Se Bayonetta è una lap dance, sensuale, solitaria, interpretata da una danzatrice intoccabile, esuberante e feroce, Astral Chain è un Tango argentino. Un gioco di coppia, di sguardi, anche quando la labirintica regia Platinum cerca di impedire il contatto visivo, sincronizzato ed elegante; due anime legate tra loro, costrette alla performance, in catene verso il più classico obiettivo di salvezza umana. Un meteorite usato come ariete da una razza aliena, la Terra contaminata per essere assediata, la pandemia seguita dagli attacchi delle chimere, sempre più rabbiose e numerose. Giudici universali capaci di muoversi attraverso la dimensione astrale per apparire senza preavviso e mietere vite come spighe di grano, invisibili all’occhio umano tranne che agli agenti Neuron, corpo speciale della polizia addestrato a controllare chimere in cattività, Legion, grazie alle ricerche del luminare Yosef Calvert. L’umanità ridotta del 90%, accerchiata come animali in una foresta in fiamme, prigioniera-superstite dell’Arca, città fortezza high-tech ancorata nell’abbraccio materno dell’Oceano Pacifico per cercare di tenere lontano il fuoco dell’estinzione. Due gemelli, inconsapevoli, predestinati, dovranno ergersi a loro protezione, sotto l’ala protettiva del padre, all’ombra di una cospirazione più grande di loro.
CSI ARCA
Astral Chain nasce da ispirazioni altissime, Ghost in the Shell per scenografia e indole poliziesca/hardboiled, qui più cyber che punk, Neon Genesis Evanglion per tematiche e fascinazioni bibliche, costruendosi così una narrativa sì prevedibile ma estremamente curata, appagante e tesa, nella mitologia e soprattutto nel suo rituale poliziesco. Un CSI futuristico, alieno, dove i neon della città sostituiscono il luminol e trafiggono le pupille, aiutandoci a fare luce sulla sequenza di sparizioni perpetrate dalle chimere, passando dai tradizionali interrogatori ad indagini in realtà aumentata col sistema IRIS, attivabile con la sola pressione di un tasto. Momenti di immersione totale nell’immaginario dell’Arca dove l’opera respira, decanta e incanta con una tecnica probabilmente mai così esosa in una produzione PlatinumGames (e qui vedono i risultati del patrocinio di Nintendo), vestita da una direzione artistica fenomenale per uso dei colori e stile, sì di genere ma gonfia di dettagli che ne mettono in mostra tutta la sfacciata personalità. Una delle cose più belle che vi capiterà di vedere sullo schermo di Switch tout court. Dalle luci perenni di Grand Avenue, ricordo di una Times Square perduta e cuore pulsante, umano e commerciale della città, agli spenti e trasandati sobborghi, contrasto cromatico che sintetizza una società che non ha colto la tragica occasione per riorganizzarsi più equamente, preferendo cristallizzarsi un limbo temporaneo di consuetudini sociali.
Un CSI futuristico, alieno, dove i neon della città sostituiscono il luminol e trafiggono le pupille
Si respira voglia di normalità ma l’odore è quello acre di benzina, tensione latente, una paura incombente che una scintilla può trasformare in panico. La comparsa di abomini (umani contaminati) che preannunciano l’arrivo delle chimere; le urla di terrore di chi fino a un attimo prima stava passeggiando contribuiscono ad alzare i battiti, cardiaci e sonori, in una corsa disperata mentre risaliamo il fiume umano come salmoni dritti nella bocca del grizzly.
Manganello X in dotazione in una mano, efficace per rapidi attacchi corpo a corpo nella sua forma base e capace di ricombinare la sua materia per trasformarsi ora in un pesante gladio, ora in un revolver; Il Legatus invece, dispositivo capace di contenere la potenza del Legion, legato al polso. I due elementi cardine di uno stile di combattimento che pretende dedizione e addestramento,
un Tango ballato da due corpi controllati da una mente sola, in remoto, preferibilmente con uno Switch Pro Controller. Due levette, due grilletti, proiezione meccanica di due emisferi cerebrali che devono ragionare separatamente, per poi incontrarsi nel momento della sincronizzazione perfetta.
Una co-op solitaria. Questione di riflessi, un lampo da cogliere al volo col grilletto per portare attacchi devastanti, combinati, che sia alla fine di una combo (le estreme conseguenze del button mashing sul grilletto destro, la complessità sta altrove) o l’istante successivo una difficile e talvolta poco leggibile schivata perfetta. Libero dalle manette di un moltiplicatore combo da tenere sempre acceso come un fuoco da campo, il combat system si esalta nella varietà delle manovre manuali per poi sommarle fino a raggiungere il rango S+. Istinto e un minimo di tattica, scegliendo il momento giusto per lanciare il Legion nella mischia e ritirarlo quando l’indicatore dell’energia segna la riserva, pena la momentanea e pericolosa solitudine nell’attesa che si ricarichi.
Bisogna ambientarsi, oliare la catena con la pratica, per arrivare, una volta soggiogate le cinque creature dotate di caratteristiche uniche (spada, arco, rapidità, forza bruta, difesa impenetrabile, ovviamente utili anche nell’esplorazione), a gestire gli scontri con una fluidità sorprendente, oltremodo appagante, totalmente manuale e traboccante di stile. Bloccare una chimera a terra facendogli girare intorno la catena e far partire un attacco combinato, schivarne uno alle spalle, contrattaccare per poi tornare a tendere la catena e lanciarci come una fionda sul prossimo nemico modificando al volo il manganello.
Due levette, due grilletti, proiezione meccanica di due emisferi cerebrali che devono ragionare separatamente, per poi incontrarsi nel momento della sincronizzazione perfetta
Un’orgia di corpi, colpi e flash, beatificata da un’ottima varietà di avversari che impone una gratificante sperimentazione arma/Legion per trovare le combinazioni più efficaci per ogni situazione, e boss fight che spesso lasciano senza fiato, facendo dimenticare presto la goffaggine di quelle meno riuscite.
È sorprendente quanto le criticità del titolo vadano a sedersi proprio lì, una fila avanti quelli che sono i più esaltanti pregi, come spettatori troppo alti al cinema, incapaci di rovinare un capolavoro ma infastidendone il godimento quel tanto che basta. C’è talvolta una certa ingenuità nella gestione degli spazi, nemici troppo grossi in spazi ristretti o piccoli e rapidi in arene ariose, con una telecamera che in ogni caso cerca inquadrature criptiche e mai funzionali. L’utilizzo di un input visivo da usare come sesto senso per prevedere l’arrivo di un colpo che talvolta giunge troppo in anticipo, altre in ritardo, costringendo a prendere le misure, a un ulteriore livello di studio, fastidio aggravato dal contrattacco (attaccare appena dopo una schivata perfetta) inspiegabilmente privo di frame di invincibilità.
Sono macchie che non ci si aspetta da chi ha praticamente inventato il genere, e il fatto che sia troppo bello per non perdonargliele non vuol dire che si debba giustificarle. L’opera è però assolutamente corretta nei confronti del giocatore, mai punitiva; la vera sfida è giocarlo come Taura comanda. In 20 ore di gioco ho visto il game over solo 3 volte, salvato spesso in extremis dai defibrillatori installati nell’uniforme, due cariche (potenziabili) giocando a difficoltà normale, la più alta selezionabile all’inizio (con quella difficile che si sbloccherà man mano per ogni capitolo chiuso). Oltretutto
protagonista e Legion tenderanno alla crescita, il primo scalando le gerarchie del dipartimento di polizia e potenziando le sue armi, i secondi con uno schema ad albero che ne migliorerà caratteristiche e sbloccherà mosse speciali. Un titolo impegnativo, attenzione, che però all’inizio non vuole mettere alle corde il giocatore, consapevole della sua complessità ludica. È impossibile però non pensare ad
Astral Chain come uno dei combat system più clamorosi della generazione, là, sullo stesso piano di God of War, Sekiro e Bayonetta 2. Geniale, intelligente, assolutamente a suo agio anche a 30 frame al secondo, capace di imporre disciplina militare alla fenomenale sregolatezza di The Wonderful 101 (che a sua volta aveva ereditato da Okami il talento di pennellare mosse con l’analogico), con cui condivide più di quello che sembra.
STATO DI EMERGENZA
Dalla folle opera per Wii U eredita infatti un senso di epicità su vasta scala, capace di riempire il cuore e far pesare il senso di responsabilità sulle spalle, anche grazie ad un carattere più sobrio e drammatico nei toni di quanto il character design lasci supporre. C’è un senso di urgenza esaltante, l’immedesimazione in quella che è una vera e propria operazione antiterrorismo, più che una pretestuosa lotta umano-alieno, in cui i ruoli di preda e cacciatore si scambiano continuamente. Il ritmo è sempre serratissimo, scandito al metronomo, anche nelle fasi di investigazione in aree aperte (se ci fossero dubbi non è assolutamente un open world, neanche nell’accezione “NieR: Automata” del termine), dove accettare o ignorare incarichi secondari veloci, freschi, vari, ma soprattutto capaci di calare ancora di più nella parte del pubblico ufficiale.
C’è un senso di urgenza esaltante, l’immedesimazione in quella che è una vera e propria operazione antiterrorismo
Gli effetti degli eventi sul mondo sono tangibili, come boss fight lunghe un capitolo capaci di deturpare la downtown dell’Arca, in notturna, per poi osservarne esterrefatti i danni il giorno dopo, bonificando le aree dello scontro dall’infettiva materia cremisi mentre la gente cerca di tornare alla normalità. Pura coerenza ambientale che dà la sensazione di vivere gli eventi in blocco unico, senza saldature.
Situazioni variegate splendidamente alternate tra loro, presentate e conteggiate con estrema intelligenza per non sembrare artefatte. Fasi stealth, qualche puzzle e un po’ di platform (talvolta evitabili per colpa di un sistema di controllo decisamente più adatto all’azione), più simpatici minigiochi che alleggeriscono l’atmosfera come una valvola di sfogo. Lo si capisce già dall’inizio, con l’opera che si presenta come uno sparatutto su binari, la moto lanciata a folle velocità in una galleria a lume di neon, acidissima, creando aspettative registiche assolutamente mantenute per tutto l’arco narrativo. Qui
Astral Chain è fuori di testa, un lavoro curatissimo dalle texture alle animazioni, accompagnato da tracce synth, ora pop, ora rock dal profumo nipponico, su cui spicca per gusto personale la canzone che sgorga in heavy rotation dagli altoparlanti della stazione di polizia/hub; una rinfrancante doccia soft trance per pulirsi delle fatiche che impone la Neuron.
Se Platinum si fosse data una manciata di mesi in più per rifinirlo, staremmo parlando di un capolavoro assoluto. Astral Chain è un poliziesco del prossimo futuro, che appoggiandosi a canovacci narrativi molto cari agli appassionati di anime anni ’90 riesce a rapire con un ritmo e una regia pazzeschi. Ma è attorno al campo gravitazionale del suo combat system che ruotano pregi clamorosi e difetti inaspettati, che pure non riescono a rovinare un’esperienza memorabile, divertente, tachicardica, dopata da uno strapotere tecno/estetico che flette i muscoli di Switch come solo Nintendo era riuscita a fare. Nonostante certi difetti ormai endemici dei loro lavori (telecamera ingestibile su tutti), PlatinumGames, diretta da un Taura on fire supervisionato da Kamiya, si conferma regina dello stylish action col loro progetto più ambizioso, coerente e maturo. Le aspettative per Bayonetta 3 sono più alte che mai.