Collection of Mana – Recensione

Switch

Un giorno siete usciti a giocare assieme ai vostri amici per l’ultima volta, ma non lo sapevate. Nel mio caso l’abbandono della gioiosa fanciullezza coincide con la mancata volontà di portare in Occidente Seiken Densetsu 3 nell’estate del 1995 da parte di Squaresoft, ottenendo invece al suo posto Secret of Evermore, primo e unico gioco sviluppato dalla divisione americana della casa di Final Fantasy, ritenuto inizialmente colpevole di aver preso il posto del legittimo seguito di Secret of Mana dalle nostre parti. La realtà era però diversa: lungi dal diventare il colosso che siamo soliti ricordare in era PlayStation, la Squaresoft di allora doveva amministrare al meglio le proprie risorse e riteneva l’adattamento del terzo Seiken Densetsu e di titoli come Romancing SaGa 2 operazioni eccessivamente dispendiose, come testimonia un’ormai celebre intervista concessa da Ted Woolsey sulle pagine della britannica Super Play, una delle mie riviste preferite tra quelle prive del logo The Games Machine in copertina. Una situazione che ha reso il gioco un vero e proprio mito per la mia generazione, nonché uno dei più glorificati e proibiti tesori dell’epoca a sedici bit; certo, nel 2000 è stata pubblicata una traduzione amatoriale curata da Neill Corlett, ma il feticcio di un adattamento ufficiale è sempre stato un’irraggiungibile quanto deliziosa chimera. Finché non è saltata fuori questa Collection of Mana.

SEIKEN DENSETSU…

…può essere tradotto in La Leggenda della Spada Sacra, un nome altisonante che nasconde però una certa insicurezza, almeno se inquadrato nel titolo completo della versione giapponese, ovvero Seiken Densetsu: Final Fantasy Gaiden. Ebbene sì, il primo Seiken Densetsu debutta su Game Boy come uno spin-off della serie regina di Squaresoft, sperando che l’avvicinamento a un marchio tanto potente potesse in qualche modo trainare le vendite di quel gioco così particolare. Che inappropriata mancanza di fiducia per un prodotto firmato da Koichi Ishii, designer che aveva attivamente lavorato sui primi tre Final Fantasy. In seguito vere e proprie leggende avrebbero prestato il proprio talento a Seiken Densetsu, vedi il celebre Hiromichi Tanaka, uno dei fondatori di Squaresoft nel 1983 nonché programmatore di The Death Trap, il primissimo gioco dell’azienda. È una serie particolare, beffardamente nata con grandi ambizioni, ridimensionate però dal fato: il primo episodio avrebbe dovuto occupare la bellezza di cinque floppy su Famicom Disk System prendendo il nome Seiken Densetsu: The Emergence of Excalibur, ma come già detto la Squaresoft di allora non navigava nell’oro, e il progetto venne dunque ridimensionato e dirottato su Game Boy. Seiken Densetsu 2, del resto, doveva essere un gioco assai più vasto, destinato al lettore CD che SONY stava sviluppando per Super Famicom prima di uno dei momenti sliding door più emblematici della storia dell’informatica.

il primo episodio avrebbe dovuto occupare la bellezza di cinque floppy su Famicom Disk System prendendo il nome Seiken Densetsu: The Emergence of Excalibur

Gli ingranaggi della storia sono però in eterno movimento, e di capitoli successivi ce ne sono stati parecchi, specialmente quando Square Enix abbracciò la filosofia nota come Polymorphic Content (la creazione di più titoli in un lasso di tempo finito riuniti da un denominatore comune, vedi la Ivalice Alliance) dando vita a diversi giochi basati sull’universo creato da Koichi Ishii nel progetto conosciuto come World of Mana. Tra questi ricordiamo una coppia di hack and slash per DS e cellulari, noti rispettivamente come Children e Friends of Mana, assieme al tristissimo Seiken Densetsu 4, un gioco che avrebbe segnato in pompa magna l’ingresso della serie su PS2, rovinato in modo irrecuperabile dall’infatuazione di Ishii-San per Half Life 2 e per le meraviglie del motore Havock, che avrebbero trasformato un capitolo potenzialmente valido in disastroso balocco da giocare in preda a una fisica impazzita! Forse l’unico esponente meritevole successivo alla generazione Super Famicom è Heroes of Mana, uno strategico in tempo reale da giocare con lo stylus del DS, che funge giustappunto da prequel alle vicende di Seiken Densetsu 3. Ma perché continuiamo a chiamarlo così, poi? Come un fulmine a ciel sereno, Square Enix ha compiuto l’impensabile, traducendolo ufficialmente con il nome Trials of Mana e vendendolo assieme ai due predecessori all’interno della raccolta Collection of Mana a cura dei maestri di M2, una garanzia quando si tratta di riprodurre vecchie glorie su hardware moderni.

YOU ARE BREATHTAKING!

L’amatissima trilogia originale raccolta sullo schermo di Nintendo Switch, pronta per essere giocata ovunque: un sogno proibito almeno fino allo scorso E3, quando la Collection of Mana è stata annunciata a bruciapelo tra detonazioni di petardi e vigorosi high-five da parte di quei possessori di Super Famicom che avevano perso l’appuntamento con il destino nel 1995. Tecnicamente il lavoro svolto è pregevole, con i tre giochi selezionabili da una snella interfaccia iniziale che permette di ascoltare le tracce audio in stile juke box prima di buttarsi nell’azione, ché le colonne sonore di Kenji Ito e Hiroki Kikuta non invecchiano mai. L’emulazione è ottima, mentre l’area di gioco può essere visualizzata in finestra o a tutto schermo, mantenendo comunque un aspect ratio a 4:3; stranamente il primo Seiken Densetsu è l’unico dei tre a vantare un maggior numero di filtri video, compreso uno che imita la matrice del Game Boy, seppure privo del caratteristico ghosting. Gli altri due dispongono solo di uno shader piuttosto inutile con cui addolcire i pixel al posto delle classiche scanline, curiosamente assenti. Detto questo, è ovviamente possibile salvare la partita in qualsiasi momento con tre comodissimi slot, mentre in Secret of Mana e nel nuovo Trials of Mana non è stato ovviamente tralasciato l’aspetto multigiocatore, permettendo rispettivamente a tre e due amici di affrontare assieme le relative avventure, Joy-Con alla mano. Tutto bello, ma i giochi come sono? Seiken Densetsu (o Mystic Quest, com’è presentato all’interno della raccolta) resta un’interessante lezione di storia, un gioco di ruolo semplice e abbordabile con combattimenti in tempo reale stile Zelda, anni prima dell’arrivo di Link’s Awakening sulla stessa piattaforma. Il rilevamento di collisione è un po’ impreciso, ma complessivamente l’esperienza resta giocabile, introducendo un semplice ma efficace sistema di sviluppo con cui scegliere quale parametro aumentare ad ogni livello per personalizzare il proprio avatar. Al di là del valore storico, avrei gradito la possibilità di sbloccare il suo remake Sword of Mana, uscito su GBA nel 2003 ed epurato da quegli elementi pescati dal lore di Final Fantasy presenti nell’originale; sarebbe stato un tassello extra adattissimo per completare la raccolta.
Collection of Mana Recensione

Trials of Mana è una vera e propria esperienza, popolata da personaggi con cui formare una forte empatia

Su Secret of Mana non ho davvero più nulla da dire: a distanza di anni resta un gioco di ruolo arcade davvero ottimo, con una pixel art attualissima che manda severamente dietro la lavagna il superfluo remake che ho trattato l’anno scorso su queste stesse pagine, perfettamente a suo agio sullo schermo di Switch, specialmente in versione portatile. E poi c’è Trials of Mana, qui tra le mie mani, in inglese per giunta: tuttora non riesco a capacitarmi della bellezza di un gioco simile e di quello che può aver rappresentato per i miei coetanei giapponesi nel 1995. Sei personaggi tra cui scegliere il protagonista e due compagni di viaggio, influenzando incipit, finale e dialoghi a vantaggio della rigiocabilità: una trovata incredibile, capace da sola di sradicare come fuscelli tutte le presunte accuse di leggerezza e banalità mosse nei riguardi dei giochi di ruolo di matrice orientale all’epoca, ma c’è di più. Ogni personaggio può cambiare classe e allineamento più volte, modificando parametri e moveset all’interno del miglior sistema di combattimento della serie, incentrato su colpi precisi inflitti al momento giusto per caricare un apposito indicatore con cui scatenare potenti attacchi finali; per quanto riguarda la magia, poi, è presente un calendario assieme a un rivoluzionario (parliamo di quasi venticinque anni fa!) ciclo giorno/notte dove determinati spiriti guadagnano bonus se evocati quando la data è propizia! Principalmente, però, si tratta di una vera e propria esperienza, popolata da personaggi con cui formare una forte empatia e impreziosita da una pixel art che in più frangenti lascia seriamente a bocca aperta, pronta a scoperchiare il vaso di Pandora e ricordarvi l’indiscussa supremazia degli artisti di Squaresoft negli anni Novanta: non so voi, ma dopo aver affrontato alcuni dei boss più grossi del gioco necessito davvero di una Lost Treasures of Squaresoft (che non esiste, ahimè) sul mio Switch, contenente succulente versioni occidentali di Bahamuth Lagoon, Live A Live e Rudra no Hihō, fra tutti! Per quanto riguardo il giudizio complessivo…

È possibile che abbiate già giocato abbondantemente ai primi due Seiken Densetsu nella loro versione occidentale, tuttavia la traduzione ufficiale di Sei… di Trials of Mana cambia le carte in tavola, permettendo a tutte le anime col cuore spezzato dagli eventi del 1995 di presentarsi finalmente puntuali all’appuntamento con quello che può essere considerato a tutti gli effetti uno dei migliori JRPG dell’epoca a sedici bit, assieme alla sacra coppia composta da Final Fantasy VI e Chrono Trigger. Senza mezzi termini Trials of Mana è stupendo e, da solo, rende questa compilation imprescindibile per tutti quelli che hanno riversato lacrime e speranze sulle foto del gioco durante quella torrida estate. Amatelo, ora!

Condividi con gli amici










Inviare

Pro

  • Trials of Mana. Punto.
  • M2 all’emulazione è sempre garanzia di qualità.
  • Due giochi eccellenti, e un piacevolissimo frammento di storia.

Contro

  • Decisamente costosa.
  • Sword of Mana sarebbe stato una ricompensa sbloccabile perfetta.
  • Contenuti aggiuntivi praticamente inesistenti.
8.2

Più che buono

Il retrogamer della redazione, capace di balzare da un Game & Watch a un Neo Geo in un batter di ciglio, come se fosse una cosa del tutto normale. Questo non significa che non ami trastullarsi anche con giochi più moderni, ma è innegabile come le sue mani pacioccose vibrino più gaudenti toccando una croce digitale che una levetta analogica.

Password dimenticata