The Rogue Prince of Persia – Recensione

PC PS5 Xbox Series X

Una cruenta invasione, un principe immortale da solo contro gli invasori, un pendente incantato in grado di riavvolgere il tempo: sono questi gli ingredienti vincenti di The Rogue Prince of Persia?

Sviluppatore / Publisher: Evil Empire / Ubisoft Prezzo: € 29,99 Localizzazione: Testi Multiplayer: Assente PEGI: 12+ Disponibile Su: PC (Steam, Epic Games Store, Ubisoft Connect), PlayStation 5, Xbox Series X|S Data di Lancio: 20 agosto 2025 Genere: Action platform roguelite

Quando oltre un anno fa misi le mani per la prima volta su The Rogue of Prince of Persia rimasi spiazzato sia dallo stile grafico che aveva all’epoca, sia dal gameplay così tanto simile a quello di Dead Cells. Ecco, se da un lato in tutti questi mesi la direzione artistica è cambiata, a mio avviso in meglio, l’opera di Evil Empire non è tuttavia riuscita a sganciarsi dagli accostamenti con il “fratellone” illustre realizzato da Motion Twin, studio dal quale peraltro proviene gran parte del team di questo Prince of Persia.

Eppure l’action platform con struttura roguelite realizzato con il supporto di Ubisoft, che naturalmente continua a detenere i diritti del Principe, è un videogioco ben fatto. Senza ombra di dubbio derivativo nell’impianto ludico, ma in ogni caso estremamente appagante sia nella messa in scena, sia per quanto riguarda il loop di gioco fatto di partite della durata giusta (da venti a quaranta minuti circa) in cui combattimenti mai punitivi si alternano a fasi platform con al centro le innate doti atletiche dell’erede al trono di Persia.

IL DESTINO IGNOTO DI THE ROGUE PRINCE OF PERSIA

Ecco, se è vero che The Rogue Prince of Persia vive quasi esclusivamente all’ombra di Dead Cells, è altrettanto vero che è proprio l’agilità del Principe l’elemento cardine che contraddistingue l’opera di Evil Empire e permette di differenziare un minimo i due prodotti. Al di là delle ovvie differenze estetiche, naturalmente.

The Rogue Prince of Persia recensione 02

Attacchi elementali, combo, e colpi critici: i combattimenti sono sempre molto scenografici.

Sì perché il gameplay si basa tutto su quel “flow”, quella naturalezza, la destrezza con cui il Principe si muove all’interno dei livelli. Una caratteristica presente in tutti i capitoli della serie sin dalla sua genesi, nell’ormai lontanissimo 1989, quando il suo papà Jordan Mechner decise di utilizzare la tecnica del rotoscopio per animare il protagonista e fornirgli movenze realistiche.

Il “platform” nell’action platform è esaltato dalla struttura dei livelli

Avanti veloce di trentasei anni e questo Principe può scalare muri, arrampicarsi sulle pertiche, scavalcare i nemici con un balzo, dare calci agli avversari per sbatterli di qua e di là, il tutto mentre ogni azione eseguita con tempismo perfetto fa riempire la barra del Soffio di Vayu. Quando è piena, la velocità del protagonista aumenta, rendendolo ancora più agile e letale. È una meccanica al contempo intrigante e soddisfacente, nella misura in cui premia la prontezza di riflessi del giocatore e valorizza il platforming, contribuendo a restituire una sensazione di unicità a The Rogue Prince of Persia che in qualche modo lo differenzia da Dead Cells. Il “platform” nell’action platform è ulteriormente esaltato dalla struttura dei livelli procedurali, pieni zeppi di trappole da evitare, oppure da usare a proprio vantaggio negli scontri con i soldati unni, magari scagliando i nemici contro degli spuntoni acuminati con un calcio ben piazzato.

FRECCE VORTICANTI

I livelli procedurali non sono però l’unico elemento su cui si poggia la struttura roguelite di The Rogue of Prince of Persia. Il gioco presenta anche equipaggiamento casuale da raccogliere durante le run, tra armi corpo a corpo, strumenti utilizzati alla pari di armi da tiro, e infine medaglioni di rarità variabile che forniscono bonus passivi al Principe, come danni incrementati, critici migliorati o la capacità di sferrare attacchi elementali.

The Rogue Prince of Persia recensione 03

Ogni boss ha più pattern di attacco, in alcuni casi intramezzati da sfide di platforming.

C’è anche un sistema di meta-progressione che si basa sulla raccolta delle cosiddette ceneri dell’anima, utili per sbloccare nuovo equipaggiamento e skin nell’accampamento iniziale. Questo è un vero è proprio hub che man mano si riempie di mercanti e personaggi importanti ai fini della narrazione, in cui è inoltre possibile spendere i punti abilità ottenuti uccidendo i nemici e salendo di livello. Le abilità sono ulteriori bonus passivi, ma questi vengono mantenuti tra le run. In più, dopo aver completato per la prima volta il gioco, si sblocca una fontana speciale tramite la quale accedere alle difficoltà “Risveglio”. Queste presentano vari modificatori che rendono relativamente più ardue le partite, ma offrono ricompense maggiori in termini di ceneri e punti abilità aggiuntivi (più qualche skin esclusiva).

La difficoltà è tarata verso il basso

Ciò detto, The Rogue Prince of Persia non è esente da critiche. Quella principale che mi sento di muovere ai danni dell’opera di Evil Empire è una tendenziale scarsità di contenuti. Per i non completisti, l’avventura principale con il conseguente sblocco di tutti i biomi potrebbe richiedere dalle otto alle dieci ore, a seconda del proprio grado di dimestichezza con questa tipologia di titoli. Chi ama finire i giochi al 100%, invece, può successivamente dilettarsi nello sblocco di tutte le armi e delle numerose skin (alcune delle quali ispirate ad altre saghe celebri di Ubisoft), fino a raggiungere la difficoltà Risveglio 40, la più alta disponibile.

C’è pure una skin ispirata a Splinter Cell che applica un filtro verde tipico del visore notturno di Sam Fisher.

Tuttavia, un altro elemento che potrebbe essere considerato come un difetto è la difficoltà tarata verso il basso. Non mi ritengo una cima, ma nemmeno uno scarsone, però va detto che anche quando la generazione procedurale è sfavorevole è abbastanza facile battere il boss finale, persino ai livelli di Risveglio più alti. Anche perché un po’ tutti i nemici, boss compresi, hanno pochi pattern di attacco facili da memorizzare e anticipare. Fatto sta che The Rogue Prince of Persia è comunque un action platform roguelite di qualità, nonostante qualche piccola sbavatura qua e là, e mi ha lasciato quella costante sensazione di “un’altra partita e poi smetto” che solo i migliori roguelite riescono a restituire.

In Breve: The Rogue Prince of Persia si presenta come un action platform in salsa roguelite solido e coinvolgente, che pur richiamando fortemente Dead Cells riesce a ritagliarsi una propria identità grazie all’agilità del protagonista e a un gameplay fluido e gratificante. La varietà di equipaggiamenti, la meta-progressione e la struttura procedurale dei livelli offrono una buona profondità, anche se la difficoltà contenuta e la quantità limitata di contenuti potrebbero deludere i giocatori più esigenti.

Piattaforma di Prova: PC / Steam Deck
Configurazione utilizzata: AMD Ryzen 7 7800X3D, 32 GB RAM, GeForce RTX 4060Ti, SSD / Steam Deck
Com’è, Come Gira: Giocato a 2560×1440. Il gioco gira alla perfezione, mantenendo sempre 120 fotogrammi al secondo (bloccati perché potrebbe superare abbondantemente questa soglia). Ottimo anche su Steam Deck, dove gira senza sbavature a 60 FPS.

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Pro

  • Gameplay fluido e coinvolgente. / L’essenza di Prince of Persia c’è tutta. / Ottima colonna sonora.

Contro

  • Quantità limitata di contenuti. / Difficoltà contenuta. / Fin troppi richiami a Dead Cells.
8.2

Più che buono

Le leggende narrano che a Potenza ci sia un antro dentro al quale vive una misteriosa creatura chiamata Alteridan. In realtà è solo il nostro Daniele, che alterna stati diurni di brillantezza ad altri notturni dove i suoi amici non hanno ancora capito che non conviene fargli assumere troppo alcol.

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