La vita è strana, anche questo mese, con Antica Libreria. Sembra ieri che questa rubrica proclamava una ritrovata regolarità nella cadenza delle uscite e in effetti meno di 30 giorni dopo eccoci di nuovo qui a parlare di libri. E sempre per le stranezze della vita, anche in questa occasione iniziamo parlando di UFO, non di veri e propri avvistamenti, ma piuttosto del concetto perturbante di non-identificato e di come questo ha influenzato tra le altre cose la visione del videogioco come UDO, unidentified digital object, proposta da Matteo Lupetti.
FILE 018 – UDO – Guida ai videogiochi nell’antropocene
Dove trovarlo: Edizioni SIDO
A differenza di tanta altra letteratura videoludica che abbiamo trattato anche in questa rubrica (spesso molto valida, come KEIICHIRO analizzato nella precedente uscita di questa rubrica), Il libro di Matteo Lupetti mette le cose in chiaro fin dal titolo sulla sua intenzione di occuparsi del videogioco in un contesto più ampio, mettendolo in relazione allo sviluppo sociale ed economico (e dunque inevitabilmente politico) dell’umanità. Quell’antropocene citato nel titolo, insomma, è un manifesto programmatico.
Partiamo da qui: Antropocene è il nome che alcuni studiosi hanno dato all’era geologica in cui viviamo. Il termine viene da lontano, appare già a fine ‘800, la discussione intorno a una possibile data d’inizio condivisa è ancora in corso, ma fin dalla sua denominazione questa classificazione vuole sottolineare l’influenza diretta dell’essere umano su fenomeni naturali e geologici (perdonate l’estrema sintesi).
L’IDEA MIGLIORE È QUELLA DI ABBANDONARE UN APPROCCIO DA PURISTA DELLO SCHERMO, OVVERO INIZIARE A PENSARE AL VIDEOGIOCO OLTRE I LIMITI
ANTICA LIBRERIA TGM #18: UDO – GUIDA AI VIDEOGIOCHI NELL’ANTROPOCENE DI MATTEO LUPETTI
Prodotto dell’antropocene e figlio della crisi (nonché della Guerra Fredda che ne forgia il legame indissolubile con l’industria bellica), il videogioco è dunque indagato da Lupetti applicando un approccio maturato dall’ufociclismo, ma anche dagli oggetti narrativi non-identificati con cui il collettivo Wu Ming si riferiva a testi di una nuova narrativa italiana sorta a cavallo del millennio, in cui fiction e non-fiction coesistono. Per Lupetti, dunque il videogioco è un oggetto digitale non-identificato, ma come possiamo mettere in discussione l’identificazione è un oggetto (fenomeno? medium?) che in teoria conosciamo così bene? Se la frase precedente vi ha fatto sorgere qualche dubbio, l’idea migliore è quella di abbandonare un approccio da purista dello schermo, ovvero iniziare a pensare al videogioco oltre i limiti di ciò che la collaborazione tra linee di codice e circuiti trasforma in immagini contenute all’interno della cornice del monitor.
Questo cambio di prospettiva consente di cogliere appieno tutta la queerness del videogioco, intesa come deviazione dalla norma socialmente accettata. La porta per questa nuova dimensione sono bug e glitch, quelli che noi umani definiamo errori, mentre il software esegue correttamente le istruzioni che gli sono state fornite. Lupetti si addentra nel famigerato Minus World di Super Mario Bros., con un’abbondanza di spiegazioni accessibili anche a chi ha poca confidenza col digitale, accompagnando il lettore attraverso livelli che nessuno ha mai disegnato, ma composti dal gioco accedendo alle informazioni a sua disposizione per rispondere correttamente a un comando (che tuttavia nessun umano aveva mai previsto).
QUELLO DI LUPETTI È UN CONTURBANTE VIAGGIO NEL PERTURBANTE
LO SGUARDO SUL VIDEOGIOCO
Il nostro sguardo sul videogioco è insomma condizionato dal buon senso, da quello che riteniamo essere la norma socialmente accettata, da quello che anni di critica focalizzata su grafica, sonoro e giocabilità ci hanno convinto il videogioco debba essere. Lupetti fa l’esempio del sistema di controllo, il gamepad, periferica che condiziona profondamente ciò che il videogioco può fare e ciò che noi possiamo fare con lui. Nessuno, oggi, si sognerebbe di metterne in discussione forma e funzioni, al punto che eserciti e produttori di armi l’hanno prontamente integrato nei propri prodotti bellici, che verranno utilizzati da uomini e donne già abituati a impugnare un pad per uccidere nemici davanti a uno schermo. Ma si può ragionare anche sull’influenza che la norma ha sui contenuti: a noi sembra normale costruire caserme della polizia in Sim City per ridurre la criminalità, mentre gli studi sul tema non trovano nessuna correlazione tra aumento dei poliziotti e diminuzione dei reati.
Quello di Lupetti è un conturbante viaggio nel perturbante, che parte da lontano, dalla geologia e dall’antropologia attraversando filosofia, etica, storia e politica, tecnologia e scienza. L’UDO è un invito ad abbandonare il buon senso, il senso comune, ad allargare lo sguardo oltre e dietro lo schermo che contiene il videogioco, verso una lettura che tenga conto delle forze produttive che lo plasmano, del controllo a cui è sottoposto, e persino dalle materie che lo compongono. Non stupisce che un’analisi di questo tipo venga da Lupetti, le cui recensioni pubblicate su Il Manifesto e ArtTribune esplorano già anfratti ignorati dalla critica mainstream applicando un filtro sempre interessante e foriero di riflessioni. UDO è la naturale espansione di questo approccio, ma anche un perfetto punto di partenza per ragionare su una critica diversa, che sappia prendere le distanza dalla norma e rifuggire il buon senso che troppo spesso è l’abito rispettabile del conservatorismo acritico.