Lo spunto di questa riflessione è nato dalle dichiarazioni, a mio avviso abbastanza maldestre, di Techland nei confronti della durata di Dying Light 2. Proclami roboanti su una presunta longevità di centinaia e centinaia di ore che è andata restringendosi sempre più giorno dopo giorno.
Non credo di scrivere qualcosa di errato se ipotizzo che la maggior parte dei videogiochi si rivolge a una platea di diversamente teenager. Probabilmente il grosso dei giocatori è più o meno come me, anagraficamente parlando: sulla trentina (forse anche quarantina), con poche ore settimanali da dedicare a questa nostra passione condivisa. Tra lavoro e altri impegni della vita reale, chi ha davvero tempo per quei titoli enormi che richiedono cento e passa ore per arrivare ai titoli di coda? Figuriamoci andare a spulciare quasi maniacalmente ogni singolo centimetro quadrato virtuale alla ricerca di tutti i contenuti che gli sviluppatori hanno deciso di mettere dentro la loro opera.
chi ha davvero tempo per quei titoli enormi che richiedono cento e passa ore per arrivare ai titoli di coda?
Contenuti che, diciamo le cose come stanno, raramente differiscono da quest copia-incolla e dalla raccolta di collezionabili fini a sé stessi. E lo so che mentre leggete queste righe vi starete chiedendo “
ma questo qui non è lo stesso s…ignore che ha oltre 600 ore su Destiny 2?”, e avreste ragione da vendere. Si tratta però di un discorso se volete collegato
a quello dell’editoriale di qualche mese fa. Il tempo, come scrivevo allora, è una risorsa limitata: per quale motivo dovrei investirlo in un titolo che mantiene pressoché intatta la sua esperienza dalla prima alla cinquecentesima ora di gioco?

Per questo voglio collegarmi anche a quello che la settimana scorsa
Stefano Calzati scriveva sullo stato delle cose: “
si tende a trattare il videogioco come intrattenimento usa-e-getta”. Personalmente sono dell’idea che l’aumento esponenziale di prodotti dalla longevità potenziale elevata sia una diretta conseguenza dell’evoluzione del mercato. Da un lato abbiamo sempre più servizi che puntano ad accaparrarsi il nostro tempo, dall’altro l’esplosione del mercato videoludico ha fatto sì che questo si sia aperto a un numero sempre più grande di utenti.
Sono aumentati i giocatori, ma è aumentato anche il numero di videogiochi che arrivano sul mercato quasi quotidianamente, e per questo si fa di tutto per intrappolare – passatemi il termine – gli utenti dentro un’opera infinita. Ciò che invece è andata sempre più scemando è la quantità di produzioni compatte, ossia quei titoli dai valori produttivi né troppo bassi da essere considerati al pari di un indie, né troppo alti da considerarsi “tripla A”.
si fa di tutto per intrappolare gli utenti dentro un’opera infinita
Guardatevi intorno: la stragrande maggioranza dell’offerta è dominata
da una parte da opere indie, quelle che – salvo alcuni generi specifici
come i roguelike – si portano a termine in poche sessioni,
dall’altra da produzioni mastodontiche – spesso in stile “game as a service” – che richiedono un monte ore astronomico per arrivare alla conclusione. Lo dico chiaramente: più passano gli anni, più mi accorgo che
quest’ultima tipologia di produzioni non fa più per me. Mi dispiace ammetterlo ma tra un po’ temo che non avrò più alcun desiderio di avvicinarmi a opere del calibro di un Assassin’s Creed o un Dying Light, e non perché non mi piacciano, ma perché
il tempo da dedicare ai videogiochi va sempre più restringendosi. È un qualcosa che sto sperimentando già ora. Per esempio durante gli ultimi saldi di Steam
ho acquistato Death Stranding, ben sapendo a cosa stessi per andare incontro. Eppure l’ho fatto proprio perché
volevo approfittare delle festività per godermelo al meglio. Risultato? Tra una cosa e l’altra, a oggi, il contatore delle ore segna 25,4. Per darvi un’idea, sono arrivato a South Knot City con la consapevolezza di aver appena scalfito la superficie
dell’opera di Kojima. Sono stato costretto ad accantonarlo diverse volte in questi giorni, e lo farò ancora in futuro, proprio perché come sappiamo la vita tende a mettersi di traverso.

Sarebbe successa la stessa cosa se durante le feste avessi avviato un videogioco con una longevità di una decina o poco più di ore? Probabilmente l’avrei portato a termine entro il fatidico 6 gennaio e me lo sarei goduto molto di più. Sto invecchiando, direte voi, ed è effettivamente così, ma è una condizione che si applica all’intera platea di videogiocatori.
Stiamo invecchiando tutti e avremo più tempo solo quando andremo in pensione (se mai ci arriveremo). E quindi la domanda iniziale resta sempre lì: a chi si rivolgono questi videogiochi? Io
una risposta me la sono data, ma non sono sicuro di volerla mettere nero su bianco, non ancora perlomeno. Magari ne riparliamo in un editoriale futuro, chissà. Però una cosa voglio scriverla, un appello agli sviluppatori di tutto il mondo:
create esperienze più compatte! Grazie.