L’hands on di qualche giorno fa, negli uffici milanesi di Koch Media, è stato l’incontro più corposo fra quelli avuti con Deus Ex: Mankind Divided: quasi sei ore ininterrotte per entrare nella testa e nel corpo, in gran parte meccanico, di Adam Jensen, e vivere con lui i “primi passi” nel nuovo ordine mondiale seguito all’Aug-Incident, quando i cittadini augmentati hanno improvvisamente aggredito il resto della popolazione e, come conseguenza spietata ma verisimile, sono stati bruscamente gettati ai margini della società. Stavolta glisserò allegramente sulla missione del tutorial a Dubai, già giocata e descritta in questa anteprima, e anzi seguirò l’arrivo di Adam a Praga evitando, comunque, qualsiasi tipo di spoiler sulla trama, se non per le atmosfere e un paio di considerazioni a margine.
Mankind Divided sembra poter fare bene in tutte le fondamentali di Deus Ex
UNA SCELTA È PER SEMPRE
Innanzitutto, dalle strade e piazze di Praga fino al cuore del Ghetto degli aumentati, non c’è angolo o meccanica di Deus Ex: Mankind Divided che non ponga un piccolo o grande dilemma al giocatore. Quasi immediatamente, Jensen torna a confrontarsi con la visione cinica di David Sarif – unico ritorno che possiamo confermare – e inizia a districarsi fra le tante e ben scritte righe di dialogo che caratterizzano i numerosissimi nuovi personaggi (uno dei principali, Alex Vega, rientra pienamente nel concetto di “legacy” della serie, essendo apparsa in Deus Ex: The Fall e nel fumetto Children’s Crusade).
il sistema di innesti impone di rispettare un rigoroso bilanciamento energetico
Accanto a caratteristiche per me irrinunciabili, come la temporanea invisibilità o un minimo di perizia nell’hacking, si è palesata una marcata e influentissima introduzione, perfettamente in linea con la costante necessità di scegliere: in Deus Ex: Mankind Divided il sistema di innesti impone di rispettare un rigoroso bilanciamento energetico, motivo per cui l’attivazione di un certo numero di abilità richiederà di inibire definitivamente la possibilità di istallarne altre (vedremo se, nel gioco finito, ci sarà qualche eccezione, magari con costose ricalibrature), tutte potenzialmente belle da usare – dai due tipi di corazza dermica ai colpi pneumatici stordenti, dallo spara-spuntoni sull’avambraccio ai poteri tradizionali come il Typhoon esplosivo – e dunque motivo di cruccio nel momento della decisione.
L’ETICA DEL GOLEM
In generale sono riuscito a rispettare il voto di non violenza, al di là del fatto che non uccidere gli NPC non significa automaticamente riuscire a percorrere un intero livello in assetto stealth. Al contrario, per arrivare più avanti possibile, ho concluso alcune quest correndo come un matto verso l’uscita, con i proiettili che mi fischiavano sopra le orecchie e la consapevolezza di un piccolo ma necessario limite delle AI, che non provano a inseguirci oltre il loro (largo) spazio di competenza.
il crafting, leggero e mai invasivo, serve per costruire ricariche e i classici Omnitool
Percorrendo missioni principali e secondarie, infine, è sempre balzata agli occhi la grande cura posta su scrittura e tratteggio delle ambientazioni, con il fascino “silenziosamente” cyberpunk di Praga (dove, come nelle città europee contemporanee, i tocchi di alta tecnologia punteggiano gli antichissimi centri storici) e l’uso quasi sguaiato della tecnologia nel Ghetto, le opportunità ambientali che si fanno più chiare nella capitale ceca e più intricate nei bassifondi. In nessun caso viene svilito il livello di difficoltà – “normale” quello affrontato nella prova, e comunque tosto – a cominciare dall’uso del nuovo sistema di energia per i poteri, con una barra continua che mantiene una piccola carica di riserva ma, prova alla mano, non può nulla di fronte alle tignose ronde dei nemici o al complicarsi di una situazione d’allerta, a maggior ragione quando l’avversario è infilato in un micidiale esoscheletro della polizia. Altre variazioni riguardano la modificabilità “on the fly” degli accessori sulle armi, come abbiamo già avuto modo di dire, insieme all’introduzione di un sistema di crafting che risulta leggero e mai invasivo, semplicemente per costruire ricariche di energia, di salute, i classici Omnitool e altri consumabili di uso frequente.
CYBER-REALTÀ DENTRO LA CYBER-REALTÀ
A lato del piccolo divertissement elettronico che trovate in un’immagine, con un arto meccanico che replicava i movimenti di una mano inquadrata su un monitor, la presentazione ha riservato uno spazio per provare la piccola esperienza VR di Deus Ex: Mankind Divided, approntata su una fiammante CV1 di Oculus Rift. In realtà si è trattato semplicemente di esplorare una manciata di stanze rappresentative del gioco, come la residenza praghese di Adam Jensen, e anche la versione finale non si dovrebbe discostare da questo semplice modello, con l’ulteriore, ma non certo elettrizzante, possibilità di osservare i modelli dei personaggi in VR. Il ché, dico mestamente, rimane in linea con l’approccio della gran parte dei produttori – con l’eccezione ancora da verificare di Bethesda e, ovviamente, di Sony – nei confronti della realtà virtuale: figa la VR, vero? Ecco, però, ora ridammi il caschetto che è già finita la demo.
Quel che conta, nondimeno, è che ogni passo ha nuovamente giustificato le elevate aspettative sul gioco di Eidos Montreal. Deus Ex: Mankind Divided presenta ancora le incertezze sopramenzionate – insieme a una resa non irreprensibilmente fluida del nuovo sistema di controllo – ma sembra poter fare bene in tutte le fondamentali di Deus Ex. Quando sarà il momento, vi consiglio di selezionare i comandi “classici”, per un uso meno farraginoso della ruota dei poteri, e di guardare ai movimenti continui del cover-system (per dirigersi automaticamente verso un arredo selezionato) solo nei momenti di relativa calma. Di sicuro, però, ci sono i motivi e il tempo per digerire anche questi aspetti, di fronte a un’avventura che si preannuncia addirittura più lunga ed emotivamente immersiva della precedente. “All about choices”, ancora una volta.