Hai giustificato le microtransazioni? E ora pedala – L'Opinione

Esce Dragon’s Dogma 2 e si accende il dibattito sul viaggio rapido dietro paywall, e poco importa sia improprio definirlo “viaggio rapido” o “dietro paywall”. Il punto della questione è come si sia arrivati in uno scenario dove le microtransazioni sono la norma. E fino a che punto siamo disposti a pedalare su queste bici col sellino venduto come DLC.

microtransazioni dragon's dogma

La prima cosa da spiegare è che no, non è vero che in Dragon’s Dogma 2 il viaggio rapido è disponibile solo a pagamento. Quello che si può sbloccare pagando è un telecristallo, che permette poi di teletrasportarsi dove viene posizionato. Si possono ottenere telecristalli anche giocando (anzi, tecnicamente se ne può acquistare solo uno, poi gli altri vanno trovati) ma, appunto, la possibilità di ottenerne uno da subito senza fatica fa decisamente a pugni con la filosofia di design abbracciata da Dragon’s Dogma 2. Nelle intenzioni di Hideaki Itsuno l’accento in un Open World dovrebbe essere sull’esplorazione, e se questa risulta noiosa al punto da invocare la presenza del fast travel allora è un problema del gioco più che del genere. È per questo che i telecristalli non abbondano, in Dragon’s Dogma. Ed è per questo che permettere di sbloccarne uno da subito dietro pagamento è sbagliato.

SE NON TI PIACE NON COMPRARLO

Beh ma basta ignorare gli acquisti in-game per avere l’esperienza così come l’hanno pensata i dev”. A parte il fatto che no, l’esperienza come l’hanno pensata i dev rimane quella che è uscita sui vari store, microtransazioni incluse, si è detta la stessa cosa un sacco di volte nella lunga storia del DLC applicato al videoludo. Ignorare la famosa armatura per il cavallo di Oblivion (che tecnicamente non è nemmeno il primo contenuto scaricabile della storia) non ha impedito che il fenomeno proliferasse. Il perché è presto detto: quello che chiamiamo “mercato” è un esercizio di equilibrio tra quanto siamo disposti a spendere e quanto le aziende del videogioco vogliono monetizzare.

Alla fine a ciò che voleva fare Don Mattrick due generazioni fa ci si è arrivati per gradi

Il migliore dei sistemi possibili impone sempre che si cerchi di guadagnare il più possibile dalla vendita dei prodotti. E quindi negli anni s’è provato davvero di tutto: non solo DLC a pagamento, non solo microtransazioni, ma anche versioni più o meno rivedute e più o meno corrette dello stesso gioco, pass da acquistare per giocare online in modo da bloccare il multiplayer dei giochi usati a meno di non pagare, Game as a Service scaricabili gratuitamente ma dove poter shoppare cosmetici, valuta, armi. Lo sciagurato Don Mattrick due generazioni fa aveva provato a boicottare del tutto il mercato dell’usato e a impedire il prestito di videogiochi su Xbox One, e se ha ritrattato è solo perché ad un certo punto è diventato evidente che si era spinto troppo in là rispetto a quello che i videogiocatori, all’epoca, potevano tollerare.

Dieci anni dopo però lo scenario non è poi così tanto diverso da quello che Mattrick ipotizzava, ci si è semplicemente arrivati per gradi normalizzando un po’ alla volta certe pratiche (per esempio l’always online) e in qualche caso accettandole in cambio di una relativa comodità. Oggi il mercato dei videogiochi è fortemente a trazione digitale, nonostante la copia fisica abbia lo stesso valore nominale e permetta di essere rivenduta o prestata. È successo perché il digitale è più comodo, permette di giocare già dalla mezzanotte del day one, non può essere consegnato in ritardo da un corriere o esaurirsi in negozio, sazia immediatamente la nostra fame (in buona parte nervosa) durante quei saldi che il launcher di Steam o la dashboard di PS5 ci segnalano insistentemente.

BICAMERALISMO IMPERFETTO

Non basta nascondersi dietro il “se non ti piace non comprarlo”. Quella frase è parte del problema, è quel sonno della ragione che poi inevitabilmente finisce per generare mostri. Cerchiamo la comodità e la scorciatoia, e davanti a qualcosa a cui pensiamo di non poter rinunciare siamo disposti a scendere a dei compromessi che altrimenti sarebbero inaccettabili. O quantomeno, statisticamente è plausibile che una parte della popolazione videogiocante sia disposta a farlo.

Solo un anno fa, con Resident Evil 4, Capcom aveva aspettato tre settimane prima di lanciare i DLC

Decidere di non parlare dei problemi legati alle microtransazioni perché “basta non comprarle” lascia la parola alle aziende, che invece hanno tutta l’intenzione di parlarne per spiegare come non sia davvero così problematica spostando un po’ alla volta sempre un po’ più in alto l’asticella di quello che è tollerabile sul mercato. Solamente un anno fa la stessa Capcom che oggi lancia Dragon’s Dogma 2 con le microtransazioni al day-one (senza dare la possibilità di parlarne in recensione) con il remake di Resident Evil 4 aveva aspettato tre settimane dal lancio per introdurre i ticket a pagamento. Personalizzando per un attimo il discorso, anche in quell’occasione dopo l’editoriale che avevo scritto sul tema le reazioni medie (o quantomeno, la mia percezione di queste) erano sul tenore dell’eccessiva polemica, del voler creare un caso a tutti i costi davanti a qualcosa che era così facile ignorare. Se siamo arrivati qui è perché come giocatori non riflettiamo abbastanza. Questo non vuol dire che riflettere a partire da oggi farebbe qualche differenza, però.

Ci siamo convinti che il mercato in qualche maniera si regoli da solo, e che se e quando riusciamo a dire “no” in modo netto allora le aziende dall’altra parte devono per forza ascoltare. Dopotutto Microsoft è dovuta tornare indietro su Xbox One, no? Solo che non ci siamo chiesti perché. Troppo facile pensare che sia perché siamo stati ascoltati. O meglio, sì, siamo stati ascoltati, ma perché il più grosso competitor di Xbox ha deciso di reclutarci forzatamente nel suo marketing e quindi a quel punto non era più possibile non ascoltarci. Se paradossalmente PS4 si fosse allineata alle politiche di Mattrick non avremmo avuto scelta. E in effetti poi è quello che succede sul mercato di oggi, dove spesso non abbiamo davvero alternative.

Il problema non riguarda più Dragon’s Dogma 2, Resident Evil 4 o Capcom

Ci diciamo spesso che comprare un videogioco (o una console, o un accessorio…) sia come andare a votare, e che sia poi in effetti l’unico modo per farci ascoltare da chi occupa i ruoli decisionali nell’industria. Ma quando tutte le opzioni che puoi votare sono la stessa, che scelta rimane? Non c’è davvero una differenza tra una Panda e una Punto, se poi sotto la carrozzeria il motore è lo stesso. Arrivati a questo punto il problema non riguarda più Dragon’s Dogma 2, Resident Evil 4 o Capcom in generale. Se Dragon’s Dogma 2 non venderà abbastanza ci sarà sempre qualcosa che, nonostante le microtransazioni o qualche altra pratica becera, riuscirà a dimostrarsi abbastanza redditizia per l’azienda che ci ha investito. In un’industria in crisi vale tutto e non mi stupirebbe sapere che più di qualcuno sarebbe ok con l’idea di un Red Dead Redemption 3 dove si paga effettivamente a parte il viaggio rapido, a patto che in-game le palle dei cavalli continuino a cambiare di dimensione a seconda della temperatura.

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