Sono un fenomeno paranormale

Obsidian la sa lunga, e in South Park: The Stick of Truth gioca con i cliché del videogioco

Obsidian, che la sa lunga in questo campo, conosce i limiti del medium e nell’ottimo South Park: The Stick of Truth gioca con questi cliché ed amichevolmente ci trolla quando una banda di piccoli druidi inviati da Kyle per imprigionarci dice: “Se vuoi puoi anche combattere, ma tanto questa battaglia sei destinato a perderla”. E infatti, a prescindere dalla nostra abilità sul terreno di scontro, segue l’inevitabile cattura!

Non è un caso se ho utilizzato la parola “mainstream” nel paragrafo precedente perché è dal cinema, da cui i videogiochi attingono a piene mani, che sgorgano molte di queste consuetudini della trama, tra cui mi piace citare il canonico timer fermato esattamente quando manca un secondo all’esplosione della bomba, l’amico tratto in salvo mentre sta precipitando in un abisso afferrato all’ultimo istante per la mano, la resa dei conti con la nemesi su piattaforme malsicure elevate sopra orridi profondissimi (oppure sulle guglie di una cattedrale con le gargolle che fanno da silenti spettatrici), per non parlare dello stramaledetto raggio di energia che sale verso il cielo!

Eppure, già nel 1991 Neil Gaiman “muoveva guerra” a questi luoghi comuni con il suo Black Orchid laddove, in seguito alla cattura, la protagonista viene brutalmente assassinata e quindi data alle fiamme.cliché videogiochi trama narrazione

speravo, dopo Black Orchid, che alcuni vettori per far avanzare la narrazione fossero diventati obsoleti

L’esecutore è esplicito in merito: “Hey… la sai una cosa? Li ho visti, sai, i film di James Bond. Tutti. E ho letto anche i fumetti. Vuoi sapere cosa non farò? Non ti chiuderò in un seminterrato prima di interrogarti. Non preparerò una complicata trappola mortale con i raggi laser per poi lasciarti da sola consentendoti di scappare. Quella roba è così stupida. Sai invece cosa farò? Ti ucciderò. Adesso”. E così fa. Accade nelle primissime pagine del fumetto (qualcosa di simile si trova nel primo capitolo de “L’Ultima Caccia di Kraven”, magistrale mini-serie/graphic novel dell’Uomo Ragno, 1987, che il buon Neil probabilmente ha letto, ndMario); segue un racconto davvero peculiare, ricco di spunti. Avrei pensato, dopo un’opera di tale caratura, che alcuni vettori per far avanzare la narrazione fossero diventati obsoleti e invece siamo ancora al cattivo di turno che parla per dieci minuti – perché accipicchia deve pur spiegare le sue motivazioni! – dando il tempo al nostro personaggio di reagire, di fuggire. Insomma, tutto quello che chiedo ai videogiochi è di stupirmi.

Ora, si tratta solo di applicare le mie “doti” per azzeccare la combinazione vincente della schedina. Magari mi gioco i numeri che ho fatto l’altra sera con Yennefer, chissà se nella Smorfia c’è un equivalente numerico per l’unicorno di paglia… .

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