Le prime ore di Death Stranding si susseguono in un turbinio di stranezze, paesaggi mozzafiato e malinconica colonna sonora
Sam ha una particolare connessione con le creature che vagano tra il mondo dei vivi e il mondo dei morti
TRA IL DIRE E IL FARE
Proprio come Sam per il 90% delle sue scampagnate, quando si va ad analizzare più nel dettaglio il modo in cui questa storia viene raccontata, ci si ritrova a inciampare più volte anche sui più triviali degli ostacoli. Primo tra tutti proprio la scrittura del nostro personaggio, la cui paura di essere anche solo sfiorato dagli altri viene trattata in maniera piuttosto superficiale, usata alla fin fine come niente più di un semplice strumento per mandare avanti la trama.
E se in un certo senso risulta faticoso riuscire a immedesimarsi in questo ombroso protagonista, affezionarsi in maniera profonda a tantissimi dei personaggi secondari è un compito ancor più ostico.
Affezionarsi in maniera profonda a tantissimi dei personaggi secondari diventa un compito ostico
Il riutilizzo di scene e spunti visti in passato a mo’ di piccoli omaggi fallisce spesso e volentieri nel catturare nuovamente quella scintilla magica che li contraddistingueva. Questi piccoli cenni, spogli della tradizione e del peso dato dal carattere e dalla storia dei personaggi a cui fanno riferimento, fanno quasi esclusivo affidamento a un vacuo senso di nostalgia spoglio di significato.
VITA DA FATTORINO
A deludere è anche il fatto che, facendo un grande passo indietro rispetto ai pezzi da ‘90 (scusate il gioco di parole), Kojima non riesca davvero ad espandere il medium del videogioco verso nuovi orizzonti, se non attraverso il mero utilizzo di nuovi termini come “Strand Game” o la curiosa implementazione del multiplayer asincrono (comunque molto simile ad altri giochi passati) grazie al quale i giocatori possono collaborare tra loro in modo indiretto, per esempio costruendo ponti o strade utilizzabili da altri.
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