In questo ultimo periodo ho avuto il piacere di giocare tanti titoli indie e ognuno di questi, a modo suo, è stato in grado di regalarmi delle emozioni diverse tra loro, dimostrandomi al contempo come anche piccoli team di sviluppo lontani dalle realtà delle triple A siano in grado di fare un buon lavoro, veicolando il proprio messaggio al meglio delle possibilità concesse dall’esperienza.
Gli autori di The Beast Inside, i polacchi della Illusion Ray Studio, sono riusciti a confezionare un prodotto horror che finalmente, dopo moltissimo tempo (forse Outlast II), è stato in grado di creare il giusto clima necessario per spaventarmi, sebbene alcune delle meccaniche sfruttate per farlo si siano rivelate piuttosto conservative, quasi prive di quel brio necessario a distinguersi nettamente dalla massa.
A CAVALLO TRA LE PERSONALITÀ
La storia del protagonista Adam, e di sua moglie Emma, ha inizio nel pieno della Guerra Fredda, proponendoci un setting dove i due sono costretti a scomparire dai radar per un po’ visto il lavoro del primo, che per la CIA analizza codici di trasmissioni inviate dai sovietici. Questo aspetto particolare, insieme ad alcuni dei sempreverdi cliché pronti a intervenire in questo scenario orrorifico da “Cabin in the Woods”, creano il terreno fertile necessario per far proliferare una condizione parallela a questa, portata all’attenzione del giocatore mediante il ritrovamento di alcune pagine di diario antiche, che descrivono quella che sembrerebbe essere la parte conclusiva della vita di Nicolas Hyde, antico proprietario della casa.
Nel ruolo di Nicolas si vivono dei momenti davvero spaventosi
Nonostante alcune meccaniche di gioco risultino irrilevanti, ma ve lo spiegherò a breve, il doppio gioco portato in scena per l’occasione cerca di enfatizzare i jump scare sfruttando a dovere la camera da presa e la colonna sonora, arrivando persino a spaventarmi anche quando ero letteralmente sicuro che non sarebbe successo nulla. Le spettrali apparizioni e i rumori ambientali, anche se non perfette nella loro realizzazione visiva, riescono a fare il loro macabro lavoro senza perdersi mai un momento d’animo, regalandoci quei bei momenti sporca-mutande che variano dal telefonato al totalmente inaspettato.
Impersonando Adam si perde, purtroppo, tutta la carica horror espressa dal gioco
“FIAMMIFERI, COME QUELLI DI UNA VOLTA…”
Per quanto concerne il gameplay, The Beast Inside cerca di offrire una piccola variazione sul tema walking simulator inserendo diversi enigmi e qualche interazione extra, come quella sfruttata mediante l’uso del localizzatore quantico, che aumentano di complessità e presenza incrementando la difficoltà del gioco. Peccato però che i primi siano pochi, e forse poco articolati (tranne la sessione dei codici), mentre la fase del localizzatore sembra davvero una roba da b-movie giusto per inserire una parte semi esoterica nel comparto narrativo. Sviluppato male, inserito peggio, sarebbe stato interessante usarlo con vere e proprie presenze paranormali rimaste nella casa magari dopo gli eventi gestiti con Nicolas.Per muoverci nelle fasi notturne il nostro alter ego può utilizzare dei fiammiferi o una lampada a gas, che visivamente illumina molto bene l’ambiente circostante, senza però riuscire a creare sempre quel clima necessario a spaventarci. I collezionabili, sotto forma di documenti, sono veramente piacevoli da leggere e cercare, sebbene anche lì si potesse fare un piccolo sforzo in più al fine di renderli più contestuali con la storia tra i due protagonisti.
Detto questo, le due anime di The Beast Inside sono proprio come quelle contrastanti di Dottor Jekyll e Mr. Hyde: da un lato ci troviamo di fronte a un lavoro gigantesco, portato a termine al meglio delle capacità del team di sviluppo mentre dall’altro troviamo una buona scrittura, che però non riesce a fare il suo lavoro fino in fondo, seppure sia presente nella storia un plot twist interessante.
The Beast Inside è un walking simulator che cerca di sfruttare al meglio l’ambientazione horror per creare un’offerta ludica buona, benchè si dimostri lontana dalla perfezione. Trattandosi di un team di sviluppo molto piccolo, la resa finale del prodotto non è sicuramente da sottovalutare, sebbene emergano delle imperfezioni dettate dalla poca esperienza, unite a tanti elementi di gameplay che riescono a catturare l’attenzione, senza però essere enfatizzati e/o sviluppati al meglio.