Le generazioni di videogiocatori con qualche decennio sulle spalle sono cresciute a stretto contatto con la pixel art, ma con l’evoluzione della tecnologia questo stile grafico potrebbe quasi sembrare relegato a produzioni dal sapore nostalgico, di difficile interesse per i giocatori più giovani. Che ci aspetti un futuro senza pixel art?
Basta farsi un giro sui social più diffusi per intuire cosa sta accadendo da un mesetto a questa parte: escluse una manciata di eccezioni, tutto il mondo e forse anche qualcuno sulla Luna – che poi in realtà è uno studio cinematografico quindi togliamo pure il forse – sta giocando a sua maestà Elden Ring. Nello stesso momento in cui vergo queste righe probabilmente più d’uno sta portando a compimento l’ennesima run con una classe diversa, qualcun altro è intento a frantumare il Guinness World Record di speedrun (mezz’ora o poco meno, se non erro) e, in qualche luogo oscuro, qualche individuo chimicamente squilibrato si sta lanciando a testa bassa contro l’immaginario creato da From Software armato solo di mutande e tanto ottimismo. Ci sta.
LA MERAVIGLIA PROCRASTINATA
In effetti ci sta tutto e il suo contrario in questo caso. A prescindere dai gusti personali, indipendentemente da ciò che si pensa dei soulslike, l’ultima faticaccia del duo Hidetaka Miyazaki (da non confondere con l’Hayao Miyazaki dello studio Ghibli, ma che ve lo dico a fare?) e George R.R. Martin non è soltanto IL gioco del momento, ma anche il più serio candidato al GOTY 2022, alla vittoria del GF VIP venturo e a un altro paio di riconoscimenti secondari come il Nobel e l’Oscar.
Ora, non so voi in che rapporti siate con illo ma per quanto mi riguarda so che un dì lo giocherò come merita. Da onnivoro appassionato di videogiochi quale sono ma anche da non fanatico dei soulslike, sento dentro che voglio-devo-posso farlo e lo farò, l’ho promesso a me stesso e mi reputo uno che mantiene la parola. È lì sull’SSD della Series X il mio Anello Ancestrale digital edition, in compiaciuta attesa che giunga il momento del nostro primo vero appuntamento, quasi fosse esso stesso un boss contro cui, quando le coincidenze astrali-domestico-lavorative lo consentiranno, prima o poi dovrò vedermela se ho davvero intenzione di scoprire quant’è memorabile il panorama al di là dell’ostacolo. Tuttavia non è questo il giorno, adesso è tempo d’altro per me.
UN AMORE DI VAMPIRO
Per la precisione è tempo di una valanga di pixel e mostriciattoli poco terrificanti a vedersi, ma soprattutto di una luce in fondo al tunnel del gameplay loop che non vorrei mai raggiungere ché in fondo dov’è scritto che tutte le dipendenze fanno male? Qualche vizio bisognerà pur averlo, no? Perfino Ned Flanders è un drogato di religione, suvvia. Grazie infinite Brom per avermi presentato quel gioiellino che risponde al nome di Vampire Survivors. Sapete a quale gioco mi riferisco, vero? Avete visto la recente live sul canale Twitch di TGM con il nostro Gabriele, giusto? In caso di risposta negativa a una o entrambe le domande interrompete subito la lettura, accedete a Steam, sborsate il prezzo di un paio di caffè circa e godetevi il concetto di Bullet Hell allo stato dell’arte. Il mio sproloquio sottoforma di editoriale può aspettare, scrivo cazzate U.H.T. pertanto non c’è nessuna fretta. Fatto? Bene. Semplicemente sublime, convenite con me? Vampire Survivors è l’essenza del termine “videogioco” nella sua incarnazione più pura e genuina. Tra l’altro questo concentrato di gameplay è di fattura nostrana, l’autore è Luca “poncle” Galante e ciò aggiunge un’abbondante punta d’orgoglio tricolore all’esperienza che certamente male non fa, un po’ come se ognuna delle tantissime recensioni estremamente positive su Steam parlasse di noi anziché dell’opera italiana.
Perdonate, sto facendo di nuovo una roba che a scuola mi riusciva ahimè fin troppo egregiamente: finire fuori tema. Ci arriviamo al punto, anche questa è una promessa, anzi facciamolo subito ché in fondo la riflessione è nata proprio dopo una sessione a Vampire Survivors. Al di là degli innegabili punti di forza tra cui – per quanto mi riguarda – spicca una durata massima di 30 minuti a partita a Dio piacendo, il gioco di poncle mi ha conquistato con disarmante facilità anche perché appartiene a un filone vintage che non è mai passato di moda. Da bravo classe ’84 nato con la passione per i videogame, lo stile grafico di Vampire Survivors mi ricorda un passato ormai lontano in cui qualunque cosa interattiva composta da pixel era tutto ciò di cui avevo bisogno per essere felice. Per chi ha vissuto in prima linea l’età dell’oro videoludica e immediati dintorni, gli anni ’80 – ’90 diciamo, credo sia impossibile guardare con occhi scevri di sentimento uno sprite in pixel art.
Al netto di elementi più o meno opinabili come l’eleganza, il calore, la simpatia e la bellezza che è in grado di esprimere uno stile simile quand’è modellato da artisti esperti, non credo di esagerare dicendo che, in chi è cresciuto a pane e pixel, spesso si aggiunge una componente affettiva capace di andare ben oltre qualsiasi immaginazione o ruvidezza. Anche questo ci sta, in fondo noi videogiocatori siamo dei grandi romanticoni, l’ho sempre pensato; è per questo che, a suo tempo, mi sono precipitato subito su Kickstarter appena mi sono imbattuto nel delizioso Sea of Stars di Sabotage Studio e mi sono crogiolato nei ricordi nel leggere che c’è lo zampino musicale di Yasunori Mitsuda, l’autore dell’indimenticabile OST dell’inarrivabile Chrono Trigger (il miglior JRPG di sempre, per quanto mi riguarda). Potrei continuare a lungo con i titoli che hanno segnato la mia infanzia, senza dubbio e senza sforzo in men che non si dica potremmo farla diventare una discussione pubblica scrociante grazie ai commenti sui social, ma farci trascinare tutti assieme appassionatamente dalla corrente in cui sguazzano i ricordi potrebbe condurci fuori rotta. Sarebbe divertente, però. Quasi quasi…
IL DESTINO DELLA PIXEL ART
Torniamo a noi. Qualche giorno fa, mentre cambiavo d’urgenza un pannolino poco dopo aver giocato a Vampire Surv… lavorato al PC, insieme all’acqua calda è sgorgata spontaneamente una domanda: la pixel art è destinata a morire insieme a noi? Mi spiego meglio, anche se forse potrei fermarmi qui, subito dopo aver lanciato la domanda a mo’ di macigno in un lago. Fra molti anni da qui in avanti, quando intere generazioni di gamer cresciute a pane e pixel saranno solo l’ennesimo strato di polvere spazzato via dalla falce del Tristo Mietitore e, com’è naturale che sia, i legami sentimentali videoludici saranno completamente diversi, cosa accadrà?
COSA ACCADRÀ ALLA PIXEL ART NEI PROSSIMI ANNI? SARÀ DESTINATA A SPARIRE, AD ESSERE CONSIDERATA UNA TECNOLOGIA OBSOLETA DALLE NUOVE GENERAZIONI?
Non escludo di essere leggermente di parte, tuttavia nutro grandi dubbi circa una tale ipotesi. Gli artisti del pixel sanno fare tesoro delle tecnologie contemporanee per affinare la propria tecnica e lo dimostrano i notevoli passi in avanti estetici evidenti in produzioni moderne come Narita Boy o Dead Cells, giusto per citare i primi due successi in pixel art che mi vengono in mente. Non sono nient’affatto sicuro che la pixel art perderà vigore o magari scomparirà insieme agli ultimi irriducibili membri del club “affezionati ai quadratini”, quando cioè il nostro posto nelle postazioni da gaming di tutto il mondo verrà preso dai gamer del futuro cresciuti seguendo canoni estetici assai differenti.
LA PIXEL ART NON È SOLO FREDDA TECNOLOGIA, È UN CARISMATICO STILE D’ESPRESSIONE, UNICO E IMMORTALE