Demon's Souls – Recensione

PS5

QUELLO DI BLUEPOINT GAMES è UN RESTAURO TECNICAMENTE IMMENSO, EPOCALE, CHE RIPORTA ALLA LUCE DETTAGLI MAI COLTI DI UNA NARRATIVA EMERGENTE CHE SI RACCONTA IN OGNI BASSORILIEVO

Nei rari scorci paesaggistici, come a respirare un po’ di tranquillità dopo l’ennesima sconfitta sfiorata, ci si ritrova a contemplare una bellezza rarissima benché corrotta, sferzati dalla nostalgia di una Boletaria che vorremmo poter esplorare in tutt’altri tempi e modi, per poi essere trascinati al suolo, di nuovo nel fango. Oggi più di allora (anno 2009 e due generazioni di distanza), dopo l’esponenziale esplosione del genere e con questa grandeur tecnica a disposizione, ritrovarsi immersi in un’opera dove i pericoli si rivelano ancora meramente meccanici, vecchia scuola, trappole per topi in forma di bestiario dark fantasy grottesco, spietato e disturbante, tende a fratturare la sospensione d’incredulità; la muscolarità di animazioni plastiche e bellissime dissociata dalla goffaggine della coreografia che si sviluppa, cercando sempre l’espediente, il punto debole degli sviluppatori più che la naturalezza del gesto.

demon's souls recensione

I rarissimi momenti alla luce di un pallido sole mostrano un colpo d’occhio che poi si trasferisce nei dettagli, quando la situazione si fa più claustrofobica.

Il rischio di questo modus operandi ben conosciuto è di svilire, con la costante reiterazione che è colonna portante del genere, un contesto sontuoso, imponente, capace di mettere in soggezione col soverchiante senso di scala. Quello di un level design che è pura ed estasiante architettura virtuale, tra scorciatoie, incroci e propensione verticale. Magistrale.

LA DECISIONE DI NON INTERVENIRE SU UN’INTELLIGENZA ARTIFICIALE QUASI INESISTENTE, CHE SI INCASTRA DIETRO GLI ANGOLI E VOLA Giù DAI BURRONI, LASCIA UN PO’ PERPLESSI

Da qui nasce la venerazione verso il genio, perché Demon’s Souls, che poi ci si sia appassionati o meno al genere, è un classico moderno senza possibilità di smentita, uno di quei titoli da Pantheon, un template per futuri capolavori; ma decidere di non intervenire minimamente su un’intelligenza artificiale inesistente, ad esempio, con nemici che agiscono quasi indipendentemente dalle nostre azioni appena superata la linea Maginot della loro area di competenza, girando su sé stessi, incastrandosi dietro gli angoli nella foga di forzare il loro attacco o cadendo da soli in un burrone, è una scelta che si ha l’obbligo di mettere in discussione.

Un’imponente statua che sembra piangere, forse consapevole del nostro scontato destino. Potentissimo.

Per Shadow of the Colossus la tavola era già apparecchiata per essere imbandita con pietanze stellate, così impeccabile e fresco da sembrare un titolo pensato, sviluppato e lanciato nel 2018. Qui no, perché siamo di fronte a un videogioco che nel tempo ha acquisito valore storico, cedendo in cambio quote di valore ludico. Una crepa che divide nettamente nuovo e vecchio, tra pigrizia e riverenza.

DALL’ESPERIENZA ALLA PRATICA

Quello che poi si vive sulla propria pelle e nella propria testa è una parabola emotiva che parte da un senso di impotenza e spaesamento misterioso, abissale, scende fino al punto di rottura del gameplay – finanche sfruttare l’ampia esperienza pre-resurrezione per “scassinare” una delle sue regole ferree, con un tempo di respawn abbastanza permissivo da permettere di riavviare l’applicazione e recuperare il salvataggio manuale precedente, non ancora sovrascritto – e risale quando una consapevolezza calcolatrice e tattica sempre più sviluppata prende il sopravvento. Un magnetismo che riesce miracolosamente ad andare oltre criticità ben evidenti.

Continua nella prossima pagina…

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Pro

  • Tecnicamente sontuoso, imponente, dettagliatissimo / Esperienza ruolistica solida dal level design magistrale / Sound design da brividi.

Contro

  • Porta nel 2020 tutta una serie di imperfezioni e difetti strutturali già evidenti nel 2009, con invidiabile indifferenza / Non indicativo delle potenzialità future di PlayStation 5 a livello ludico.
8.5

Più che buono

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