Benché in realtà non esista un metodo universale, per realizzare un gioco oggi si parte quasi sempre da un documento programmatico. Qualcuno, in genere un game designer, partorisce un’idea di massima su un gioco, la fa a pezzi, ne delinea gli aspetti fondamentali, dalle meccaniche allo stile grafico, poi traduce tutte queste intuizioni in un testo che verrà sottoposto a qualcuno con un qualche potere decisionale. Qualora dal quel foglio si intraveda un barlume di potenziale commerciale, il progetto entrerà in fase di approvazione, quindi il design iniziale subirà una serie di revisioni, verrà stabilito un budget e si cercherà il personale adatto per trasformare le parole in bit. Questo è quello che succede normalmente. Altre volte, invece, qualcuno posta la gif di un’oca nel canale Slack del team, qualcun altro ride dicendo che bisognerebbe farne un gioco e dopo un po’ di tempo salta fuori un indie pazzesco con un’oca come protagonista: Untitled Goose Game.
UN’OCA FA CIÒ CHE DEVE FARE
Quel che avete letto è tutto vero. Untitled Goose Game è nato quasi per gioco e il titolo decisamente provvisorio è testimone di questa origine incredula da cui è poi sbocciato non solo un gioco vero e proprio, ma uno dei più interessanti di questa seconda metà di 2019. Motivata da uno stile grafico accattivante e da un’ironia di fondo un po’ assurda e nonsense, la curiosità intorno al prodotto sviluppato da House House è progressivamente montata nei mesi scorsi, di pari passo a una domanda di fondo semplice: cosa ci sarà da fare nei panni di un’oca? Beh, la risposta non potrebbe essere più banale: molestare ogni singolo essere umano a portata di becco. Perché? Perché sì, ovvio.
Volendo per forza ricondurre questo limpido sprazzo di genialità alle più banali categorie che si utilizzano per classificare i videogiochi, Untilted Goose Game andrebbe descritto come un puzzle stealth: un bizzarro punto di incontro tra le vecchie avventure LucasArts e le più recenti incarnazione dell’Agente 47. Subito dopo aver indossato piume e becco dell’oca senza nome, a video appaiono una serie di obiettivi collegati alla prima area di gioco, scritti a penna su un foglio di carta come la più classica delle liste della spesa.
molestare ogni singolo essere umano a portata di becco
Benché quelli appena descritti risultino in fin dei conti i soli comandi che è possibile impartire alla nostra malefica oca, oltre alla possibilità di muovere le ali, anche piani ben più elaborati sono alla portata del diabolico pennuto. Ci vuole un po’ di fantasia, una discreta dose di pensiero laterale e tanto spirito di osservazione, oltre a un minimo di pazienza e al giusto tempismo, ma anche imprese più elaborate possono essere portate a termine da un’oca abbastanza motivata. La seconda categoria di obiettivi manoscritti, infatti, costringe a elaborare macchinazioni più sofisticate il cui fine, inutile dirlo, è sempre quello di dare noia agli umani. Che si tratti di costringere un contadino a indossare il proprio cappello a tesa larga o di rinchiudere un ragazzino terrorizzato dentro una cabina telefonica, si ha sempre la sottile ma concreta impressione che l’oca provi una sorta di sadico piacere nel farlo.
UN DIAVOLO PER PIUMA
È facile farsi entusiasmare da Untiled Goose Game. L’idea è originale e fuori dagli schemi. La realizzazione tecnica deliziosa e nel complesso il gioco pare non prendersi mai troppo sul serio. In realtà però dietro il look sbarazzino e il caustico cinismo c’è del talento indubbio che traspare da diversi elementi. A partire dai controlli, minimalisti, per necessità nello slancio di realismo attraverso cui sono replicate le possibilità di interazione di un’oca, eppure incredibilmente versatili.
dietro il look sbarazzino e il caustico cinismo c’è del talento indubbio
Le figure piene colorate a tinte piatte evocano atmosfere da campagna inglese degli anni ’80, tra il bucolico e il rurale: non che l’abbia mai vissuta la campagna inglese degli anni ’80, ma mentre gioco il mio cervello continua a riportarmi al Benny Hill Show, e direi che i motivi sono molteplici. A partire da quella comicità profondamente fisica, fatta di micro gag che si ripetono. Anche se il ragazzino occhialuto si spaventerà sempre allo stesso modo, sarà difficile resistere alla tentazione di mollare un “Honk!” a tradimento ogni volta che si finisce nei suoi paraggi. O trattenersi dal dare fastidio al contadino della prima area, spostando i suoi strumenti di lavoro qui e lì per puro gusto, o forse per ricambiare l’odio evidente con cui l’oca viene accolta ogni volta che varca i confini dell’orto. E come nelle gag di Benny Hill, la musica gioca un ruolo chiave. Se nelle situazioni di normalità la pace del villaggio è scandita solo dai tap tap delle zampette dell’oca in movimento, i momenti di rabbia e gli agguati sono scanditi dalle note dei preludi di Debussy, suonate in crescendo o in calando in combinazione a ciò che a quel momento sta accadendo in scena.
La dimensione quotidiana, ridotta e contenuta di Untitled Goose Game è in fondo è il suo punto di forza. Questa volta non c’è un mondo da salvare, una maledizione millenaria da interrompere o un nemico che incarna in sé il male atavico, ma solo un’oca, due comandi in croce e una serie di piccoli compiti in cui cimentarsi. Invece di fare tante cose, Untitled Goose Game ne fa solo due. Per una volta è rassicurante. Non bisogna imparare combinazioni di tasti né viene da chiedersi si ci sia sfuggito qualcosa: tutto è a portata di mano. L’unico elemento esterno richiesto è lo spirito di osservazione, poiché quasi tutte le quest più articolate richiedono di intervenire al momento adatto nelle routine di comportamento dei personaggi del villaggio. Un po’ come in una domenica in provincia, con l’incentivo di potersi comportare peggio che si può.
L’idea è così assurda che alla fine funziona. Perché dietro il concept di Untitled Goose Game c’è una consapevolezza del mezzo invidiabile. È un diorama, un universo narrativo in miniatura, contenuto in una sola ambientazione recintata da una manciata di regole. Non c’è nulla di superfluo e per una volta è un sollievo fare solo ciò che si deve. La ciliegina sulla torta è che per fare ciò che si deve basta dar sfogo alla propria stupidera adolescenziale, repressa, ma pur sempre viva in fondo alla grigia quotidianità.