contro qualcuno diventa una delizia assoluta. Com’è accaduto a me sovente, gli attacchi che accadono li ricollego un po’ a quando ero costretto a fuggire dalle Creature Arenate in Death Stranding. In quel caso, potevo solo fuggire e sperare che non accadesse alcunché, ma in Dragon’s Dogma avvengono dei combattimenti casuali, battaglie che costringono a essere sempre, SEMPRE sul pezzo.
Il primo era molto più punitivo, ma il secondo capitolo ora è di molto più fluido
Ciò si ricollega anche al discorso dell’esplorazione, a come essa debba essere approcciata nel corso dell’avventura e come questa non sia da sottovalutare affatto, mentre si avanza all’interno dell’opera: ogni luogo merita una visita per ovviare a situazioni critiche. Se in passato ero spesso abituato a usare l’erba di campo, ora, anche grazie alle capacità delle Pedine e a un numero di servitori dell’Arisen pronti a fare di tutto per accontentarlo, questo pericolo non c’è più e c’è un lavoro maggiore di equilibro, tra una battaglia e l’altra. La scoperta, quindi, diventa un motore trainante dell’avventura stessa. Tolkien pensava che il viaggio ne creasse altri mille: Itsuno, con la capacità di chi ha una grande passione per questo medium e per un mondo fantasy dall’elevato tasso di interazione, ha fatto sì che questo suo sogno si avverasse,
portando Dragon’s Dogma 2 a essere un metro di paragone anche per le future pubblicazioni del genere.
DA THE WITCHER 3: WILD HUNT AL MODO DI COGLIERE L’ATTIMO
Un altro grande metro di paragone, che è inevitabile citare, è The Witcher 3: Wild Hunt. CD Projekt RED, anche grazie alla sua abilità nel medium e a uno studio oculato delle opere letterarie, oltre che a un approccio che fino a quel momento ha sempre saputo offrire una visione precisa, è quel tipo di mondo aperto che non crea quel tipo di rapporto che ha Dragon’s Dogma 2, ma cambia le carte in tavola attraverso le missioni secondarie e le varie prosecuzioni della storia.Anche se sono passati anni dalla pubblicazione della terza iterazione dedicata allo Strigo più famoso della cultura pop e del mondo videoludico, The Witcher 3: Wild Hunt è diventato quel metro di paragone che ora, sorprendentemente, porta Dragon’s Dogma 2 su altro livello: questo perché non sono presenti segnalini esagerati sulla mappa di gioco, bensì facendo scoprire direttamente al giocatore cosa sta scoprendo, per conferirgli una maggiore possibilità di scelta che non si esaurisce con i dialoghi, ma direttamente con quanto si apprende nel corso dell’avventura.
La qualità di opere come Dragon’s Dogma 2 è un patrimonio davvero raro
Credo che, giunto a questo punto, opere come Dragon’s Dogma 2 siano necessarie in un mercato del genere, e credo che una produzione del genere sia originalissima, come lo era originale all’epoca.
Non è un mondo aperto classico,
già visto e riproposto a iosa: è un mondo che si sviluppa adagio, si avviluppa, costringe a studiare e a pensare accuratamente dove si sta andando per approcciarsi al meglio. È il mondo aperto di cui abbiamo bisogno – e magari, chissà, in futuro senza microtransazioni.