Oggi è stata una giornata infernale: l’Agenzia delle Entrate mi sommerso di cartelle, ho preso due autovelox, litigato con tutti al lavoro e smarrito il telefono chissà dove. Per fortuna tra poco potrò arrabbiarmi come si deve con un maledetto videogame. Sì, hai letto bene. Io non gioco per rilassarmi, bensì per esacerbare il mio malessere e minare il già precario equilibrio mentale. La mia Hard Day’s Night, a differenza di quella cantata dai Beatles, è destinata a peggiorare per colpa dei videogiochi.
E non parlo di frustrazione dovuta a difficoltà nella progressione o gameplay mal calibrati che portano al rage quit, è proprio il medium stesso, in tutte le sue declinazioni, a rovinarmi l’esistenza. Vi sembra sensato dedicare il proprio tempo libero ad attività che peggiorano la qualità di vita anziché migliorarla? No, eppure è ciò che ultimamente sto notando in una fetta sempre più ampia del pubblico giocante. Ciò che negli anni ’80 era considerata una perdita di tempo, con il tempo è mutata in un passatempo socialmente accettato, poi in una passione e piano piano per alcuni in una condanna all’eterna sofferenza, certi di aver visto per primi le avvisaglie di un mondo prossimo allo sbando proprio mentre avrebbero dovuto essere in relax sul divano con il pad in mano.
DISCUTERE DEL SESSO DEI LOMBAX
Nella mia bolla dorata di beata ignoranza, all’interno della quale inforco le cuffie ed entro nei fantastici mondi generati dagli sviluppatori pronto a godermi ogni singolo pixel, mi sono accorto tardi di questo fenomeno, e precisamente con Ratchet & Clank: Rift Apart. Studiando le caratteristiche morfologiche dei Lombax – che, vale la pena ricordarlo, sono creature di fantasia – alcuni utenti hanno notato che la bella Rivet non presentava i tratti distintivi del genere femminile, quali seno, orecchie più piccole e assenza di coda. Mentre io mi divertivo alla grande a prendere a calci il Dottor Nefarious, in rete si discuteva circa la possibilità che la versione extradimensionale di Ratchet fosse transgender.
La mia iniziale reazione all’argomento è stata di stupore. Pur cospargendomi il capo di cenere per non aver dedicato anni della mia vita a studiare la razza Lombax, effettivamente le teorie dei giocatori più attenti parevano sensate. La seconda reazione è stata curiosità: posto che la letteratura Lombax fosse corretta, si sarà trattato di una svista dei designer, paragonabile a un grossolano blooper cinematografico, oppure ho veramente giocato con un personaggio transgender? La terza reazione ha visto il ritorno della razionalità: veramente stavo perdendo il mio tempo a capire il genere di Rivet invece di lanciarmi alla conquista del platino?
Stupore e curiosità, poi il pensiero razionale e la consapevolezza d’aver sprecato tempo concentrandomi su un aspetto del gioco che non fosse puramente ludico
OK, È GAY, MA QUANTO FA DI CRITICO?
Da quel giorno però divenni più attento: non al genere o alla razza dei protagonisti videoludici, ma riguardo le reazioni di persone che, da appassionati come me, invece di avere a cuore hit point, altezza raggiungibile con il doppio salto e percentuale di assegnare un colpo critico si angustiano per altre caratteristiche ininfluenti in termini di gameplay. E scoprii che mentre io giocavo tranquillo, il mondo stava finendo, anche a causa di Ellie di The Last of Us, in quanto gay. In effetti me ne ero reso conto ma lo vidi come un dettaglio a cui non dare importanza. Avrei dovuto essere più accorto? Secondo alcuni, sì. Anche Bill è gay. Qui ho dovuto fermarmi un momento e riflettere. Sì, è vero, si capisce quando trovano il corpo del compagno suicida, me lo ero completamente dimenticato, chiedo scusa se durante un’epidemia di rabbia fungina che ha messo in ginocchio il mondo non mi sono messo a spettegolare su Bill.
È comprensibile che comunque i fan più sfegatati di un franchise conoscano vita, morte e miracoli dei protagonisti. Il problema è che si stava andando oltre. Alcuni giocatori invece che godersi la storia si stavano arrabbiando perché c’erano troppi gay nel gioco. Come se la sessualità fosse l’ingrediente di una ricetta. In questa carbonara ci sono troppe uova, e in quel gioco ci sono troppi gay. Qui c’è un Maggiore di troppo, disse Trinità, e lì c’è un gay di troppo. Bisogna cappare il numero delle persone non etero. È evidente che era stata smarrita la razionalità. Ora se il protagonista di un gioco non è maschio, caucasico ed etero c’è chi urla alla dittatura woke. È in atto un piano per creare un Nuovo Ordine Mondiale in cui domineranno le minoranze – segnatevi questo termine, tra un attimo ci torniamo – mentre io sono impegnato a killare con Aloy. In un momento non ben identificato di questo periodo storico, delle persone che scrivono con gli asterischi e la schwa sarebbero diventate pericolose. Dovrò chiedere scusa a tuttə quellə che ho preso in giro per le loro wildcard, perché qui altrimenti mi rimpiazzano con una minoranza. Almeno, questi mi sembrano i ragionamenti che vanno per la maggiore.
E SE FOSSI IO UNA MINORANZA, IN QUANTO VIDEOGIOCATORE?
Ma ecco il plot twist: i videogiocatori stessi sono una minoranza. Parliamo di persone in grado di comprare dell’hardware di un certo livello, sottoscrivere abbonamenti o acquistare giochi, disporre di una connessione internet stabile e veloce e soprattutto avere tutto il tempo necessario a scorrazzare per lande virtuali. Che percentuale rappresentano costoro nella popolazione di tutte le vostre conoscenze? Ridicola, e la situazione peggiora all’aumentare dell’età degli individui, quando le Cose Importanti della Vita sottraggono tempo e risorse a tutto il resto. Benissimo, dato che siamo tutti minoranze, la piantiamo di preoccuparci del nulla e ci facciamo una partitella ignorante?
Ci divertiamo come ai vecchi tempi, quando già negli anni ’60 l’italianissimo Cicciobello biondo con gli occhi azzurri venne prodotto nella variante Angelo Nero senza che nessuno si stracciasse le vesti gridando alla dittatura woke?
Che anni meravigliosi, quando ai videogame si giocava e basta, forse perché non ancora diventati mainstream, e quindi destinati solo a un pubblico di veri appassionati che volevano unicamente mettere la firma sull’High Score. Guardate che a me non cambia nulla, lo dico per voi: che senso ha coltivare una passione che ti rende amaro il sangue? È come quei rapporti tossici in cui invece di completarsi a vicenda ci si distrugge. Fenomeno che non è esclusivo dei videogame, sia chiaro. Solo per citarvi un esempio, pare che la campagna promozionale della Budweiser in cui si mostra un transgender che beve la famosa birra abbia causato un crollo delle vendite. Io non bevo alcol, ma adoro la riconoscibilissima bevanda zuccherata con la lattina rossa. Me ne concedo poca dato che non è proprio così salutare, ma vi assicuro una cosa: non esiste transgender che possa farmi minimamente pensare di non berla più. A meno che non sia il mio medico. Mi sto sottomettendo alla Fantomatica Lobby Molto Gay? Va bene. Per colpa mia verrà insegnata ideologia gender all’asilo nido e si cambierà sesso all’Autogrill? Ok, segnate sul mio conto, sono stato io. Intanto continuo a bere quello che mi pare tranquillo come non mai. Bevo, gioco, e bestemmio con i rutti quando perdo.
SONO BRUTTE PERSONE, BRUCIAMO I LORO VIDEOGAME
Nel trambusto delle guerre ideologiche a suon di boicottaggi non si salva nessuno, dato che c’è chi ha deciso a priori che Hogwarts Legacy non va giocato perché parte del lore inventato da J. K. Rowling. La signora in questione ha delle idee particolari sulle quali non voglio soffermarmi in assenza di un test tossicologico. Significa che se mi parla della sua visione TERF del mondo, io prima di risponderle le chiedo se può gentilmente urinare in questa provetta che poi porto a far analizzare. Questo rende Hogwarts Legacy un brutto gioco? No, così come i casi Wonderland Murders non tolgono centimetri a John Holmes (mannaggia!), lo strano rapporto che aveva Michael Jackson con i ragazzini non rende Thriller un brutto album e la vita pazzerella di John McAfee non pregiudica l’affidabilità del suo antivirus.
Senza contare che chi vorrebbe vedere il gioco di Harry Potter marcire virtualmente sugli scaffali digitali, manca di rispetto a centinaia di grafici, programmatori, artisti e lavoratori vari che han preso parte al progetto, probabilmente con delle idee diverse dalla Rowling ma non per questo meno determinati a consegnare ai nostri monitor un ottimo prodotto. Si chiama professionalità, un Giuramento di Ippocrate applicabile in qualsiasi campo. A volte poi basta nascere nella parte ritenuta sbagliata del pianeta per vedersi negare il diritto di pubblicare le proprie opere. Atomic Heart sarebbe un gioco da evitare per le proprie radici russe e la visione romantica dell’Unione Sovietica. Nell’immaginario di qualcuno, ogni copia venduta è un endorsement all’operazione in Ucraina, associazione di idee sensata quanto gli amen che si mettono su Facebook sotto le foto di bimbi malati per garantire loro pronta guarigione. E io che pensavo che acquistare i videogame aiutasse i dev a pagare il mutuo, ingenuo sempliciotto che non sono altro.
Nel mio mondo super liberale invece c’è posto anche per i videogame realizzati da chi non la pensa come me, e solo il divertimento sarà l’ago della bilancia tra promozione e bocciatura
Mi sono arrabbiato tutto il giorno per ritagliarmi quell’oretta alla sera con i miei amati viggì, ora lasciatemi in pace. Boicottare giochi, o birra, o quel che volete, non è così diverso da bruciare libri in pubblica piazza, e quelle sono pagine di storia che meritano di essere voltate per sempre. Ma vi immaginate che adolescenza infame avremmo avuto se ci fossimo sempre comportati in questo modo? Dai, metti Jet Set Willy. No, il protagonista è bianco, simbolo del suprematismo. Però è lui che riordina casa mentre Maria semplicemente osserva, messaggio che va contro la mentalità patriarcale che vorrebbe le donne assoggettate al maschio. Sì, ma l’autore, questo Matthew Smith, sarà Conservatore o Laburista? Mica qui si mette su un gioco così alla cieca.
Non è vita, credetemi, non è vita.