SI MUORE SPESSO IN UNTO THE END, ANCHE DECINE DI VOLTE DI FILA. IL CHE, DI PER SÉ, NON È UN PROBLEMA. NON LO ERA AI TEMPI DI FLASHBACK, CHE NON CITO A CASO, E NON LO È OGGI
L’ARTE DEL BARO
Ho cercato a lungo di trovare un motivo a queste dinamiche inspiegabili e in qualche modo ingiuste, che impediscono al giocatore di trovare un filo conduttore a cui affidarsi, e la risposta che mi sono dato è che siano volute. Non c’è un errore o un problema tecnico a monte, il gioco non è rotto. È piuttosto un altro lato della medaglia di quella volontà di raccontare utilizzando solamente gli strumenti unici del videogioco, solo che in questo caso il tentativo non ha funzionato.
O meglio, la narrazione è passata, ma non in armonia col resto. Perché in qualche modo sono convinto che questo sia un modo per Unto The End di trasmettere l’ingiustizia e l’insensatezza di un mondo feroce, dove l’uomo è abbandonato in balia della crudeltà. Credo si possano incastrare in questa cornice anche gli sporadici incontri in cui si percepisce che il personaggio di fronte al protagonista potrebbe non essere un nemico e il baratto risolve l’impaccio, prima di una coltellata a tradimento. Succede anche questo. E potrebbe anche starci, se il messaggio non cannibalizzasse il divertimento, o quanto meno la soddisfazione dell’abilità. Se non basta essere bravi, avere riflessi pronti e seguire le regole imposte dal gioco per uscire vincitori, perché c’è sempre un tranello imparabile, uno scontro impari, un colpo che arriva anche se non dovrebbe, allora il gioco non sta giocando alla pari col giocatore. E non sempre il fine giustifica i mezzi.
IL TALENTO DEL PARALLASSE
Eppure non riesco ad odiare Unto The End, perché capisco ciò che vuole fare (o forse me ne illudo io, chissà) e lo trovo ammirevole. Se il modo è rivedibile, l’intento è da incoraggiare. Nessun altro gioco, quest’anno (scrivo ancora nel 2020, per qualche ora) è riuscito a raccontarmi e a trasmettermi così tanto del suo mondo, utilizzando solo strumenti suoi, senza richiedere presti ad altri media. Non solo l’animazione, ma persino il parallasse riesce ad avere un ruolo narrativo. Non tutto è andato per il verso giusto, ma è bello che qualcuno ci abbia provato.
In Breve: Fa rabbia Unto The End, per un sacco di motivi. Principalmente perché prova a fare qualcosa di molto ambizioso, ma per riuscirci a metà strada decide di barare. Quel combattimento, sulla carta bilanciato sull’abilità, ma in realtà affidato a un’aleatoria parzialità, grida vendetta. Perché il team di sviluppo abbia compiuto questa scelta, ovvero continuare a raccontare qualcosa attraverso il solo linguaggio del gioco, è chiaro. Il fatto però che questa scelta renda frustrante e ingiusto l’insuccesso del giocatore non può tuttavia essere trascurato. Vale la pena provarlo, ma anche mollarlo ai primi segnali di rabbia.
Piattaforma di Prova: Xbox Series X
Com’è, Come Gira: Graficamente delizioso, Unto The End su Series X gira fluido (senza particolari rallentamenti, come accade invece su alcune configurazioni PC). Non sfrutta particolari effetti visivi, se non una buona illuminazione, ma rimane un bel vedere.
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