A continuazione di una saga iniziata ormai 8 anni fa, Metro Exodus si è mostrato colonia lasciando intravedere un gioco potenzialmente enorme, molto più ambizioso dei suoi pur validi predecessori.
Il futuro post-apocalittico della Russia devastata dalle radiazioni trova in questo capitolo la concretizzazione di una storia importante, ben 5 anni di sviluppo per coniugare le atmosfere dei primi episodi con mappe aperte estremamente estese, che ricordano S.T.A.L.K.E.R. per ovvi e succosi motivi. Oggi finalmente siamo tornati nelle lande contaminate per provare con mano i passi avanti del gioco di 4A Games, la cui pubblicazione è prevista per il prossimo 22 febbraio; la prima cosa che salta all’occhio è sicuramente lo scenario della demo, in una natura selvaggia e piena, dai colori tipicamente autunnali, lontanissima dai palazzi in rovina dei giochi precedenti. Da qui a vedere un orso bruno caricarmi selvaggiamente, il passo è stato davvero breve.
Ci sono voluti 5 anni per coniugare le atmosfere dei primi capitoli con mappe aperte, echeggianti di S.T.A.L.K.E.R. per ovvi e succosi motivi
Gli “indigeni” poco gentili e la radioattività sono solo alcuni dei problemi incontrati, esattamente dieci minuti dopo esserci ripresi da un possibile annegamento; a tali insidie va aggiunta una specie di setta religiosa che si aggirava nei dintorni dell’area iniziale, giusto per darvi il quadro completo di tutto quel che mi sono ritrovato ad affrontare mentre cercavo di scovare il percorso da seguire, morendo svariate volte sbranato, bruciato e crivellato, o anche cadendo da un dirupo per testare quanto fosse stata ampia la mappa e, così, l’esperienza open world del gioco.
La dimensione maggiormente survival impone prove più approfondite, ma quel che ho visto è già eccellente